Con la chiusura del 2014, alla Camera sono stati approvati i primi due decreti attuativi del Jobs Act.
Sotto forma di regalo di Natale, un regalo certamente gradito per gli sfruttatori, ma una beffa per gli sfruttati.
Il primo provvedimento è uno schema per un decreto legislativo che non solo cancelli definitivamente il reintegro in caso di licenziamento ingiusto salvo che per licenziamento apertamente discriminatorio (notoriamente chi discrimina lo dichiara apertamente!), ma mette dei tetti molto bassi per i risarcimenti sia nei rari casi di reintegro (un massimo di 12 mensilità che diventano 6 per le aziende sotto i 16 dipendenti, a fronte di cause che possono durare anni) sia negli altri casi di licenziamento ingiusto (2 mensilità senza contributi per anno di lavoro, ma non oltre 24 mensilità) che nei casi di conciliazione (una mensilità non tassabile per anno di servizio, ma non oltre 18 mensilità).
Una netta regressione rispetto alle norme in atto, che per ora sarà applicata solo ai nuovi assunti e solo al settore privato: la tecnica del divide et impera resta la preferita, per i dipendenti dello stato e per quelli già a tempo indeterminato l’appuntamento è rimandato. Solo rimandato.
Il secondo è un decreto che modifica il sistema degli assegni di disoccupazione, col varo della Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) in sostituzione della “vecchia” ASpI varata con la legge Fornero.
La tanto sbandierata riforma degli ammortizzatori sociali che avrebbe dovuto garantire un’entrata a tutti i disoccupati è invece riservata solo a chi ha versato un minimo di contributi (quindi ne è escluso chi entra nel mondo del lavoro e chi è disoccupato da molto tempo), è pari al 75% dell’ultimo stipendio ricevuto se esso non supera i 1195 euro (per i primi 4 mesi, poi decresce del 3% al mese) e non può durare oltre 78 settimane. Tutto questo, ricordiamo, dopo che col varo dell’ASpI era stata già cancellata l’indennità di mobilità.
Da maggio entra in vigore in via sperimentale l’ASsegno di DIsoccupazione (ASDI), riservato a chi ha esaurito il periodo di fruizione della NASpI, con priorità per i lavoratori vicini alla pensione o con figli minorenni, ma comunque per un massimo di sei mesi e in ogni caso SE CI SONO LE COPERTURE! Ad oggi per il 2015 sono stanziati solo 300 milioni.
L’importo previsto è pari al 75% dell’ultima erogazione NASpI, quindi per uno stipendio iniziale di 1000 euro, dopo 78 settimane, si arriverebbe un’ultima NASpI di circa 490 euro, e chi nel frattempo non è morto di fame, potrebbe essere tanto “fortunato” da recepire un assegno mensile di 367 euro, sempre se ci saranno i soldi a bilancio.
Per i disoccupati ex Co.Co.Co. e Co.Co.Pro. permane un regime separato, altro che fine delle discriminazioni. Chi ha almeno tre mesi di contribuzione dall’anno solare precedente alla disoccupazione e un mese nell’anno in corso, può usufruire dell’indennità DIS-COLL, pari al 75% dell’ultima retribuzione se questa non è superiore a 1195 euro (dopo 4 mesi decresce del 3% mensile) e per non oltre la metà del periodo di contribuzione degli ultimi 4 anni, comunque per un massimo di sei mesi (contro i 18 della NASpI). Cessata la fruizione della DIS-COLL, non è previsto accesso all’ASDI.
Il premier Matteo Renzi va fiero di quest’opera, e al danno aggiunge la beffa: una delle sue solite frasi ad effetto è “Nessuno avrà più alibi per non investire in Italia”, una smargiassata che suona grottesca dopo una legge fatta su misura per i capitalisti. Per la cronaca, la maggiore precarietà non fa aumentare i clienti e non garantisce un maggiore accesso al credito. Le assunzioni si fanno se le aziende hanno bisogno di manodopera, non se questa è più economica o flessibile; è una cosa che sanno bene i lavoratori precari: per mesi o per anni si sentono ripetere che non ci sono le condizioni per stabilizzarli, ma quando trovano un altro posto di lavoro magicamente le condizioni si creano.
Questi provvedimenti legislativi sono il frutto di una debolezza della classe lavoratrice, debolezza causata innanzitutto da anni di pace sociale promossa dai sindacati concertativi e ora aumentata dalla crisi economica in atto che rende i lavoratori ulteriormente ricattabili; debolezza che consente ai politici borghesi di fare l’affondo per smantellare le conquiste ottenute con le lotte passate colpendo settori della classe sempre più ampi, per estendere ed aumentare il più possibile la precarietà e lo sfruttamento.
Per spezzare questo circolo vizioso è inutile inseguire ipotesi di nuovi partiti “più di sinistra”; serve una lotta che contrasti la tecnica del “divide et impera” e unifichi gli sfruttati.