Bonomi, il piccolo “uomo forte” della Confindustria

Abbiamo pubblicato la denuncia politica che il Pungolo Rosso fa nei confronti del nuovo presidente della Confindustria. In questo articolo cerchiamo di analizzare più nel dettaglio la figura di questo piccolo industriale cresciuto come funzionario del grande capitale.

L’elezione di Carlo Bonomi ci dice come si muoverà una parte significativa del padronato nei prossimi mesi. Bonomi chiede di ridurre il “cuneo fiscale” e più denaro pubblico alle imprese. Vuole la riapertura al più presto di tutte le fabbriche, non gli sono bastate le migliaia di morti per non aver chiuso per tempo le fabbriche della bergamasca. La sua logica del profitto a scapito della vita è una dichiarazione di guerra ai lavoratori. Solo la loro lotta potrà impedire che la strage si allarghi.

Eletto a larghissima maggioranza, lombardo ma con agganci produttivi in Emilia Romagna, è un piccolo imprenditore che possiede il 4,5% di una azienda di 6 dipendenti, la Synopo. Avrebbe investito di suo solo 31 mila €, ma ha attirato corposi finanziamenti di banche e fondi di investimento milanesi, grazie ai quali ha acquisito altre due società società (la più grande con 70 operai), che producono prodotti di nicchia ma ad alta specializzazione nel settore biomedicale (materiali e piccole strumentazioni monouso).

È partito come distributore in esclusiva dei prodotti elettromedicali per neurologia di una piccola multinazionale californiana (la Natus); cui ha aggiunto via via la sua produzione di “consumabili” per neurologia, diagnostica, oncologia ed emorecupero post operatorio. Li fornisce a multinazionali del settore per le quali sarebbe antieconomico produrle, con la garanzia in cambio di poter utilizzare i loro canali di vendita sul mercato internazionale riducendo i costi. Grazie soprattutto all’impiego di alte tecnologie e di lavoratori ultra specializzati, il suo piccolo impero ha un fatturato medio, ma con profitti in proporzione piuttosto alti (per il 2018 il fatturato è di 15,8 milioni di € a fronte di un utile di 3 milioni).

Un imprenditore della nuova generazione del made in Italy, che trova nella Sanità, ovviamente, non una missione sociale, ma un settore dove realizzare alti profitti. I mercati privilegiati per il settore sono ovviamente quelli dei paesi ricchi: Usa ed Europa. Quello che vale per lui come imprenditore vale anche per tutto quel settore di industrie picole e medie, ma non piccolissime che realizzano la maggior parte dei profitti all’estero, puntando a prodotti di qualità e quindi competitivi.

Non è stato eletto quindi presidente prima di Assolombarda (2017) e poi di Confindustria (2020) per il suo peso industriale, ma perché “deciso e capace”, quasi un amministratore delegato scelto dai grandi industriali suoi sponsor: Gianfelice Rocca (patron di Tenaris, tubi e servizi per perforazioni petrolifere, ma anche dell’Humanitas), Tronchetti Provera (tuttora azionista importante di Pirelli), Diana Bracco (farmaceutica), Luigi Abete, Bonometti (presidente Confindustria Lombardia) e Tortoriello (presidente Unindustria Roma-Lazio), Pietro Ferrari (presidente Confindustria Emilia Romagna) e Vescovi (presidente Confindustria Vicenza). Rocca è il capofila di quel blocco di potere bergamasco che si è ferocemente opposto a qualsiasi “zona rossa”, sacrificando lavoratori e pensionati come medici e infermieri. Bonomi quindi garantisce una linea durissima sul fronte “apriamo subito tutte le fabbriche” costi quello che costi in termini di vite umane, definendo “smarrita” quella parte di politica che si affida agli “esperti “(leggi medici).

Ha combattuto Boccia, industriale del Sud, dal punto di vista “nordista” e lo ha accusato di immobilismo.

Per questo è l’uomo di fiducia per il nuovo triangolo industriale (rappresentato da Lombardia, Emilia Romagna e Veneto), mentre non piace ai piemontesi, che stanno perdendo terreno.

Alla luce di questi elementi si comprende il rapporto di Bonomi con la politica.

La destra, leghista e no, ha esultato per la sua elezione, ma in realtà sarebbe semplicistico vedere un rapporto unilaterale. Nel 2018 Bonomi come molti degli imprenditori del Nord ha visto con simpatia la nascita del governo giallo-verde, ma presto sono cominciate le frizioni, culminate con un pesante battibecco con il leghista Borghi. Bonomi ha criticato pesantemente Reddito cittadinanza e Quota 100 (spese inutili che non rilanciano l’economia), la manovra in deficit (lo spread alto significa costi pesanti per il finanziamento delle imprese), ma soprattutto il taglio dei finanziamenti al progetto industria 4.0 proposto da Calenda (che avrebbe dovuto accelerare la digitalizzazione di industrie e pubblica amministrazione). Quando nasce il secondo governo Conte, Bonomi chiede ufficialmente il taglio di Quota 100, del Reddito di cittadinanza e anche degli 80 € di Renzi e di investire questi soldi per ripristinare industria 4.0, e soprattutto per investire in scuole e Università.

Perché industriali del suo tipo “cercano sempre più personale altamente qualificato” e non lo trovano (e gli stranieri con questo tipo di formazione non vengono in Italia, vanno in Gran Bretagna o Germania dove i salari sono più alti).

Di recente Bonomi ha riproposto il taglio di cui sopra e di investire i 14 miliardi risparmiati nel cuneo fiscale a “vantaggio tutto dei lavoratori” (in questo modo gli imprenditori potrebbero evitare di aumentare i salari, salvo poi evidentemente tagliare pensioni e servizi).

Le uniche misure del secondo governo Conte che ha approvato sono: a) il ritorno del super ammortamento cioè la possibilità di detrarlo a fini fiscali, inizialmente cancellato nella legge di bilancio; b) il rifinanziamento della legge Sabatini, cioè i finanziamenti agevolati per acquistare macchinari, impianti e attrezzature, hardware, software e tecnologie digitali.

Bonomi ha bacchettato la Lega per gli attacchi all’Europa e ha invece approvato Conte per aver mediato con Bruxelles in occasione della stesura della legge di Bilancio 2019, e per aver favorito l’elezione di Ursula von der Leyen, perché “le imprese italiane sono profondamente integrate nel mercato europeo” e senza l’Europa l’Italia è solo più debole. Ha bacchettato Di Maio per la scelta “isolata” di firmare la Via della Seta con la Cina. L’amicizia con la Russia poi non la capisce, perchè Putin è troppo “antidemocratico”.

Non è escluso quindi che Bonomi opti per un’apertura di credito al nuovo governo, piuttosto che puntare su Salvini, ma sempre nell’ottica di usarli ai propri fini.

Naturalmente Bonomi non è tutto il padronato italiano e Confindustria non è quella dei tempi di Agnelli, il suo blasone si è un po’ appannato per gli scandali e inoltre deve fare i conti con una piccola borghesia, produttiva e no, e una quantità anomala di lavoratori autonomi che elettoralmente pesano di più (e infatti Salvini li ha coltivati con il mega sconto fiscale alle partite Iva).

E soprattutto il coronavirus sta facendo riflettere i lavoratori sul peso che viene dato alla loro vita (e alla vita delle persone in generale) se in alternativa c’è una prospettiva di profitto. È Domenico Arcuri, il commissario per l’emergenza coronavirus, a dire che ne ha uccisi di più il coronavirus in Lombardia che i bombardamenti della seconda guerra mondiale. I lavoratori hanno cominciato a astenersi dal lavoro per la “difesa della vita”, cioè evitare di lavorare dove non erano rispettate le norme di sicurezza (come previsto dall’art. 44 della Legge 81/08 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro). È un modello che va esteso, riempiendolo di parole d’ordine che impediscano alla borghesia di scaricare i costi del virus tutto sui salari, sulle pensioni e sui redditi dei più deboli.

 

Bonomi, il piccolo “uomo forte “ della Confindustria – gli approfondimenti

Bonomi l’imprenditore
Carlo Bonomi (da non confondere con il Carlo Bonomi figlio di Anna Bonomi Bolchini e nemmeno con Aldo Bonomi boss del settore metalmeccanico) nasce a Crema, ha 54 anni.

Piccolo imprenditore di prima generazione, dopo esperienze come commercialista e poi come manager per una multinazionale nella diagnostica in vitro, nel 1997 compra una piccola società di strumentazioni per analisi di laboratorio (la CGA di Firenze). Poi passa a una startup di informatica per la Sanità (la Extra.it). Nel 2013 con Synopo vende, noleggia e garantisce la manutenzione delle apparecchiature elettromedicali Natus. Nel 2015 Synopo acquisisce (per 4 milioni di €) il 90% della Sidam, 70 addetti, leader nella produzione di consumabili nella diagnostica per immagini. Sidam si trova nel cuore del distretto italiano biomedicale di Mirandola (Modena), il più importante in Europa, terzo nel mondo (dopo quelli di Minneapolis e Los Angeles) detiene 14 brevetti internazionali. L’80% del suo giro d’affari è all’estero. Molti prodotti sono lanciati in partnership con le multinazionali cui sono destinati, ma il know how è della Sidam che porta avanti in proprio la ricerca. Nel 2016, Sidam acquisisce la BTC Medical Europe di Valeggio sul Mincio (VR), 26 addetti. Sidam e BTC sono piccole imprese a conduzione familiare con personale competente e anni di esperienza e Bonomi mantiene ex proprietari e management a dirigerle e gestirle, ad es. la Sidam è diretta da Annalisa Azzolina. Sia Sidam che BTC si appoggiano a un sito di ricerca di Nonantola (Modena), cui di recente si è aggiunto uno dei sette laboratori di ricerca della Human Technopole di Milano, ancora in parte in allestimento. Synopo può acquistare Sidam grazie ai capitali di Caravaggio Tre srl, che fa capo alla milanese Berrier Capital, società di private equity di Vincenzo Alberto Craici, di due privati Antonella Nobile e Guido Grassi e della Marsupium srl, la classica società di comodo dove assieme a un avvocato milanese Sergio Laghi (20%) e all’amministratore delegato di Hewlett Packard Italia Stefano Venturi, figura un’altra scatola vuota, la Ocean, una società di cui Bonomi possiede il 33,3% pari a 31 mila € , mentre il resto sono ignoti finanziatori. Di tutte queste operazioni finanziarie si fa garante la Banca Popolare di Milano (di cui è stato direttore un altro Bonomi, Andrea, che non è il nostro, ma il nipote della già citata Anna Bonomi Bolchini).
(cfr https://www.industriaitaliana.it/synopo-la-manifattura-biomedica-a-360-gradi/
https://www.glistatigenerali.com/imprenditori/limprenditore-da-31mila-euro-che-vuol-scalare-assolombarda/ oltre agli articoli di Fabio Pavesi su vari giornali)

Assolombarda e dintorni
Dal settembre 2016 Bonomi è membro del comitato esecutivo e del consiglio generale di Fondazione Fiera Milano, è già nel consiglio di amministrazione dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) e da giugno 2017 nel consiglio generale di Aspen Institute Italia, quindi ben introdotto in due importanti “salotti” della politica estera dell’imperialismo italiano e americano.

Sempre nel giugno 2017 viene nominato presidente di Assolombarda, di cui prima era vicepresidente con delega a Credito e Finanza (e presidente era Gianfelice Rocca indagato per corruzione in Brasile).

Assolombarda rappresenta 5.766 imprese per un totale di 335.229 dipendenti delle province di Milano Lodi, Monza e Brianza; ha un forte peso specifico negli equilibri interni al sistema di Confindustria.

Bonomi batte per 9 voti Andrea Dell’Orto, che guida l’azienda elettromeccanica di famiglia. Dell’Orto sarà comunque vicepresidente di diritto in quanto numero uno del presidio territoriale di Monza e Brianza. Hanno appoggiato Bonomi oltre a Rocca, anche Marco Tronchetti Provera e Diana Bracco. Mentre Giorgio Squinzi (morto 2019) ed Emma Marcegaglia – secondo quanto ha raccontato il Corriere della Sera – avevano sostenuto Dell’Orto. Bonomi e Rocca attaccheranno spesso Boccia nel quadro di una polemica anti-romana. Rocca e Boccia si sono scontrati anche per la ricapitalizzazione del Sole 24 Ore.

La motivazione della sua elezione è scritta nella biografia stilata da Assolombarda “L’interesse per la ricerca e il lavoro nelle imprese a elevato contenuto d’innovazione hanno connotato il suo percorso professionale, iniziato in una multinazionale della diagnostica in vitro e proseguito ricoprendo incarichi in società di ricerca pubbliche e private”.

Rapporti con i due governi Conte
Bonomi nel novembre 2018, è membro del consiglio di amministrazione dell’Università Bocconi e dal novembre 2019 entra nel cda di Dulevo International di Fontanellato (Parma), un’azienda di spazzatrici industriali. È anche Consigliere indipendente di Springrowth SGR di Milano, un fondo per il finanziamento delle PMI, lanciato da Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) e Cassa Depositi e Prestiti.

Rispetto al governo Lega-M5S, lo critica per “la mancanza di rispetto delle istituzioni”, perché usa un linguaggio incivile «che alimentano paure per sfruttarle a fini di consenso» e perché “il Governo del cambiamento” “non ha prodotto una manovra di vero cambiamento», puntando più sul «dividendo elettorale che non sulla crescita»” (Sole 24 Ore settembre 2018). Critica in particolare il Reddito di cittadinanza e Quota 100: “Aumentare la spesa corrente – ha detto ieri Bonomi – non è la strada corretta, certe cose non vanno nella direzione del bene del Paese». Ecco perché meglio sarebbe allocare i miliardi del reddito di cittadinanza ad un istituto di ricerca, un Fraunhofer italiano per la manifattura in grado di rilanciare l’innovazione; spendere i fondi destinati ai prepensionamenti per investire in formazione ed università, guardare in generale allo sviluppo più che alla redistribuzione. Bonomi dice “no” ad uno Stato che chiude gli esercizi commerciali la domenica, che si oppone alle grandi opere. È contro la rinazionalizzazione di Alitalia. Altro motivo di insoddisfazione la mancata realizzazione della Flat tax. In sintesi lo giudica un governo “miope” e litigioso che presta attenzione solo “all’interesse elettorale a breve” e non ha strategia. Bonomi sottolinea la disattenzione per gli investimenti strategici sul “digitale” (blocco degli incentivi per “industria 4,0”): appena 85 euro di spesa pubblica per ogni italiano, rispetto ai 186 euro della Francia, ai 207 della Germania e ai 323 del Regno Unito. Secondo lui proprio dalla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione dipende in buona parte la possibilità di far crescere il Paese.

Quando Salvini fa cadere il governo commenta “non si governa un paese da un balcone o da una spiaggia”.

A nuovo governo giallo-rosa varato, Bonomi concentra la sua proposta: a) sulla necessità di abbattere in modo strutturale il cuneo fiscale, misura che aumenterebbe l’occupazione e migliorerebbe i bilanci delle imprese; b) ripristinare gli stimoli all’investimento nel digitale sulla base di un piano straordinario poliennale; c) realizzare le infrastrutture necessarie allo sviluppo, a iniziare dalla Tav.

Bonomi invece si oppone al salario minimo, perchè la maggior parte dei lavoratori è già ben contrattualizzata e fa crescere i costi per le imprese.

Sulla pandemia da coronovirus: il 24 marzo in una intervista al Giornale rifiuta la qualifica di untori per gli industriali e attribuisce il contagio in Lombardia alle partite di calcio, alle code agli skilift e alle gite al mare. Secondo lui in fabbrica non c’è il contagio…

Del resto è “normale” che in mille che muoiano ogni anno per infortuni sul lavoro; se se ne aggiungono qualche altro migliaio per coronavirus, ci sarà chi li sostituisce… l’importante è che chi resta continui a produrre profitti!

La vittoria in Confindustria
Confindustria raggruppa su base volontaria oltre 150.000 imprese, fra cui anche banche e dal 1993 anche aziende pubbliche per un totale di 5.439.370 addetti. Bonomi è designato presidente di Confindustria il 16 aprile 2020. Bonomi batte agevolmente l’unica candidata rimasta in lizza, la ex vicepresidente Lucia Mattioli (123 voti contro 60), una investitura ampia rispetto a quelle di Boccia nel 2016 (100 voti contro i 91 di Vacchi) e a quelle di Giorgio Squinzi nel 2012 (93 voti contro 82 di Alberto Bombassei). Hanno votato tutti i 183 aventi diritto. La designazione da parte del consiglio generale di Confindustria si è tenuta in via telematica a seguito dell’emergenza Covid-19. La nomina dovrà essere confermata dall’assemblea degli industriali prevista per il 20 maggio 2020.

Non è di poco peso sottolineare che a ostacolare Bonomi ci sarà sempre una cordata rappresentante settori produttivi tradizionali (il metalmeccanico, l’elettromeccanico o la siderurgia).

Ad esempio solo all’ultimo si è ritirato nella corsa per Confindustria il bresciano Giuseppe Pasini, acciaiere a capo di Feralpi, colosso della siderurgia italiana da 1,32 miliardi di euro di fatturato e con 1.500 dipendenti, più svariate sedi all’estero e una massiccia presenza in Germania. Pasini aveva un obiettivo ben preciso: difendere e rilanciare l’Ilva, considerata un asset strategico per l’Italia, comunque fondamentale nel ciclo dell’acciaio italiano. Bonomi si è sempre dichiarato contrario alla rinazionalizzazione perchè gli errori all’Ilva li ha fatti principalmente lo stato.

Il discorso di investitura a Confindustria
Peschiamo qualche chicca:

*“la sfida tremenda che è davanti a noi: continuare a portare la posizione di Confindustria su tutti i tavoli necessari rispetto ad una classe politica che mi sembra molto smarrita in questo momento, che non ha idea della strada che deve percorrere il nostro Paese.”

*riprende anche un cavallo di battaglia degli anni ’90, cioè la cultura anti-industrialista che permeerebbe la cultura italiana “Non pensavo di sentire più l’ingiuria che le imprese sono indifferenti alla vita dei propri collaboratori. La politica ci ha esposto ad un pregiudizio fortemente anti-industriale che sta tornando in maniera importante in questo Paese»

* (sul decreto Cura Italia):” La voragine del PIL è tremenda e far indebitare imprese non è la strada giusta, con tempi di modalità di accesso al credito che non sono nemmeno immediati”. La strada per superare gli effetti disastrosi sull’economia della pandemia da Coronavirus passa per “una grande cooperazione pubblico-privato, analoga a quella che ha fatto reggere l’Italia ai colpi durissimi del secondo conflitto mondiale, del terrorismo, dell’inflazione, del rischio di insolvibilità che ci portò alla crisi del 2011”

* “Le decisioni devono essere chiare, e con tempi rapidissimi. Senza calendari diversi da Regione a Regione». Occorre «riprendere le produzioni, perché solo quelle danno reddito e lavoro e non certo lo Stato, ed evitare una seconda ondata di contagio che ci porterebbe a nuove misure di chiusura che sarebbero devastanti».
In realtà decine di migliaia di imprese non si sono mai fermate o hanno già ripreso a lavorare, con un’autodichiarazione che i prefetti fanno passare chiudendo entrambi gli occhi, senza controlli.
La seconda ondata è già in preparazione, e si darà ancora la colpa a chi fa jogging…