
La morte di fame e di stenti di 87 minatori a Stilfontein, Sudafrica, è un nuovo tremendo crimine di classe
del governo borghese sudafricano diretto dal blocco tra ANC, Partito Comunista e la confederazione
sindacale Cosatu. Un crimine della stessa efferatezza dell’uccisione di 34 minatori in sciopero della miniera
di platino Lonmin da parte della polizia nel 2012. Anzi, ancora più spietato perché perpetrato nel corso di
diversi mesi, con l’esplicito obiettivo di costringere i minatori “illegali” ad uscire e farsi arrestare/deportare,
o perire di fame e di sete.
Con il 32,1 % di disoccupati ufficiali (36% dei neri contro l’8,2% dei bianchi), e il 60% tra i giovani 15-24, il
40% tra i 25 e i 34 anni, il Sudafrica vanta il record della disoccupazione in Africa – e verosimilmente nel
mondo. Una situazione che spinge i proletari ad arrangiarsi con qualsiasi lavoro per sopravvivere,
spingendo i più ad accettare qualsiasi lavoro irregolare, di cui molti nelle mani della criminalità organizzata.
La cooptazione dell’élite nera – spesso dirigenti dell’African National Congress che aveva lottato contro il
regime dell’Apartheid bianco – non ha portato sviluppo e benessere tra la grande maggioranza della
popolazione nera; ha solo creato una borghesia nera a fianco di quella bianca e non meno avida,
sfruttatrice e oppressiva nei confronti dei proletari neri delle cui lotte si è servita per proiettarsi al potere.
Basti dire che il presidente della repubblica Cyril Ramaphosa, ex leader del sindacato dei minatori NUM,
messosi in affari nel 1996, è divenuto uno degli uomini più ricchi del Sudafrica 1 , egli stesso proprietario di
miniere, e come azionista della Lonmin aveva preso posizione per la repressione dura dello sciopero dei
minatori di Marikana. Nel 2018, quando venne eletto Presidente del Sudafrica, la sua ricchezza era stimata
in 450 milioni di dollari contando le sole attività quotate in Borsa. Altri magnati neri sono proprietari di
miniere o partner di multinazionali minerarie, finanzieri ecc.
Diverse le sorti del 99% dei neri, i proletari. La ristrutturazione del settore minerario ha portato alla
chiusura di circa 6 mila miniere e al licenziamento di circa 300 mila minatori. Non trovando un lavoro
regolare in altri settori, alcune decine di migliaia tra questi (almeno 36 mila), in maggioranza lavoratori
immigrati da Mozambico, Zimbabwe e Lesotho, non avevano trovato di meglio che andare a scavare, con
mezzi rudimentali, nelle miniere – soprattutto d’oro – abbandonate dalle multinazionali, sotto il controllo di bande “criminali”. A fine 2023 il governo decise di schiacciare queste attività di estrazione illegale, non
perché forme di supersfruttamento con lavoro nero e mancanza di misure di sicurezza, ma perché evasori
fiscali, non pagando royalty né tasse sui profitti per 3,2 miliardi di dollari nel 2024 – hanno calcolato.
La polizia è quindi intervenuta a bloccare le bocche delle miniere, arrestando i minatori che ne uscivano, e
deportandoli nei paesi di provenienza quando immigrati senza permesso di soggiorno. Oltre 2 mila lavoratori sono stati
catturati in questo modo. Nella miniera di Stilfontein le cose sono andate diversamente. Il pozzo principale
è profondo 2 mila metri. I minatori vi erano calati e risollevati con una fune, operata dall’esterno. I minatori
restavano sotto terra anche per mesi prima di risalire e passare qualche settimana con le loro famiglie. Con
l’occupazione delle bocche dei pozzi da parte della polizia pare i minatori non potessero più risalire
volontariamente. La polizia da ottobre con presidi 24 ore su 24 ha impedito con la violenza e la minaccia di
arresto ai famigliari dei minatori di calare viveri e acqua, tranne in alcune occasioni in cui un comitato di
difesa dei minatori aveva ottenuto che dei tribunali ingiungessero di fornire viveri (farina di mais precotto e
acqua), peraltro in quantità insufficiente ad alimentare le centinaia di minatori rimasti in profondità. Il
ministro delle Miniere Gwede Mantashe e quello degli Interni hanno continuato a sostenere la posizione
intransigente, Mantashe ha sprezzantemente detto che quei minatori abusivi era scesi là sotto a loro rischio
e pericolo. Non avevano calcolato, tra gli innumerevoli pericoli, quello di un governo e di una polizia
assassini.
Solo a gennaio un giudice ha finalmente ordinato al governo di intraprendere un’operazione di salvataggio:
ai volontari che sono stati calati fino a 2 mila metri in una cabina sorretta da una gru si è presentata una
scena infernale, preceduta dal fetore degli cadaveri: i circa 240 sopravvissuti avevano le sembianze degli
internati nei campi di sterminio, e in una cabina con la capienza di 7 persone se ne sono potuti caricare 13
alla volta. Molti non più in grado di reggersi in piedi.
(per la cronaca si vedano i due reportage della BBC:
https://www.bbc.com/news/articles/c5yx9gwweeeo e
https://www.bbc.com/news/articles/c62qqg0zj6yo)
Nella campagna contro i minatori senza permessi di soggiorno, che intende proseguire su tutto il territorio, offrendo solo galera e deportazione ai minatori abusivi, il governo ha anche giocato la carta della xenofobia, che ha visto negli anni passati scatenare pogrom contro gli immigrati da altri paesi africani, carta che questa volta si è rivelata un boomerang, avendo prevalso la solidarietà di classe e il senso di umanità. Il governo dell’ANC esprime tutto il carattere inumano di classe, del capitalismo, che il colore scuro della pelle non ha per nulla attenuato. I minatori neri vanno bene quando lavorano docilmente sotto il comando delle imprese
multinazionali e di quelle a capitale “nero” (e si può chiudere un occhio se ci sono immigrati senza permesso di soggiorno), ma sono “criminali” da reprimere con le pallottole se scioperano fuori del controllo del sindacato di regime (Marikana), o con la morte per fame o l’arresto – deportazione se in mancanza di alternative accettano di farsi sfruttare da gruppi mafiosi che fanno “concorrenza sleale” alle multinazionali non pagando le tasse. E
questo quando almeno un terzo dell’economia sudafricana è irregolare (ma il venditore ambulante o
l’artigiano non fa concorrenza alle multinazionali).
Questa nuova tragedia del proletariato in Sudafrica ci mostra quanto malposte siano le speranze di coloro
che vedono un fattore di “progresso” nel “multipolarismo” incarnato dai BRICS, un raggruppamento che si pone come alternativo al dominio del G-7 e più in generale degli imperialismi occidentali + Giappone, che
oltre i paesi fondatori Cina, Russia, India, Brasile e Sudafrica si è allargato a Egitto, Etiopia, Indonesia,
Emirati Arabi Uniti, e vede parecchi nuovi candidati (tra cui l’Arabia Saudita). Se mai si formasse un blocco
economico-politico-militare alternativo, superando le contraddizioni e rivalità interne derivanti dalla loro
eterogeneità e il doppiogiochismo di alcuni di loro, non porterebbero certo stabilità e pace nel mondo, ma
proietterebbero all’esterno le mire dei gruppi capitalistici che li dominano, accelerando una resa dei conti
militare con le vecchie potenze imperialiste, a vantaggio delle potenze ascendenti, Cina in primis, ma sulla
pelle dei proletari.
La nostra piena solidarietà va al proletariato sudafricano e di tutta l’Africa, alla sua lotta contro i suoi
governi borghesi e contro le intromissioni delle potenze mondiali e regionali che stanno alimentando
guerre sanguinose che hanno ucciso e sradicato milioni di persone in Congo, in Sudan e altrove.
(1) Dopo le dimissioni dalla politica, Ramaphosa è diventato un uomo d’affari, approfittando dell’ambiente favorevole fornito dalla nuova politica di Black Economic Empowerment (BEE). Tra le altre cariche, è stato presidente esecutivo del Gruppo Shanduka, una società da lui fondata che investiva in risorse minerarie, energia, immobili, banche, assicurazioni e telecomunicazioni (SEACOM). Nel 2014, Shanduka aveva un valore di oltre 20 miliardi di rupiee la Tshivhase Trust della famiglia Ramaphosa ne era l’azionista di maggioranza. Ramaphosa è stato anche presidente di Bidvest, MTN e, dal marzo 2007, di Mondi, un gruppo internazionale leader nel settore della carta e degli imballaggi. Tra le sue altre cariche di amministratore non esecutivo figurano Macsteel Holdings, Alexander Forbes, SABMiller, Lonmin, Anglo American e Standard Bank. Nel 2011, Ramaphosa ha pagato un accordo di master franchising ventennale per la gestione di 145 ristoranti McDonald’s in Sudafrica. Ha inoltre fatto parte del Consiglio consultivo internazionale di Coca-Cola Company e del Consiglio consultivo di Unilever Africa.
Le varie partecipazioni azionarie di Ramaphosa lo hanno reso uno degli uomini più ricchi del Sudafrica. Secondo il Sunday Times, il suo patrimonio netto stimato di R2,22 miliardi di euro lo ha reso la tredicesima persona più ricca del Sudafrica nel 2011, cifra che è balzata a R3,1 miliardi di euro nel 2012.[36] Entrambe le stime, inoltre, escludevano i suoi investimenti non quotati in borsa attraverso Shanduka, tra cui l’accordo di franchising con McDonald’s e una partnership per l’estrazione del carbone con Glencore. [traduzione da Wikipedia]