
Abbiamo sostenuto l’altro ieri (1) la necessità di norme cogenti e generalizzate che proteggano lavoratori e lavoratrici dal rischio che il caldo estremo porta alla loro salute. Il “Protocollo quadro per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro”, firmato ieri da CGIL, CISL, UIL e Confindustria presso il Ministero del Lavoro dopo più di un anno di gestazione, più che un topolino è stato una beffa, dove il burocratese ministeriale unito al sindacalese realizza l’inafferrabilità dell’illusionista.
Sfidiamo il lettore a trovare le misure di contenimento dei rischi che il titolo annuncia nel testo del Protocollo: https://www.lavoro.gov.it/stampa-e-media/protocollo-condizioni-climatiche-estreme-luglio-2025-mlps
A parte il richiamo alla legge del 2008 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, il Protocollo non prevede alcun obbligo per le imprese a sospendere l’attività a tutela della salute dei lavoratori quando questa sia minacciata dal caldo eccessivo nel luogo di lavoro. Solo le buone intenzioni e l’impegno ad… “attivare tavoli contrattuali”:
“il presente protocollo promuove le buone pratiche al fine di scongiurare infortuni e malattie professionali, come anche eventi e condizioni di malessere, connessi alle emergenze climatiche. L’obiettivo prioritario è coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative. […]
“In ambito emergenziale, quale declinato dalla normativa e dalle disposizioni eventualmente adottate dalle autorità, le parti sindacali e datoriali, alla luce del presente protocollo, si impegnano ad attivare tavoli contrattuali nazionali settoriali, territoriali o aziendali, volti a declinare le buone prassi e le misure necessarie e condivise per le realtà specifiche dei diversi settori, delle dimensioni aziendali, dei territori e dei processi industriali e lavorativi, che potranno diventare parte integrante dei relativi CCNL vigenti. Il presente protocollo quadro intende valorizzare le iniziative (anche contrattuali) già assunte in sede nazionale di categoria, territorio o azienda. […]
“Le parti auspicano che gli eventuali provvedimenti adottati in sede locale tengano conto delle indicazioni eventualmente adottate in attuazione del presente Protocollo quadro. [nostro grassetto]
Ecc. ecc. bla, bla, bla…
Attorno alla metà di giugno 13 regioni hanno emanato delle apposite delibere nelle quali, sotto la spinta dell’emergenza climatica, si è provato a mettere una toppa nel vuoto normativo (non casuale) dello stato centrale. In queste delibere viene espressamente prevista l’ipotesi di sospendere le attività dalle 12 alle 16, ma soltanto nei giorni considerati “ad alto rischio” dal sito http://www.worklimate.it operante per conto dell’Inail e del CNR, soltanto nei settori agricolo, edile ed affini e soltanto in “condizioni di esposizione prolungata al sole”.
Tradotto in soldoni, ciò significa che in tutti gli altri settori, o anche negli stessi settori agricolo ed edile, laddove il padrone obietti che l’esposizione al sole non sia “prolungata”, i lavoratori potranno (o meglio dovranno) continuare a farsi sfruttare in condizioni di caldo estremo.
A nostro avviso quella portata avanti dal governo e dalle stesse regioni è una subdola operazione politica, che in nome di una presunta “tutela” dei lavoratori, punta in realtà a raggiungere lo scopo opposto, cioè: restringere e perimetrare il diritto dei lavoratori a salvaguardare la propria salute solo in casi “estremi”.
Se così non fosse, sarebbe bastato richiamarsi a quanto previsto dal Testo unico sulla sicurezza (D. Lgs 81/08), il quale annovera il “microclima” sul luogo di lavoro quale fattore di rischio (art.180) atto a determinare il diritto all’”autotutela” del lavoratore, cioè ad abbandonare il lavoro in caso di pericolo grave (articolo 44, comma 1: “Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa.”).
Un provvedimento pubblico avrebbe dovuto casomai definire con chiarezza le soglie di temperatura oltre le quali questo pericolo diviene concreto, tenendo conto che già l’Inail si è ripetutamente espressa nel merito, individuando come “soglia critica” una temperatura percepita di 35 gradi: si badi bene, temperatura percepita vuol dire che anche a 30 gradi, ma con un alto tasso di umidità, le attività lavorative sono considerate rischiose.
Ancor più grave è l’assenza totale di misure concrete ed urgenti a tutela dei lavoratori “fragili” – a cominciare dalle donne in gravidanza o nel periodo post-gravidanza -, per i7le quali andrebbe garantita in ogni caso una maggiore protezione.
Dunque: il governo Meloni non intende imporre ai suoi padroni di rinunciare al profitto neanche quando il suo perseguimento minaccia salute e vita dei lavoratori. La loro logica è quella enunciata da Glovo : schiavo, ti do 5 centesimi in più all’ora per il lavoro sotto il sole cocente, e trotta!
Ci si poteva aspettare almeno che i sindacati confederali rivendicassero il diritto in tutti i luoghi di lavoro di sospendere il lavoro quando il caldo supera un limite prestabilito, con l’adozione della Cassa Integrazione e di compensazioni salariali. Niente di tutto questo. Ogni misura concreta è rinviata a livello territoriale o di categoria o aziendale, attraverso una contrattazione tutta da fare: è la pratica della divisione, dell’aziendalismo e del rinvio a quando la stagione calda sarà passata, e quindi se ne riparlerà alla prossima… per non parlare della tendenza, sempre più forte, alla monetizzazione del rischio-salute.
L’unica misura concreta è che l’eventuale l’utilizzo della Cassa Integrazione Guadagni per l’emergenza caldo non venga calcolato al fine dei limiti massimi di utilizzo degli ammortizzatori sociali. Ma nessun obbligo ad utilizzare la CIG o FIS quando la salute dei lavoratori sia minacciata, nessun obbligo a installare climatizzatori dove necessario per rendere il lavoro compatibile con la salute dei lavoratori.
Non resta che prendere l’iniziativa, dove sono presenti lavoratori combattivi, per fermare il lavoro quando il caldo mette a rischio la salute di chi lavora – come hanno fatto gli operai dell’Elettrolux di Forlì ieri, un esempio da seguire! Un esempio di autodifesa operaia attiva che mette in luce quanto non ci si possa e non ci si debba aspettare nulla dalle direzioni collaborazioniste di CGIL-CISL-UIL, o dal protocollo-beffa, e si debba invece prendere l’iniziativa sui luoghi di lavoro, e collegare tra loro le risposte di lotta.
In termini legali, ci si può avvalere della facoltà data dal Decreto legislativo 81 del 2008 quando la salute è in pericolo. E utilizzare queste sospensioni del lavoro per chiedere più pause in luoghi freschi, acqua per bere e per rinfrescarsi, e per costringere le aziende ad investire per migliorare il microclima sul lavoro – pubblicizzando queste iniziative e i risultati ottenuti per cercare di generalizzarli. In mancanza della volontà dei sindacati confederali di imporre norme valide per tutti, cerchiamo di dare l’esempio e promuoverne la generalizzazione: col caldo torrido non si lavora!
Qui di seguito abbiamo ricostruito un piccolo dossier con alcune tra le iniziative “dal basso” e combattive che ci sono state notificate, e con alcuni aspetti di questa situazione di emergenza per la salute di milioni di operaie/e, lavoratori, lavoratrici.

SI Cobas Genova: GLOVO OFFRE UN BONUS PER CHI LAVORA CON PIU DI 40 GRADI : SUBITO TUTELE PER I LAVORATORI DEL FOOD-DELIVERY!

Su Repubblica Genova le richieste dell’assemblea dei rider del S I. Cobas Genova : salario garantito e salvaguardia della salute!
Glovo sospende il bonus caldo dopo le polemiche, fermo il servizio sul turno di pranzo in Piemonte (ma non per Just Eat) : la tutela della vita e della salute dei rider deve andare di pari passo con la difesa del salario!
Oggi su la Repubblica Genova, nell’articolo a firma di Erica Manna, le richieste dell’assemblea dei lavoratori del food-delivery del SI Cobas Genova che possiamo sintetizzare così: salario garantito e salvaguardia della salute!
Glovo e Deliveroo aumentino la tariffa fissa (slegata dalla temperatura), JustEat metta in pratica la procedura di stop al servizio nelle ore più calde, subito un indennizzo per le giornate di lavoro perse dai rider nelle regioni dove il servizio è stato sospeso dalle ordinanze, come è accaduto in passato per i lavoratori fermi a causa della pandemia.
I rider non vogliono scegliere tra la vita e il salario, se fa troppo caldo non si lavora, se non si lavora dobbiamo comunque campare, i costi della catastrofe climatica causata dal capitalismo non devono essere scaricati sulla classe lavoratrice!

Qui, invece, un articolo de L’Avvenire di oggi in cui gli stessi funzionari CISL e CGIL denunciano che nelle campagne di Latina, per i braccianti immigrati, spesso senza permesso di soggiorno, la legge vale zero. E le misure anti-caldo “sono spesso ignorate”. Spesso o sempre? E sarebbe il caso di ricordare che proprio in questa zona, a Borgo Piave, moriva per il lavoro con il troppo caldo il bracciante indiano di 54 anni Dalvit Singh. Un anno dopo, nulla è cambiato, grazie alla insaziabile avidità dei proprietari terrieri, alla protezione che gli accorda il governo Meloni, alla condizione di “irregolarità” in cui vengono tenuti intenzionalmente tanti braccianti, ma anche all’inerzia degli stessi sindacati che a parole denunciano questa situazione senza impegnarsi davvero per modificarla.
E’ giusto che siano in prima fila le condizioni degli operai, dei driver, dei braccianti, ma la fatica per il lavoro in condizioni come quelle delle ultime settimane (e delle settimane che si approssimano) è anche di altre categorie di salariati, dentro gli uffici e soprattutto fuori. Qui una denuncia che è stata segnalata alla redazione relativa ai frequenti malori delle guide turistiche di Roma.