
E’ appena uscito, nella collana TIR di Pagine marxiste, il libro di G. Giusti, Disfattismo. Ieri e oggi. Rivolte, ammutinamenti e diserzioni nella prima guerra mondiale – un’esperienza storica che ha molto da dire ai militanti di oggi. Ne pubblichiamo qui in anteprima una parte del Prologo. Può essere richiesto scrivendo ad abbonamenti@paginemarxiste.it (Red.)
Prologo
I venti di guerra soffiano sempre più impetuosi nel mondo, coinvolgendo direttamente anche l’Europa occidentale. Piani di riarmo, reclutamento di militari, truppe di “interposizione”, costituzione dell’esercito europeo e approntamento di una “difesa europea” stanno diventando il pane quotidiano dei governi di tutta Europa. Quella stessa Europa che 110 anni fa si trovò coinvolta nel primo, orribile massacro di una guerra mondiale imperialista. Giovani di ogni provenienza vennero comandati di scannarsi a vicenda nelle trincee del continente per difendere, nella “patria”, gli interessi delle rispettive classi dominanti. Il macello ebbe il suo corso, ma da esso sorsero quelle ribellioni, quelle rivolte, quelle insurrezioni. Insomma quel disfattismo rivoluzionario che è esattamente l’argomento a cui è dedicato il presente volume.
Un disfattismo che ci teniamo a rivalutare per gli appuntamenti cui la storia chiamerà le generazioni del futuro, tenendo sempre presente che fu proprio l’annientamento fisico di quell’esperienza (con la controrivoluzione degli anni ’20 e ’30) a far sì che nella Seconda guerra mondiale un simile fenomeno non potesse riprodursi. A tutto vantaggio dell’instaurazione di un nuovo mondo fondato ancora sullo sfruttamento e sull’oppressione.
Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, Emilio Lussu, studente sardo, ha 25 anni. Si fa promotore nella sua Università di un gruppo interventista e nel 1915, quando l’Italia entra anch’essa in guerra, parte per il fronte. Vi giunge come sottotenente di complemento, ottenendo quattro decorazioni al valore e la promozione sul campo a capitano. Tutto ciò, invece di scatenare in lui megalomanie militariste, lo porta – al contrario – verso la condanna decisa di cosa sia una guerra imperialista. Una guerra vista dalla parte delle vittime, soffermandosi sui canoni ambientali e psicologici del nemico di “casa propria” vestito da generale. Quello che vive per la guerra trattando i sottoposti (nello specifico i poveri fanti italiani, in gran parte contadini semianalfabeti) come agnelli sacrificali. Il racconto di tutto questo lo si trova, corredato di descrizioni vivissime, nel libro Un anno sull’altipiano,1 uno dei romanzi che abbiamo scelto di inserire nel testo.
In quello stesso anno, Curzio Malaparte, studente, nato a Prato, sedicenne, prima anarchico poi repubblicano, non aspetta neppure che l’Italia entri in guerra. Parte volontario per il fronte francese inquadrato nella Legione Garibaldi (facente parte della Legione Straniera). Anch’egli decorato, si sposta sul fronte italiano fino alla disfatta di Caporetto (1917), per poi ritornare in Francia, dove verrà seriamente ferito ai polmoni dall’iprite. Suo, a caldo (1920), è il racconto Viva Caporetto!,2 da cui traiamo ampi stralci: una apologia dello sciopero militare attuato in quel frangente dalle truppe italiane, esauste dopo due anni e mezzo di mattanza bellica. Il libro, individuando negli Stati Maggiori e nel governo di Roma il nemico numero uno da abbattere, sarà subitamente sequestrato per “vilipendio alle Forze Armate”. Nonostante l’uso politico che Malaparte farà in seguito di una simile acquisizione (sfociata nella fascista “rivoluzione delle trincee” contro i “parassiti” delle retrovie), rimangono toccanti, al limite del lirismo, le descrizioni dell’autore sulla ritirata di Caporetto. Una grossa disfatta per lo Stato borghese italiano, pregna di istanze rivoluzionarie qualora essa si fosse potuta congiungere col movimento operaio.
Eric Maria Remarque, tedesco della Sassonia, nel 1914 ha anche lui sedici anni. Nel 1916 viene richiamato, con la sua classe di leva e con alcuni suoi compagni di scuola, nell’Esercito Imperiale. Combat- te in fanteria, nelle Fiandre Occidentali: dove prova sulla sua pelle tutto l’orrore degli assalti corpo a corpo. La vita umana è appesa a un filo, in balìa del caso, gettata nel tritacarne del non-senso (si combatte sanguinosamente per conquistare pochi metri di terreno, per riperderli il giorno dopo a costo di perdite sanguinosissime). Ferito nel 1917 dallo scoppio di una granata, viene ricoverato, poi reintegrato nel suo reparto, infine congedato (gennaio 1919).
Si dedica all’insegnamento, poi al giornalismo. Riflettendo sulla tota- le crudeltà della guerra, pubblica nel 1929 Niente di nuovo sul fronte occidentale,3 un romanzo dove si condannano senza mezzi termini non solo la protervia e l’insensibilità umana degli Stati Maggiori, ma anche la cosiddetta “società civile” delle retrovie (scuola, politica, famiglia) che sprona la gioventù al sacrificio per la patria, infarcendolo di folle sciovinismo e nazionalismo. Il libro, da cui abbiamo tratto la toccante scena della veglia del protagonista (ferito, dentro una lurida trincea) sull’agonia di un soldato francese colpito da lui mortalmente, verrà tradotto in 32 lingue, prima di essere messo al rogo e dichiarato fuorilegge dal nazismo.
Lussu, Malaparte e Remarque sono i tre autori che abbiamo inserito in questo lavoro sul disfattismo nella prima guerra mondiale. La letteratura sul tema è molto vasta, ma crediamo sia significativo il fatto che raccontino il dramma di quella guerra – contestualmente ai tentativi di ribellione ad essa – dalla sponda della viva testimonianza per- sonale. Nessuno di loro è internazionalista, né mai lo sarà, ma proprio per questo crediamo che il messaggio rivoluzionario (trasforma- zione della guerra imperialista in guerra civile) tragga da romanzi di tal genere ulteriori elementi di forza.
Appare nel testo, appena nominata ma su una questione fondamentale, anche la figura di Nikolaj Krylenko,4 il guardiamarina bolscevico destinato a svolgere ruoli di primo piano nella costruzione del primo Stato Sovietico, poi dell’URSS. Egli – nel contesto della rivoluzione d’Ottobre, unica vera uscita rivoluzionaria dalla guerra, cui dedichiamo un capitolo – fornisce l’esempio concreto di come i rivoluzionari non siano per gettare le armi (posizione pacifista) ma per rivolgerle contro gli oppressori. Non escludendo anche la difesa della “patria”: avversata quando è in mano alla borghesia, ma protetta energicamente una volta insediato quel potere sovietico proiettato verso l’estensione della rivoluzione proletaria.
Nikolaj Vasil’evič Krylenko nasce nel 1885 a Bekhteevo, presso Smolensk. A diciannove anni si unisce ai bolscevichi. Avvocato, oratore di talento, nel 1915 è arrestato in quanto disertore e l’anno successivo inviato al fronte sud-occidentale con l’incarico di ufficiale di collegamento. Anche in tale veste svolge propaganda disfattista. Quando l’esercito russo si disgrega, vengono alla ribalta quei “Comi- tati dei Soldati” sui quali il comunista americano John Reed (30enne, intrepido cronista rivoluzionario di due continenti) fornirà vivide descrizioni nel famoso I dieci giorni che sconvolsero il mondo, libro scritto nel 1919 e anch’esso ripreso nel testo. Così Krylenko si ritrova in prima linea (marzo-ottobre 1917), fino ad assumere il ruolo di Comandante in Capo dell’Esercito e della Marina. Come “Commissario del Popolo” una volta insediato il governo bolscevico, egli preparerà le trattative che, con la pace di Brest-Litovsk, faranno uscire la Russia dalla guerra (marzo 1918), irradiando un chiaro messaggio ai popoli di tutto il mondo. Diventato in seguito Ministro della Giustizia sotto il regime di Stalin, sarà a sua volta inghiottito dalle “purghe” degli anni ’30 (viene fucilato nel 1938).
Abbiamo citato questi personaggi per mettere in evidenza alcune caratteristiche del lavoro che presentiamo.
In primo luogo la giovane età dei protagonisti. Tutti gettati, con la loro generazione, nella fornace di un’era di guerre e rivoluzioni. Una generazione non in grado di impedire che il massacro imperialista avvenga (viene discusso brevemente nel libro come sia improbabile riuscire a evitare la guerra), ma che riesce comunque a produrre una reazione di respiro storico dal versante delle classi oppresse. (…)
Note
1 E. Lussu, Un anno sull’altipiano, scritto nel 1936, pubblicato in Francia nel 1938 e poi in Italia da Einaudi nel 1945.
2 C. Malaparte, Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti, Prato, 1921; censurato due volte, apparve in forma integrale nel 1980.
3 E.M. Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, pubblicato sul giornale tedesco «Vossische Zeitung» nel 1928, in italiano da Mondadori nel 1931.
4 Nikolaj Vasil’evič Krylenko (Bechteevo, 1885 – Mosca, 1938). Di origine ucraina, studiò legge a San Pietroburgo. Arruolatosi nell’esercito zarista all’inizio della prima guerra mondiale (secondo alcuni vi venne costretto) presto diventò un fedelissimo di Lenin ed un personaggio di spicco nel suo entourage. Diventato commissario alla Guerra (22 novembre 1917) trattò con la Germania la pace di Brest-Litovsk (1918). Fece carriera come procuratore dell’URSS, partecipò alla stesura dei codici penali del 1922, ’26 e ’34. Nel 1930, nella sua qualità di procuratore generale dell’Urss sostenne l’accusa nel processo contro il partito Industriale. Nel 1936 venne promosso a commissario alla Giustizia per i suoi meriti. Venne improvvisamente destituito nel gennaio 1938 e arrestato poco dopo e l’anno successivo condannato a morte per presunte irregolarità ed incapacità nella gestione del suo ministero. Completamente riabilitato nel 1956.