ITALIA, IRAQ, POLITICA
CORRIERE Ven. 28/4/2006 Paolo Mieli
Il nuovo governo rispetti gli impegni presi
Il nuovo governo deve mantenere l’attuale linea
sull’IRAQ: non una fuga ma un ritiro concordato con le autorità irachene. Linea
condivisa da maggioranza e opposizione.
E’ un fatto positivo, molto positivo, che il leader
della maggioranza di centrosinistra uscita vincitrice sia pure di misura dalle
elezioni del 9 aprile non abbia preso spunto dall’ uccisione a Nassiriya di
Franco Lattanzio, Nicola Ciardelli e Carlo De Trizio per riproporre l’ annoso
tema del ritiro «immediato» del contingente italiano dall’ Iraq. E non è da
pensare che questa scelta di Romano Prodi sia stata dettata dall’ esigenza per
così dire tattica di non turbare con inopportune polemiche un giorno di lutto.
C’ è da registrare infatti che ieri neanche un leader tra coloro che
presumibilmente avranno posizioni di responsabilità nel futuro governo e ai
vertici delle istituzioni abbia posto la questione della data del ritiro e
nessuno di loro abbia definito «forze di occupazione» quei nostri militari che
dal 2003 hanno addestrato oltre diecimila soldati e cinquemila poliziotti del
luogo consentendo al nostro contingente di ritirarsi di qui alla fine dell’
anno senza lasciare dietro di sé una situazione identica a quella che gli
italiani trovarono al loro arrivo.
Questioni nominalistiche, di mera forma? No. Al di là delle schermaglie
televisive, da tempo maggioranza e opposizione concordano – d’ intesa in linea
di massima con Stati Uniti e Gran Bretagna – sulla opportunità di ritirare il
nostro contingente, peraltro già dimezzato (da tremila e duecento a mille e
seicento uomini nel prossimo giugno), entro l’ anno 2006. E sono d’ accordo
altresì, maggioranza e opposizione, sull’ impegno a verificare, punto per
punto, le modalità di questo ritiro con le autorità di governo irachene.
Accennare adesso a una modifica di questo calendario sarebbe stato e ancora
potrebbe essere un modo di dare soddisfazione agli attentatori che hanno ucciso
allo scopo evidente di potersi presentare domani alle popolazioni locali come
coloro che hanno costretto gli «occupanti» alla fuga.
Oggi è invece il giorno in cui dobbiamo ricordare che i militari italiani
uccisi a Nassiriya erano lì assieme ai loro colleghi in sintonia con ben due
risoluzioni delle Nazioni Unite, la 1511 del 16 ottobre 2003 e la 1546
dell’ 8 giugno 2004, che stabilivano le modalità per debellare il terrorismo e
stabilizzare il fronte interno iracheno. E sono stati ripetutamente invitati
a restare nella regione da un governo, quello di Bag dad, che nel corso del
2005 è stato legittimato da tre tornate elettorali: il 30 gennaio, il 15
ottobre e il 15 dicembre.
Questo attentato coglie l’ Italia in un difficile passaggio nel quale un
governo sta uscendo di scena e quello nuovo ancora non c’ è. Se un effetto
potrà avere sulla nostra politica interna dovrà essere – ci auguriamo – quello
di accelerare le procedure perché nei modi più limpidi il Paese, a tre
settimane dalle elezioni, possa avere riferimenti istituzionali certi. E c’
è da augurarsi che, come è stato oggi anche per merito di gran parte del
centrodestra, a nessuno venga in mente di sfruttare l’ occasione luttuosa per
far valere la radicalità del proprio punto di vista o per seminare zizzania in
campo avverso. Un Paese civile è quello che non modifica i propri impegni
internazionali a seguito di un’ emozione e riteniamo che il modo giusto per
onorare De Trizio, Lattanzio e Ciardelli sia quello di considerarli eroi di
pace caduti sotto i colpi di una banda di guerra. E di mantenere l’ impegno a
restare in Mesopotamia per il lasso di tempo che serve a portare a termine la
missione di aiutare l’ Iraq a sconfiggere, da sé, quella banda di guerra.