NON È CHE UN INIZIO, CONTINUIAMO LA LOTTA
Mercoledì 9 marzo oltre 200mila studenti,[1] lavoratori salariati e disoccupati, pensionati hanno protestato in tutta la Francia con circa 230 cortei contro la riforma del diritto del lavoro, il progetto di legge Khomri, dal nome della ministro del lavoro.
Centomila i manifestanti nella sola Parigi, secondo il sindacato CGT, dove sono stati bloccati oltre 90 licei. Nelle altre città, in 10 000 hanno manifestato a Tolosa, 9500 a Bordeaux, 7000 a Lione, 6000 a Lille, 5000 a Marsiglia, 4500 a Rouen e Rennes, e poi ancora 3000 a Le Havre, secondo i dati della polizia. Numeri che evidenziano una risposta sociale, anche da parte delle giovani generazioni, ben più determinata di quella alla quale abbiamo assistito in Italia.
Cosa prevede la riforma del lavoro?
Licenziamenti
Per giustificarli basta che un’azienda registri un calo degli ordinativi o del fatturato, o una “rilevante perdita di tesoreria” per diversi trimestri consecutivi. Basta giocare coi flussi finanziari, in particolare per le multinazionali, per ottenere risultati adeguati a motivare i tagli occupazionali.
Inoltre la motivazione economica è calcolata solo per la situazione di un’azienda su territorio francese, e non su quella a livello internazionale.
L’indennizzo previsto per i licenziamenti senza giusta causa sarebbe in funzione dell’anzianità di servizio del licenziato, 3 mesi di salario, contro un minimo di 6 mesi attuali, con un tetto di 15 mesi, tetto attualmente non esistente.
Il contratto collettivo di lavoro
può essere sostituito da un qualsiasi accordo aziendale, senza la determinazione di criterio alcuno, “in vista del mantenimento o dello sviluppo dell’impiego”, che potrebbe modificare al ribasso il salario orario, al rialzo l’orario di lavoro, garantendo solo la remunerazione mensile: lavorare di più a uguale salario. In precedenza le deroghe previste dall’accordo aziendale venivano descritte come “difensive”, ora assumono connotati esplicitamente “offensivi”, infatti anche la conquista di nuovi mercati è considerata finalizzata allo “sviluppo dell’impiego”.
I salariati che rifiutassero l’accordo sarebbero licenziati per motivi personali, senza che il padrone debba presentare un piano sociale.
Le convenzioni e gli accordi collettivi, oggi per la maggior parte senza limiti di durata, diverrebbero a durata determinata; se questa non viene esplicitata nell’accordo stesso per default è di cinque anni. Cioè, ogni cinque anni deve essere tutto ridiscusso, anche quando i rapporti di forza sono sfavorevoli ai salariati. Se non si raggiunge alcun accordo, diversamente da oggi i lavoratori non conserverebbero “i vantaggi individuali acquisiti”.
Salute
Il medico del lavoro dovrà dichiarare “non idonei” i lavoratori che hanno problemi di salute e non sono più in grado di mantenere il loro posto di lavoro. Il padrone potrà licenziarli dopo aver proposto una sola ipotesi di re-inquadramento. Diminuisce da 12 a 6 mesi di salario l’indennizzo per il lavoratore malato, licenziato senza il rispetto delle procedure.
Consultazione dei lavoratori
Un accordo aziendale è considerato valido se approvato da sindacati che rappresentino almeno il 50% dei lavoratori. Ma nel caso in cui esso venisse firmato da un sindacato che rappresenta almeno il 30% degli addetti, tale sindacato può indire un referendum per farlo passare tra i lavoratori. Se viene approvato esso entra in vigore, senza possibilità di opposizione da parte dei sindacati maggioritari.
Straordinari
L’accordo aziendale può fissare le regole, senza essere limitato dagli accordi di settore o dalla legge. La maggiorazione per gli straordinari oggi è decisa dagli accordi di settore, domani lo farà quello di impresa partendo da una maggiorazione del 10%: solo se mancasse un accordo collettivo si applicherebbero le maggiorazioni attuali del 25% per le prime otto ore supplementari, e del 50% per le seguenti.
Orario
La durata legale rimane di 35 ore settimanali, ma di fatto il padronato ha maggiore flessibilità di imporre periodi di forte impegno. La durata massima giornaliera di 10 ore potrebbero giungere a 12 ore con un accordo collettivo; il limite settimanale di 48 ore, e di 44 ore medie su 4 mesi, contro i tre mesi previsti oggi, ma con un accordo può giungere a 46 ore per quattro mesi.
L’orario di lavoro per gli apprendisti minorenni, oggi limitato a 8 ore al giorno e 35 la settimana, può giungere a 10 ore al giorno e a 40 la settimana.
Il padrone può calcolare il tempo di lavoro straordinario non sulla base delle ore di ciascuna settimana, ma sulla media di un periodo più lungo, con picchi di forte impegno e periodi di bassa, con ritmi che incidono certamente sulla salute e anche sul portafoglio, dato che gli straordinari vengono pagati solo a fine periodo, fino a 4 mesi contro un solo mese concesso attualmente. Inoltre con un accordo collettivo il periodo massimo di riferimento per l’orario di lavoro si allungherebbe da uno a quattro anni.
Piccole imprese
Il sistema a forfait in giorni permette alle aziende con meno di 50 addetti di retribuire alla giornata i salariati, chiamati “autonomi”, il che consente al padrone di non calcolare la durata del lavoro quotidiana e di non pagare gli straordinari, con un limite di 235 giorni l’anno come attualmente applicato per i quadri aziendali. Per farlo il padrone deve solo accordarsi con il suo salariato, senza bisogno di un accordo collettivo. La riforma permette anche di frazionare i riposi obbligatori di 11 ore tra due giornate di lavoro. [2]
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Il movimento di lotta in corso chiede dunque il ritiro totale di questo progetto filo-padronale e antioperaio del governo “socialista” francese. La manifestazione preparata da organizzazioni studentesche liceali e universitarie (di queste la principale è UNEF),[3] sindacali (CGT, FO, FSU, Solidaires, UNEF, UNL, FIDL) è stata preceduta da una raccolta di firme online (petizione 2.0 “legge sul lavoro: no grazie”)[4] giunta a un milione di sottoscrizioni in sole due settimane e da un ampio lavoro di informazione e di agitazione da parte del movimento degli studenti.
Tra le parole d’ordine è stata ripresa quella delle contestazioni studentesche del 1968: “Ce n’est qu’un débout, continuons le combat – Non è che un inizio, continuiamo la battaglia”. Già in calendario le prossime proteste, con manifestazioni il 17 e un sciopero generale il 31 marzo.
Secondo i promotori delle manifestazioni siamo solo all’inizio di un movimento di protesta, il cui catalizzatore è stato questo ennesimo attacco del padronato francese contro i lavoratori.
Contro il progetto di legge stanno sorgendo molti movimenti nei luoghi di lavoro; in particolare i ferrovieri sono scesi in sciopero da martedì 8 a giovedì 10 marzo in difesa di salario e condizioni di lavoro. La Confindustria francese, Medef, inizia a temere che possano modificarsi a proprio svantaggio i rapporti di forza e così i suoi portavoce nel governo hanno cercato di simulare una concertazione tra le parti sociali e di presentare la precarizzazione generale e la facilitazione dei licenziamenti come mezzi per lottare contro la diffusione dei contratti a tempo determinato (CDD) e contro la disoccupazione, senza riuscire a nascondere il vero obiettivo, quello di aumentare lo sfruttamento dei lavoratori per rafforzare la competitività del capitalismo francese.
Sul giornale Le Monde è stato pubblicato un comunicato di sostegno al progetto El Khomri, sottoscritto da 30 autorevoli personaggi, 25 professori di grandi scuole e alcuni direttori di ricerca.
Questi insigni servi del padronato francese hanno dichiarato che la legge rappresenta un passo avanti per i lavoratori “più fragili”, giovani e a bassa qualifica. Un disoccupato su quattro ha meno di 25 anni; uno su tre non ha un diploma e l’80% non ha superato la maturità. Sarebbero loro, i “grandi perdenti” esclusi dal mercato del lavoro, ai quali la legge offrirebbe l’opportunità di un lavoro di lunga durata. In realtà spesso questi giovani svantaggiati, questa generazione persa, sono i figli di precedenti sconfitti, coloro che negli ultimi quarant’anni hanno perso un posto di lavoro nell’industria o nell’artigianato a causa della delocalizzazione della produzione in paesi dove il salario mensile era inferiore a 100 euro.
L’unica ragione vera alla base della riforma contestata è quella della competizione capitalistica nazionale, per (ri)-prendersi quote di mercato a scapito dei concorrenti.
Finora anche in Francia la divisione tra le maggiori sigle sindacali non ha favorito la formazione di un movimento unitario di lotta. FO, CGT, Solidaires, FSU, Unef, UNL e FIDL hanno indetto da tempo uno sciopero generale per il 31 marzo; CFDT, CFE-CGC, CFTC, Unsa, Fage, i cinque sindacati che non avevano aderito a questa iniziativa, sotto la spinta del movimento in atto ora chiamano a manifestare il 12 marzo.
Perciò i giovani e i lavoratori che stanno lottando contro la legge Khomri si trovano ad affrontare anche il compito di unificare il fronte di classe, superando gli steccati ideologici funzionali alla logica padronale del “divide et impera”. Esprimiamo loro la nostra solidarietà internazionalista di classe e ci auguriamo che il loro esempio trascini anche i giovani studenti e disoccupati italiani nel movimento di opposizione alla propria borghesia.
[1] 400mila 500mila secondo UNEF e Force Ouvrière
[2] Le Parisien, 17.02.2016; L’Humanité 09.03.2016
[3] Union nationale des étudiants de France – Unione Nazionale degli Studenti di Francia
[4] Tra i promotori della petizione troviamo Caroline Haas, nel 2014 candidata alle europee per la lista “Féministes pour une Europe solidaire – Femministe per un’Europa Solidale” e Arnauld Champremier-Trigano, legato a Jean-Luc Mélenchon del Front de Gauche e NPA, Julien Bayou e Elliot Lepers di EEV – Europa Ecologia i Verdi.