Gli interessi nascosti di Kenya e Francia in Somalia/ Perchè il Kenya interviene in Somalia

Limes 111110/111017

Gli interessi nascosti di Kenya e Francia in Somalia/ Perchè il Kenya interviene in Somalia

Matteo Guglielmo
 
 
 

– Il confine somalo-keniano, uno dei più instabili e porosi di tutto il Corno d’Africa;

– il movimento islamista somalo al-Shabaab, che controlla gran parte della Somalia centro-meridionale ed è presente nella città costiera di Chisimaio, ma non a Kambooni, località che dista dal confine meno di cinque chilometri.

o   Come confermato dal governo keniano, nessun movimento armato può per ora vantare un controllo esclusivo su queste coste: persino per gli Shabaab resta difficile spingersi fino al confine; nell’area sono attive diverse bande armate.

– Le aree di confine tra Kenya e Somalia sono territori piuttosto complessi per la presenza di clan: sono abitate per lo più da clan Darod (Ogaden, Marehan e Harti), ma anni di conflitti hanno portato modificazioni sia nel strutture sociali dei territori somali che all’interno dei gruppi stanziati oltreconfine.

– Oltre ai Darod sono presenti gli Hawiye (Sheikal e Galje’el), Rahanweyn (principalmente Garre) e diversi gruppi di minoranza, come i Bajuni e i Bantu (o Jareer), i quali sono stati tra quelli più colpiti dal conflitto civile.

o   Alla caduta del regime di Siad Barre del 1991, oltre a Mogadiscio e al Basso Shabelle a risentire maggiormente degli effetti della guerra civile furono le regioni di confine con il Kenya, dal Gedo al Basso Giuba, dove si riversarono in fuga dalla capitale, i profughi di diversi clan Darod, soprattutto Marehan vicini a Siad Barre.

o   La "marehanizzazione" del Gedo e del Basso Giuba – iniziata già alcuni anni prima della caduta di Barre – ha esacerbato la competizione tra i clan sui territori di confine, innescando uno scontro tra i gruppi “autoctoni” (guri) e altri “stranieri” (galti), a vantaggio di nuovi quadri politico-militari sorti all’ombra del conflitto.

o   Assieme allo sfilacciamento sociale e alla destrutturazione identitaria di alcune realtà urbane si è avuta la crescita di un’economia basata quasi interamente su sfruttamento dell’indotto (e spesso la predazione) dei flussi di aiuti umanitari e il controllo dei principali snodi commerciali;

o   questo a sua volta ha prodotto una forte competizione sui principali centri di interscambio commerciale e di distribuzione degli aiuti (Beled Xaawo e Baardheere, nel Gedo, e della direttrice Buaale-Jilib-Chisimaio nell’alto e nel basso Giuba).

o   Chisimaio ha visto decuplicare la propria popolazione, dai circa 80mila abitanti, degli anni precedenti alla caduta di Barre, agli attuali 800mila.

o   Il controllo della città è stato al centro di diversi scontri, fino alla conquista definitiva degli Shabaab nell’ottobre del 2009, che ruppe l’alleanza tra i giovani mujahideen e Hizbul Islam, con indebolimento della fazione di Dahir Aweys e definitivo inglobamento dell’intera opposizione islamista negli Shabaab.

o   L’opposizione armata agli shabaab di alcune frange Ogaden della Brigata di Ras Kambooni guidate da Sheikh Ahmed Mohamed "Madobe", escluse dagli accordi per l’amministrazione di Chisimaio, ha avuto il sostegno delle forze armate keniane.

– Lo scontro sembra concentrarsi sul controllo di Chisimaio e degli snodi strategici dislocati sul confine, la competizione sui clan è lo strumento utilizzato dai diversi gruppi armati per imporsi.

– Nella Somalia meridionale proseguono gli scontri tra l’esercito keniano e le milizie fedeli ad al-Shabaab. L’Operazione "Linda Nchi" (protezione della nazione) è partita ufficialmente il 15 ottobre scorso; le azioni militari sembrano essersi impantanate in un’area tra le più instabili e pericolose del paese.

– Le milizie Shabaab sono asserragliate ad Afmadow, villaggio strategico per la difesa della città portuale di Chisimaio, vero obiettivo dell’operazione keniana.

– La comunità internazionale si è spaccata.

– A favore dell’intervento si è espressa a sorpresa la Francia;

– Meno entusiasti si sono invece dimostrati gli Stati Uniti e, soprattutto, l’Italia.

– Il Dipartimento di Stato americano ha subito negato un possibile coinvolgimento nelle operazioni a sostegno dell’invasione;

– il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, si è detto preoccupato per le ripercussioni negative che la missione "Linda Nchi" potrebbe avere sulla stabilità stessa del Corno d’Africa.

– Le motivazioni che hanno spinto la Francia a un appoggio così incondizionato all’operazione militare sono soprattutto i rischi per gli ingenti investimenti allocati nell’arcipelago di Lamu.

o   Il 21 settembre scorso la multinazionale Total annunciava l’acquisizione di una quota del 40% in cinque blocchi di esplorazione petrolifera offshore nel bacino di Lamu.

– Dopo la recente scoperta di cospicui giacimenti petroliferi offshore in Mozambico e in Tanzania, Total, presente in Kenya dal 1955, è interessata ai diritti di esplorazione keniani.

– Da oltre un anno la diplomazia francese sta cercando di migliorare il livello di sicurezza nella regione del confine somalo-keniano, soprattutto per consentire a Nairobi di ampliare le sue acque territoriali a discapito di Mogadiscio.

– L’ambiguità di alcuni passaggi dell’accordo del 2009 per la demarcazione dei rispettivi confini marittimi tra il governo somalo (di Omar Abdirashid Ali Sharmarke) e quello keniano ha in seguito consentito al Kenya di avanzare maggiori diritti sulla piattaforma continentale somala.

– Contestualmente alla questione delle acque territoriali (ora in fase di stallo), il governo francese aveva appoggiato il progetto di creazione di uno Stato cuscinetto tra Somalia e Kenya:

o   Nell’aprile 2011 Mohamed Ahmed “Gandi”, ex ministro della Difesa del Governo federale di transizione annunciò la formazione dello stato autonomo di Jubaland (conosciuto come Azania); progetto poi fallito per l’inconsistenza politica e militare di “Gandi”.

– Gli scontri tra militari keniani e resistenza shabaab hanno causato le prime vittime tra i civili, e le Istituzione federali di transizione (IFT) sono divise al loro interno anche sull’intervento militare del Kenya.

– Il presidente somalo, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, pur interessato all’annientamento degli Shabaab, teme che – liberate le regioni del Basso Giuba e del Gedo – i circa 2500 soldati somali addestrati in Kenya possano essere dispiegati solo per proteggere le zone di confine, la creazione del Jubaland.

La Somalia meridionale sta entrando in un’altra fase di instabilità e violenza; e la numerosa comunità somala in Kenya sembra quella che sta maggiormente subendo gli effetti dell’invasione.

Limes 111110
Gli interessi nascosti di Kenya e Francia in Somalia
di Matteo Guglielmo

–   RUBRICA GEES, CORNO D’AFRICA. Proseguono le operazioni militari di Nairobi in territorio somalo. Gli obiettivi keniani dietro l’intervento e il ruolo di Parigi. Le divisioni della comunità internazionale e la frammentazione politica delle istituzioni di Mogadiscio.

–   Nella Somalia meridionale proseguono gli scontri tra l’esercito keniano e le milizie fedeli ad al-Shabaab. L’Operazione "Linda Nchi" (protezione della nazione) è partita ufficialmente il 15 ottobre scorso, quando le autorità di Nairobi hanno ammesso di essere penetrate in territorio somalo con l’obiettivo di debellare la presenza Shabaab nelle regioni del Basso Giuba e del Gedo per porre in sicurezza il confine somalo-keniano.

–   Nonostante l’operazione lampo, le azioni militari sembrano essersi impantanate in un’area tra le più instabili e pericolose del paese. Le forze di Nairobi cercano di sfondare in tre punti: la baia di Ras Kaambooni, situata all’estremo sud, il corridoio Liboi-Dhooble-Bilis Qoogaaoi, e la direttrice Mandera-Luuq, nel Gedo. Le milizie Shabaab sono invece asserragliate ad Afmadow, villaggio strategico per la difesa della città portuale di Chisimaio, vero obiettivo dell’operazione keniana.

–   La comunità internazionale si è spaccata.

o    A favore dell’intervento si è espressa a sorpresa la Francia, che in una nota rilasciata il 20 ottobre dal Quai d’Orsay ha fatto sapere di condividere pienamente i timori del Kenya e il suo diritto all’autodifesa.

o    Meno entusiasti si sono invece dimostrati gli Stati Uniti e – soprattutto – l’Italia.

–   Il Dipartimento di Stato americano ha subito negato un possibile coinvolgimento nelle operazioni a sostegno dell’invasione, mentre il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica si è detto preoccupato per le ripercussioni negative che la missione "Linda Nchi" potrebbe avere sulla stabilità stessa del Corno d’Africa.

–   Le motivazioni che hanno spinto la Francia a un appoggio così incondizionato all’operazione militare sono ormai note. Più che l’ondata di rapimenti a scopo estorsivo verificatisi nell’area ai danni di cittadini francesi, a preoccupare Parigi sono soprattutto i rischi per gli ingenti investimenti allocati nell’arcipelago di Lamu.

–   Il 21 settembre scorso la multinazionale Total annunciava l’acquisizione di un pacchetto di azioni (pari a un totale del 40%) in cinque blocchi di esplorazione offshore nel bacino di Lamu. La Total è presente in Kenya dal 1955, ma la recente scoperta di cospicui giacimenti petroliferi offshore in Mozambico e in Tanzania ha reso i diritti di esplorazione keniani particolarmente ambiti, come ha dichiarato Marc Blaizot, vicepresidente per il settore esplorazioni della multinazionale francese.

–   Del resto è da più di un anno che la diplomazia francese lavora a fari spenti per incrementare il livello di sicurezza nella regione del confine somalo-keniano, soprattutto per consentire a Nairobi di ampliare le sue acque territoriali a discapito di Mogadiscio.

–   Nell’aprile del 2009 era stato siglato un memorandum di intesa tra il governo somalo – allora presieduto da Omar Abdirashid Ali Sharmarke – e quello keniano per porre le basi di una demarcazione dei rispettivi confini marittimi. Le ambiguità di alcuni passaggi di quell’accordo avrebbero consentito al Kenya di avanzare maggiori diritti sulla piattaforma continentale somala.

–   Contestualmente al lavoro sulle acque territoriali, ormai entrato in una fase di stallo e di incertezza, il governo francese aveva appoggiato il progetto di creazione di uno Stato cuscinetto tra Somalia e Kenya, spingendo il professor Mohamed Ahmed “Gandi”, ex ministro della Difesa del Governo federale di transizione, a dichiarare nell’aprile 2011 la formazione del Jubaland (conosciuto anche come Azania). L’inconsistenza politica e militare di Gandi ha fatto naufragare il progetto, rendendo però evidenti i forti interessi francesi nella regione.

–   Mentre l’operazione keniana e la resistenza Shabaab cominciano a mietere le prime vittime tra la popolazione civile, le Istituzioni federali di transizione (Ift) si dimostrano profondamente divise anche rispetto all’intervento.

–   Appena una settimana dopo l’inizio delle operazioni, il presidente Sheikh Sharif Sheikh Ahmed ha rilasciato una dichiarazione in cui si è detto contrario all’entrata di forze keniane in territorio somalo.

–   Le proteste della presidenza per la violazione della sovranità territoriale operata dal Kenya suonano quasi come un controsenso, visto il comune interesse all’annientamento delle forze Shabaab. Alla base delle clamorose dichiarazioni di Sheikh Sharif vi sarebbero tuttavia ragioni di natura strategica, soprattutto rispetto alle priorità nel processo di radicamento sul territorio delle Ift.

–   Anche se per diversi osservatori la reazione del presidente rappresenta il disperato tentativo di guadagnare consensi tra la popolazione somala, che resta per lo più spaccata nel giudizio sull’intervento keniano, il vero timore di Sheikh Sharif riguarda il futuro dei circa 2500 soldati somali addestrati in Kenya.

–   Il rischio è che una volta liberate le regioni del Basso Giuba e del Gedo il contingente somalo addestrato in Kenya possa essere dispiegato esclusivamente a protezione delle zone confinarie, e non della città di Mogadiscio, come auspicato dal presidente. In questo caso la creazione del Jubaland non sarebbe più un ostacolo, soprattutto in vista della scadenza del mandato delle Ift, fissata al prossimo 21 agosto, che renderebbe più urgente un rafforzamento delle realtà amministrative autonome in territorio somalo.

–   Mentre la Somalia meridionale si avvia verso altra instabilità e violenza, e le sue fragili istituzioni si sciolgono lentamente sotto l’effetto di un’insanabile frammentazione politica, chi sembra subire maggiormente gli effetti dell’invasione è la folta comunità somala che risiede in Kenya.

–   La serie di piccoli attentati che si stanno susseguendo a Nairobi è il sintomo di una tensione crescente. Le autorità keniane hanno aumentato i controlli nella capitale, soprattutto in quartieri come Eastleigh, conosciuto anche come “la piccola Mogadiscio”. La sensazione dunque è che grazie a “Linda Nchi” nessuno sarà più veramente al sicuro.

Il Kenya interviene in Somalia: casus belli e forze in campo

Matteo Guglielmo è dottore in Sistemi Politici dell’Africa all’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli, autore del volume Somalia, le ragioni storiche del conflitto, ed. Altravista, 2008.

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Limes 111017
Perchè il Kenya interviene in Somalia
di Matteo Guglielmo

–   RUBRICA GEES, CORNO D’AFRICA Sul confine somalo-keniano si susseguono rapimenti ai danni soprattutto di stranieri. L’intervento dell’esercito di Nairobi può essere molto rischioso. Le dispute sugli snodi commerciali e il business degli aiuti umanitari. Gli effetti del conflitto sui clan e le possibili ragioni della crescita del banditismo.

Nairobi contro i musulmani somali (1/10) | La strategia degli al Shabaab

–   Clamorosi rapimenti, scontri armati e traffico di armi. Queste sono solo alcune delle dinamiche che hanno sempre caratterizzano il confine somalo-keniano, uno dei più instabili e porosi di tutto il Corno d’Africa. Il rapimento delle due cooperanti spagnole di Medici Senza Frontiere, avvenuto pochi giorni fa nei pressi del campo profughi di Dadaab, è solo l’ultimo degli atti criminosi le cui cause hanno radici storiche profonde.

Il primo ottobre Marie Dadieu, cittadina francese disabile, veniva prelevata con la forza da alcuni uomini armati in un piccolo villaggio dell’arcipelago di Lamu, una delle località turistiche più famose della costa keniana. Sempre a Lamu, circa un mese e mezzo fa, era sparita Judit Tebutt. I rapitori in quell’occasione avevano addirittura ucciso suo marito, per poi dileguarsi senza lasciare traccia.

–   Le autorità di Nairobi e la stampa internazionale puntano il dito verso il movimento islamista somalo al-Shabaab, che controlla gran parte della Somalia centro-meridionale ed è presente nella città costiera di Chisimaio, ma non nella vicinissima Kambooni, località che dista dal confine meno di cinque chilometri.

–   Come conferma il governo keniano, nessun movimento armato può per ora vantare un controllo esclusivo su queste coste: persino per gli Shabaab resta difficile spingersi fino al confine. Nell’area sono attive diverse bande armate, che sfruttano l’assenza di controllo per operare in territorio keniano attraverso azioni lampo.

–   Anche se gli Shabaab non hanno rivendicato alcun rapimento o azione in territorio keniano, Nairobi ha deciso di agire militarmente. I rischi di un’invasione militare diretta sono però notevoli, sia per le probabilità di ritorsione del movimento islamista sia per l’estrema pericolosità dei territori di confine in questione.

La deflagrazione del clan

–   Da un punto di vista clanico, le aree di confine tra Kenya e Somalia sono territori piuttosto complessi. Se è vero che queste zone sono abitate per lo più da clan Darod (Ogaden, Marehan e Harti), anni di lacerazioni e di scontri hanno prodotto cambiamenti consistenti sia nelle strutture sociali dei territori somali sia all’interno dei gruppi stanziati oltreconfine.

–   Oltre ai clan Darod sono presenti anche Hawiye (Sheikal e Galje’el), Rahanweyn (principalmente Garre) e diversi gruppi che gli stessi somali definiscono minoranze, come i Bajuni e i Bantu (o Jareer), i quali sono stati tra quelli più colpiti dal conflitto civile.

–   La caduta del regime di Siad Barre nel 1991 ha prodotto un rimescolamento della conformazione clanica in diverse regioni. Oltre a Mogadiscio e al Basso Shabelle, a risentire maggiormente degli effetti della guerra civile furono proprio le regioni di confine con il Kenya, dal Gedo al Basso Giuba.

–   Il flusso di profughi che nei primi anni Novanta si riversò su questi territori era infatti composto da diversi clan Darod in fuga dalla capitale, soprattutto Marehan vicini a Siad Barre.

–   Il processo di "marehanizzazione" del Gedo e del Basso Giuba – iniziato in realtà alcuni anni prima della caduta di Barre – ha esacerbato la competizione clanica sui territori di confine, innescando uno scontro tra quei gruppi che si percepivano come autoctoni (guri) e altri segmenti clanici considerati come stranieri (galti).

–   I cambiamenti nella relazione tra clan e territorio, diventata oggi molto più stretta e lontana da quella dimensione pastorale basata sul nomadismo, hanno in molti casi depotenziato il ruolo delle leadership claniche e dello xeer (diritto consuetudinario) a vantaggio di nuovi quadri politico-militari sorti all’ombra del conflitto.

–   La guerra civile ha fatto saltare i meccanismi di autoregolamentazione delle comunità stanziate sulle zone di confine, cancellando alcune forme di solidarietà interclanica alla base dei delicati equilibri di gestione dei centri sia del Basso Giuba e del Gedo, come Chisimaio e Luuq, sia di quelli dei distretti keniani di Wajir, Garissa e Mandera.

Gli scontri al confine

–   Allo sfilacciamento sociale e alla destrutturazione identitaria di alcune realtà urbane si è accompagnata la crescita di un’economia basata quasi interamente su due elementi: lo sfruttamento dell’indotto (e spesso la predazione) dei flussi di aiuti umanitari e il controllo dei principali snodi commerciali. Questi due fattori sono particolarmente legati, e nel tempo hanno causato una forte competizione sui principali centri di interscambio commerciale e di distribuzione degli aiuti come quelli di Beled Xaawo e Baardheere, nel Gedo, e della direttrice Buaale-Jilib-Chisimaio nell’alto e nel basso Giuba.

–   Proprio la cittadina di Chisimaio ha visto decuplicare la propria popolazione, che è passata dai circa 80 mila abitanti degli anni precedenti alla caduta di Barre agli attuali 800 mila. Il controllo della città è stato al centro di diversi scontri, fino alla conquista definitiva degli Shabaab avvenuta nell’ottobre del 2009.

–   In realtà gli islamisti erano riusciti a espugnarla già nell’agosto del 2008 grazie all’apporto decisivo di altri due movimenti armati: il Canoole (composto per lo più da Harti) e la Brigata di Ras Kambooni, costituita da milizie Ogaden allora guidate dall’ex colonnello Hassan Turki. Ad avere la peggio furono i Marehan fedeli a Barre Aden Shire “Barre Hirale”, l’allora ministro della Difesa del Governo federale di transizione (Gft).

Dopo essere riuscito a riacquisire il controllo di Chisimaio nel gennaio del 2007, con l’aiuto dell’esercito etiopico, Barre Hirale viene sconfitto dalle milizie islamiste e costretto a ripiegare nel Gedo, tra la cittadina somala di Doolow e il villaggio etiopico di Dollo Ado, da dove avrebbe ripreso gli scontri con gli Shabaab, sostenuto militarmente da Addis Abeba.

–   La “scalata” degli Shabaab a Chisimaio è paradigmatica rispetto al processo d’imposizione sugli altri gruppi armati dell’opposizione islamista al Gft. L’inclusione della Brigata di Ras Kambooni e di Canoole in Hizbul Islam, sotto la guida dell’ex leader della Shura dell’Unione delle corti islamiche Sheikh Hassan Dahir Aweys, aveva lasciato la gestione di Chisimaio – dunque degli introiti del porto e dell’aeroporto – nelle mani di due sole fazioni armate.

–   La conquista definitiva da parte degli Shabaab della città nell’estate del 2008 rompeva l’alleanza tra i giovani mujahideen e Hizbul Islam, inaugurando un processo di erosione della fazione di Dahir Aweys che sarebbe terminato con il definitivo inglobamento dell’intera opposizione islamista negli Shabaab. Per evitare lo scoppio di tensioni da parte dei clan maggioritari, l’amministrazione di Chisimaio e delle regioni del Giuba sarebbe stata affidata a Sheikh Abubakar Ali Aden, originario di Buaale e appartenente al clan Galje’el (Hawiye), dunque potenzialmente equidistante rispetto ai gruppi maggioritari presenti nell’area.

–   A restare fuori dal processo erano alcune frange Ogaden della guidate da Sheikh Ahmed Mohamed "Madobe". Le sue milizie oggi sono stanziate per lo più sulla strada che connette il villaggio keniano di Liboi a quello somalo di Dobley. Nella sua opposizione armata agli Shabaab “Madobe” ha potuto usufruire del sostegno anche delle forze armate keniane, interessate ad evitare che gli islamisti possano avvicinarsi troppo al confine.

–   Se sul piano degli interessi lo scontro sembra concentrarsi sul controllo di Chisimaio e degli snodi strategici dislocati sul confine, il mezzo per imporsi utilizzato dai diversi gruppi armati resta la competizione sui clan. È proprio lì che si gioca la partita più importante in una delle regioni più colpite dal conflitto.

La chiusura dello spazio umanitario

–   La militarizzazione del confine e i continui scontri armati hanno diminuito la capacità delle agenzie umanitarie di operare in queste zone, di conseguenza riducendo l’indotto economico a disposizione degli attori armati.

–   Il controllo Shabaab su gran parte dei territori meridionali ha impedito a diverse agenzie dell’Onu – come ad esempio il World food programme (Wfp) – di intraprendere attività di distribuzione degli aiuti, causando il congelamento di quell’economia informale sorta negli anni all’interno dei principali centri a ridosso del confine somalo-keniano.

I rapimenti a scopo estorsivo potrebbero dunque configurarsi come l’effetto indiretto di una situazione politica difficile, oltre che di un clima di scontro che ha modificato un sistema economico cresciuto in un periodo certamente conflittuale, ma in cui l’accesso alle risorse non era impossibile.

–   Con il porto di Chisimaio controllato dagli Shabaab e i principali snodi commerciali del confine trasformati in teatro di scontro più o meno permanente, ciò che sembra esser venuto meno è proprio la linfa economica per quegli “uomini in armi” che da molti anni sono presenti in queste zone.

Nairobi contro i musulmani somali (1/10) | La strategia degli al Shabaab

Matteo Guglielmo è dottore in Sistemi Politici dell’Africa all’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli, autore del volume Somalia, le ragioni storiche del conflitto, ed. Altravista, 2008.

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