Il fascio-suprematismo di Trump, e le sue conseguenze

L’America sarà presto più grande, più forte e molto più eccezionale di quanto sia mai stata prima”. “Come nel 2017, noi ricostruiremo il più forte esercito che il mondo abbia mai visto”. “Perseguiremo il nostro destino manifesto fino nei cieli, lanciando astronauti americani a piantare la bandiera a stelle e strisce su Marte”.  “L’America recupererà il suo giusto posto come la nazione più grande, più potente, più rispettata della terra, quella che ispira nel mondo intero soggezione e ammirazione”. “Andremo a vincere come mai prima d’ora è accaduto”  – in queste frasi è condensato il messaggio trumpiano nel suo discorso di insediamento. Un ributtante concentrato di suprematismo yankee, guerrafondaio, razzista, sessista all’ennesima potenza. Inutile dire: con la prevista benedizione del dio di Trump: il Pentadollaro.

Dietro le sue declamazioni, però, c’è la presa d’atto del declino dell’America (ossia: degli Stati Uniti); della “crisi di fiducia” (parole sue) che l’ha colpita; del fatto che i “nostri ragazzi”, cioè il futuro di quella nazione, in “molti casi” arrivano ad “odiare il nostro paese”. Immaginiamo che il grande-uomo-spazzatura non abbia dimenticato la disordinata fuga dall’Afghanistan dell’esercito più potente del mondo dopo la più lunga guerra combattuta dalla sua invincibile nazione, clamorosamente perduta (e non è certo la prima)…

A suo dire, la causa di questo declino è innanzitutto esterna: l’America, “la magnifica America rispettosa della legge” (di cui lui, violatore di qualunque norma scritta e non scritta, è l’emblema) è diventata una discarica di “pericolosi criminali” – gli immigrati provenienti da tutti i paesi del mondo. L’ha infettata una “disastrosa invasione”, ché prima era una società immacolata. E’ tempo, quindi, di una gigantesca pulizia etnica, la più grande deportazione di immigrati della storia statunitense, messa non a caso al primo posto – nella retorica imperialista il nemico da schiacciare è sempre in primo luogo esterno – di “una serie di ordini esecutivi storici”.

Ma c’è anche una causa/colpa interna dell’indiscutibile declino amerikano. Ed è di tutti coloro – “a radical and corrupt establishment” – che hanno minato l’orgoglio della nazione americana, la sua convinzione di essere qualcosa di eccezionale, corrompendola con le ideologie egualitarie, anti-razziste, genderiste, green. Estirperemo queste malattie, ha promesso. Forgeremo una società “incurante del colore della pelle e basata sul merito”, cioè ferocemente bianca e altrettanto ferocemente competitiva. Legge, ordine, massima centralizzazione del potere, e assoluta libertà di spargere menzogne di stato e di mercato (la libertà dei super-padroni dei media suoi sostenitori) per mobilitare fanaticamente la massa di asserviti (tali per loro i cittadini comuni), supporto essenziale delle guerre a venire.

Musk che fa il saluto romano è l’adeguato commento-immagine di questo discorso programmatico.

Nella sua immonda retorica, è stato un discorso abile, da chi si pretende l’“unificatore” della nazione. Con esche lanciate alla minoranza nera (“insieme trasformeremo il sogno di Martin Luther King in realtà”) e ispanica, ai “nostri grandi operai americani dell’auto” (“salveremo la nostra industria dell’auto”), ai “lavoratori e alle famiglie americane” con la promessa: “invece di tassare i nostri cittadini per arricchire altri paesi, imporremo dazi e tasse ai paesi stranieri per arricchire i nostri cittadini”.

La presenza alla cerimonia di incoronazione di Meloni (esclusa l’Unione europea), di Milei e Bolsonaro contiene messaggi altrettanto chiari: l’Amerika di Trump non solo non riconosce l’Unione europea come entità unitaria, ma punta alla sua disfatta, anzitutto a quella della Germania. E quanto al suo “patìo di casa”, vuole governi ultra-reazionari asserviti, se necessario, come ai bei tempi, – perché no? – anche golpisti.

Il “pacificatore” Trump è un incendiario. La sua amministrazione moltiplicherà il caos e la guerra nel mondo. La tregua armata, e assai provvisoria, a Gaza non è frutto della sua azione miracolosa. Si deve alle difficoltà e alla stanchezza dell’esercito sionista, che ha bisogno di riorganizzarsi dopo le pesanti perdite subìte dalla fiera resistenza palestinese. Intanto Trump perdona i coloni ultra-sionisti della Cisgiordania, brutali accaparratori di terre palestinesi. Quella Cisgiordania in cui in questi stessi giorni è in atto un’offensiva congiunta contro i gruppi della resistenza del governo Netanyahu e dell’Anp. E quasi certamente Trump il “pacificatore” ha firmato con il suo amico Netanyahu accordi segreti di sostegno al progetto di ulteriore espansione territoriale di Israele. Grandi interessi immobiliari e strategici amerikano-sionisti sono in ballo. 

Con la mazza da baseball invocata dal “pacifista” Roosevelt, Trump semina caos anche tra e contro i suoi stessi alleati. Deve esportare nei loro paesi, necessariamente, il virus della polarizzazione sociale e della riaccensione della lotta di classe per allontanarlo dagli Stati Uniti. Non è possibile, infatti, colpire la Cina senza colpire i propri alleati. Ieri la Corea del Sud, uno dei più fedeli e obbedienti partner degli Stati Uniti, ha deciso di destinare 250 miliardi di dollari al sostegno del proprio export per evitarne il crollo – il paese più veloce di tutti, perché già scosso da una crisi politica senza precedenti. Ma non può finire qui. Subito, infatti, la mosca cocchiera del militarismo europeo Zelensky ha esortato l’ Europa ad armarsi in proprio (se fabbrica armi in Ucraina risparmia, ha aggiunto) e ad unirsi, perché le priorità statunitensi sono nel Pacifico e in Medio Oriente. Teme evidentemente che l’offensiva trumpiana divida l’Europa…

Le precedenti misure protezioniste del Trump-1, poi confermate da Biden, hanno generato inflazione negli Stati Uniti senza riuscire a riportare “a casa” le industrie, né sono riuscite ad invertire la tendenza ad avere un enorme deficit commerciale strutturale che dipende da processi di lungo periodo. Il primo round della guerra commerciale l’ha vinto la Cina. Promettere al tempo stesso dazi altissimi per proteggere l’industria statunitense e abbattimento dell’inflazione, è da bari professionali. L’una misura cancella l’altra, e viceversa. Il rilancio di queste stesse politiche estremizzate, rese ancora più aggressive dall’inefficacia di quelle degli ultimi 8 anni, porterà con sé guerre economiche e finanziarie radicali. Con un prezzo pesantissimo da pagare non solo per il proletariato, anche per consistenti fette di classi medie (parliamo qui dei paesi occidentali).

Quanto all’attitudine verso i paesi dominati e controllati, basti quel che ha preannunciato a Panama, Messico e Venezuela, e la certezza che la sua devastante politica di “We will drill, baby, drill” – “Perforare, belli, perforare”, acuirà la crisi climatica che già colpisce più duro nel Sud del mondo.

Il fascio-suprematismo trumpiano ha, però, un rovescio della medaglia. Accende su più lati il conflitto sociale. Sotto il Trump-1 sono nati negli Stati Uniti il movimento del femminismo del 99% replicando a Nord al più radicale “Ni una de menos” argentino, il movimento Black Lives Matter, e le proteste, specie a New York, dei Fridays for future. Dopo il Trump 1, sotto la spinta dell’inflazione generata sia dalle sue politiche che dall’“emergenza Covid”, ci sono stati importanti scioperi, quali non se ne vedevano da molti anni, nei settori dell’auto, della sanità e dei porti proprio per recuperare la capacità d’acquisto persa.

In campo capitalistico il Trump-1, proseguito da Biden, ha avuto l’effetto di accelerare la costruzione dei Brics e poi l’allargamento dei Brics, ha rinsaldato il rapporto Cina-Russia-Iran, ha spinto storici alleati come la Turchia e l’Arabia saudita a riposizionarsi, ha – specie nell’ultimo anno con la totale complicità con il genocidio sionista a Gaza, che Trump di sicuro confermerà – fatto perdere molti punti di credito politico a Washington in tutto il mondo. Il recupero è affidato, fondamentalmente, al bastone. Ai dazi, alle sanzioni, all’incremento obbligatorio delle spese belliche, agli acquisti coatti di energia e armi statunitensi, all’arraffare i capitali e i risparmi di tutto il mondo attraverso un dollaro forte e alti tassi di interesse… altrimenti, come potrebbe l’Amerika, così in declino e tormentata da ogni genere di patologia sociale (per questo poco fiduciosa in sé stessa nelle masse lavoratrici della popolazione), tornare “great again”?

Quando diciamo “Prendere Trump sul serio”, intendiamo: prepariamoci a scontri di classe di moltiplicata intensità. Qui e dovunque. Rafforziamo la denuncia e la mobilitazione contro la corsa alla guerra globale che sotto Trump-2 conoscerà un’accelerazione. La partita è aperta. Del resto, il nuovo Reich millenario a stelle e strisce annunciato da Donald-2 si è aperto con l’esplosione del razzo Starship di SpaceX… il caso ci strizza l’occhio.

Rilanciamo la lotta contro la “nostra” trumpista, invitata d’onore a Washington, il governo delle destre, la UE, la NATO, compagne/i. Lavoriamo a convincere quanti più lavoratori, lavoratrici, giovani possibile che non c’è alcun capitalismo alternativo, buono, multipolare, che può salvarci dall’apocalisse globale annunciata dagli Stati Uniti d’America di Trump&Musk. Mentre Trump giurava sulla Bibbia, il suo presunto antagonista Putin celebrava religiosamente l’Epifania ortodossa facendo un bagno, secondo tradizione, nelle acque gelate… Chi ricerca la salvezza nella classe dominante di Russia, Cina e Iran (la stessa che domina in Amerika) anziché nelle forze unite delle masse proletarie e degli oppressi del mondo, è preda di una perniciosa illusione. Oppure, ne conosciamo, è un lestofante.