
L’incontro di oggi tra Confindustria e sindacati al Ministero del Lavoro, per la firma di un protocollo che era in discussione da più di un anno (notabene), ha tutta l’aria di rassomigliare agli incontri triangolari per i protocolli del tempo del covid – misure vaghe e non obbligatorie. Per queste ci vorrebbe un’immediata disposizione di legge, ma il governo Meloni, quanto altro mai governo dei padroni, si guarda bene dall’ipotizzarlo. Si copre, truffaldinamente, dietro gli “accordi tra le parti”, e l’unica cosa che si capisce è che si prepara a coprire gli eventuali danni derivati all’attività delle imprese dall’insopportabile caldo prolungato di questo periodo.
Per intanto già si registrano diversi morti e un’impennata di malori, a cui alcune regioni rispondono con provvedimenti di sospensione del lavoro nelle ore più calde che hanno più il carattere di indicazioni di massima, che di norme da far rispettare a tutti i costi. Dal Veneto abbiamo appena ricevuto un intervento dei delegati Fiom della Fincantieri che contestano alla Regione di aver fatto finora solo chiacchiere (esercizio in cui Zaia & Co. sono stagionati professionisti) – ma ci permettiamo di ricordare loro che finora neppure la Fiom ha brillato per iniziativa.
Anche in questo caso l’autodifesa della propria salute è nelle mani degli stessi operai/e e dei salariati/e degli uffici – a cominciare, naturalmente, dai braccianti e dagli edili, i più esposti alle conseguenze di questa emergenza climatica. Ai tempi del covid il SI Cobas prese, a scala nazionale, l’iniziativa, per noi allora e oggi esemplare, di astenersi per due settimane dal lavoro affinché le imprese prendessero nel frattempo tutte le misure necessarie a sanificare gli ambienti di lavoro. E da questa iniziativa derivò poi un’attività di controllo in molti magazzini sull’operato delle imprese.
In questo caso dal SI Cobas di Napoli e di Torino ci sono pervenute delle prese di posizione e delle specifiche iniziative che vanno nella direzione giusta: con il caldo torrido non si lavora! Punto. [Se in giro ce ne sono state altre, inviatecele, e le renderemo note perché questa è una battaglia che riguarda tutta la classe lavoratrice, al di là delle singole sigle sindacali, e sempre più si dovrà rinnovare.]
L’effettiva attuazione di questo principio è interamente consegnata non certo alla “sensibilità” e al “senso di responsabilità” dei padroni, che sappiamo essere, quanto alla difesa della salute dei lavoratori e delle lavoratrici, a zero, ma all’auto-attivazione organizzata sui posti di lavoro, inclusi – evidentemente – anche quelli del terziario, che sarebbero esclusi dall’accordo Confindustria-sindacati. Con un’attenzione particolare, che in genere manca, alla condizione delle lavoratrici, in gravidanza, nel periodo di allattamento, nel ciclo, etc.
Il mutamento climatico fa sì che al vecchio anticiclone delle Azzorre si sostituiscano quelli africani, portatori di temperature che arrivano ai 40 gradi (e oltre) anche in Europa. Se nella vita privata ognuno cerca di difendersi come può, con il peso delle differenze di classe, nei luoghi di lavoro i padroni vorrebbero che si lavorasse anche a 38 gradi, e con la stessa produttività. Il profitto contro la salute dei lavoratori. Lo sforzo ad alte temperature logora l’organismo e rischia di produrre danni irreparabili (infarto, collasso, ecc., come avvenuto in diversi casi, nei campi e non solo), e non sempre questi danni sono immediati.
Il Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro prevede – come principio – la possibilità di astensione dal lavoro qualora le condizioni comportino un rischio per la vita del lavoratore. I lavoratori vi si possono appellare, ma la decisione non può essere lasciata al singolo lavoratore, che sotto il ricatto del padrone è spesso indotto ad accettare il rischio per la propria salute pur di conservare il posto di lavoro. Non basta neppure che siano le organizzazioni sindacali a imporre la fermata quando le condizioni sono insopportabili – ammesso che lo facciano, perché la tendenza di questi anni è, invece, a monetizzare la salute, anche, purtroppo, in settori del sindacalismo di base – perché organizzano ormai solo una minoranza dei lavoratori.
Oltre la massima auto-attivazione dei lavoratori e delle lavoratrici, servono anche norme cogenti, che obblighino le aziende a sospendere il lavoro quando il calore (o meglio la combinazione temperatura/umidità/ventilazione) supera le soglie di rischio, indipendentemente dal fatto che i lavoratori lo chiedano.
Diverse regioni hanno emesso ordinanze in tal senso, che tuttavia riguardano prevalentemente i lavori all’aperto. Occorrono norme generali, valide per tutti/e (quindi non per i soli aderenti a Confindustria o a determinate organizzazioni datoriali), che valgano per tutti gli ambienti di lavoro, che impongano la sospensione del lavoro, con la garanzia piena del salario, quando le soglie di sicurezza del caldo vengono superate, e con sanzioni pesanti per chi trasgredisce e con norme che proteggano da ritorsioni i lavoratori che denunciano condizioni di lavoro insostenibili.
Sappiamo che non siamo vicini a questa situazione, per i rapporti di forza attualmente sfavorevoli alla classe lavoratrice. Ma questa è la prospettiva in cui muoversi, l’obiettivo da perseguire. Questo è l’unico modo di difendere la salute di chi lavora e per costringere le aziende a investire nella climatizzazione degli ambienti di lavoro, costi quel che costi.
La salute deve venire prima del profitto!
CALDO & LAVORO – ALTE TEMPERATURE & SALUTE
AZIONE SINDACALE A DIFESA DEI LAVORATORI
Con il caldo eccessivo i lavoratori rischiano effetti classificati come non letali (crampi, malessere e affaticamento) fino a quelli potenzialmente mortali (colpo di calore).
Nonostante il succedersi climatico di sempre più gravi “ondate di calore”, da una parte le aziende continuano l’attività lavorativa a vantaggio del profitto degli azionisti ma a danno delle condizioni operaie e finanche della vita umana, dall’altra parte il governo rifiuta ogni responsabilità di fatto negando il fenomeno del caldo e addirittura delegando alle istituzioni locali ogni eventuale provvedimento comunque parziale: come lavoratori, che fare?
Il rischio “alte temperature” va gestito e prevenuto a partire dall’organizzazione sul luogo di lavoro, non solo usando le norme di legge generali a tutela della salute (specialmente laddove risultano inapplicate).
È indispensabile “arrivare il giorno prima e non il giorno dopo”, un principio questo che è a fondamento dell’azione sindacale di classe.
Questo significa non ridursi ad affrontare il problema quando il caldo torrido è già scoppiato.
Secondo i manuali classici della medicina del lavoro le attività lavorative debbono rientrare in un intervallo che va da un massimo accettabile di 32°C per lavori leggeri a un massimo di 26.5°C per lavoratori che eseguono lavori pesanti.
L’Onu ha affermato che 2,4 miliardi di persone nel mondo (il 70% della forza lavoro planetaria, al 90% concentrare in Africa e nei paesi arabi) lavora in condizioni di “caldo estremo” e che le elevate temperature esasperano le disuguaglianze sociali, come è avvenuto per il Covid.
Si ripropone la storica denuncia di Franco Basaglia sul “morire di classe” e quindi dobbiamo considerare il caldo eccessivo come uno dei tanti rischi professionali che incombono sui lavoratori e sulle lavoratrici, in particolare su chi è assegnato a mansioni pesanti.
In Italia le morti sul lavoro hanno una cadenza quotidiana: mediamente, ogni giorno muoiono tre lavoratori.
Tra i tanti fattori di rischi ve ne uno potenzialmente mortale ma di fatto sottovalutato: le alte temperature.
Solo apparentemente si tratta di un rischio “naturale”, in realtà è un rischio strettamente connesso all’organizzazione del lavoro (alti carichi e ritmi, orari lunghi e massacranti, poca o nulla areazione, mancanza di acqua adeguata…)
Qui sotto, un esempio di azione a difesa delle condizioni operaie: succede nella fabbrica alimentare di Fiorentini grazie all’iniziativa sindacale degli operai appalti Elpe.
Invitiamo tutti i lavoratori interessati a contattare la nostra organizzazione per realizzare un’iniziativa sindacale adeguata in altri luoghi di lavoro per la prevenzione della salute e il rispetto della sicurezza, affrontando come sindacato la problematica delle alte temperature: particolarmente grave proprio in questi giorni come dimostrato dai dati pubblicati dall’agenzia Arpa Piemonte (vedi bollettino delle “ondate di calore” nelle foto allegate).
“Buongiorno,
la presente a seguito di segnalazione sul sito Fiorentini di Trofarello (TO) sulla problematica prevenzione della salute e rispetto della sicurezza.
In particolare, si segnala che a seguito dell’inizio della stagione calda e in considerazione del mancato adeguamento climatico dei reparti della fabbrica, si ripropone la grave irrisolta problematica delle alte temperature, specialmente in prossimità dei macchinari e in concomitanza con ondate di calore: a ulteriore peggioramento delle condizioni dei lavoratori così aumentando il rischio di provocare malesseri anche letali o patologie anche a lungo termine, nonché aumentando gli infortuni sul lavoro come colpo calore e altre difficoltà come stress da calore o disidratazione.
Pertanto, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente in particolare i diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato come da art. 44 D.Lgs. 81/2008, per garantire la prevenzione della salute e il rispetto della sicurezza, richiedendo l’adozione immediata ed efficace di ogni misura necessaria a difesa dei lavoratori, la presente vale come apertura dello stato di agitazione per tutti i lavoratori appalti Fiorentini sito di Torino e provincia, i quali senza ulteriore comunicazione possono attuare ogni azione adeguata a difesa della incolumità come iniziativa sindacale anche con astensione da lavoro, la quale non dipendendo da loro responsabilità dovrà comunque essere retribuita dall’azienda.
Saluti,
S.I. COBAS
Corso Palermo, 60 – 10152 – Torino
segreteriasicobas.to@gmail.com“


