La caduta di Assad per mano delle milizie islamiste è la liberazione del popolo siriano? Ci sono molte ragioni per dubitarne

Con una rapidità che ha del sensazionale il regime di Assad è crollato. Venuto meno in sequenza il sostegno di Hezbollah, dell’Iran e da ultimo della Russia, il suo apparato di potere si è disfatto come neve al sole anche nella sua roccaforte storica Damasco, che ora è nelle mani dell’HTS e dei suoi alleati.

Questo tracollo conferma l’analisi di quanti, come noi, sostengono da un decennio che Bashar al-Assad e il suo clan di affaristi e macellai del popolo siriano avevano scavato un fossato incolmabile tra sé e la grandissima massa povera delle città e delle campagne siriane che si era sollevata negli anni 2011-2012. E che la riconquista del controllo militare sul 70% del territorio del paese non equivaleva certo alla riconquista dei cuori e delle menti di quanti avevano preso parte alla rivolta popolare. Anzi, l’estremizzazione del carattere patrimoniale e corrotto del regime avvenuta negli ultimi anni in presenza di una miseria dilagante, ne aveva ulteriormente eroso – come si è visto – la residua credibilità.

Arrivano scene di festa da Damasco e da altre città. Il primo proclama del Consiglio nazionale di transizione (che per conoscenza mettiamo in coda) parla di una Siria “libera e orgogliosa” di cui sarà garantita “l’unità e la sovranità”, nel contesto di una “riconciliazione nazionale globale” e di una ricostruzione del paese e dello stato “sulla base della libertà e della giustizia”.

Dopo più di un decennio di scontri armati e violenze d’ogni tipo, una montagna di 500.000 cadaveri e milioni di sfollati, è normale che la caduta del primo responsabile di tutta questa tragedia faccia tornare la speranza di un miglioramento generale delle condizioni di esistenza. Ma ci sono molte ragioni per dubitarne.

La prima è costituita dagli appetiti stranieri che, con il crollo di Assad e lo smacco subito da Iran e Russia, si sono di colpo ingigantiti. Turchia, Stati Uniti, Arabia saudita, Qatar, Emirati e qualche stato europeo (la Francia prima indiziata, e perfino il regime ucraino) sono pronti a passare all’incasso. E non saranno certo più clementi della Russia e dell’Iran. Resta, inoltre, l’incognita della presenza russa nella zona costiera.

La seconda è la garanzia data da HTS e soci di “proteggere la proprietà privata”. Il che significa proteggere la spaventosa polarizzazione nella distribuzione della ricchezza sociale che si è venuta a creare nel cinquantennio degli Assad, in modo particolare proprio sotto Bashar, grazie alle sue riforme neo-liberiste. Del resto i grandi protettori delle milizie vittoriose non sono certo modelli di “equa distribuzione della ricchezza sociale”, ammesso – e non concesso – che sotto il capitalismo, tanto più un capitalismo iper-dipendente come quello siriano, possa esserci qualcosa del genere. E non ci sorprenderebbe affatto se i grandi capitalisti siriani beneficiati dagli Assad (una dozzina di famiglie) si vanteranno, davanti ai nuovi venuti, di avere favorito una transizione pacifica abbandonandolo al suo destino, e quindi di meritare i giusti premi.

La terza ragione per dubitare che cominci ora la liberazione delle masse sfruttate e oppresse della Siria è il carattere confessionale sunnita di HTS e assimilati. Si tratta, infatti, di milizie la cui matrice di provenienza è segnata da decenni di feroce contrapposizione agli sciiti e agli alawiti in quanto eretici, in molti casi composte di miliziani non siriani, ma ceceni, afghani, turchi, etc. accorsi a combattere in Siria proprio per motivi di settarismo religioso.

La quarta è costituita dal destino della massa delle donne siriane senza diritti (la quasi totalità) che già prima di questi avvenimenti, e perfino nel corso della sollevazione popolare del 2011-2012, non godeva certo di una condizione di “libertà” e di “parità”, tutt’altro, essendo in questo la Siria un fanalino di coda nel mondo arabo rispetto a Marocco, Tunisia, Egitto e, soprattutto, Iraq prima della sua infame devastazione per mano amerikana-occidentale (Schwartzkopf, Albright, Baker, tre nomi per tutta una gang di genocidi), ed anche dopo questa criminale opera di distruzione. Per loro, il futuro diventa ancora più oscuro del presente.

La quinta è la presenza di un’irrisolta questione curda. Le formazioni armate curde, le SDF (Forze democratiche siriane) e l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est hanno già suonato forte l’allarme circa i quartieri di Sheikh Maqsoud e Ashrafiye ad Aleppo, la regione di Shahba, Deir ez-Zor ed altre zone ancora a forte densità curda o occupate dalle milizie curde. Hanno rivolto un immancabile appello alla “comunità internazionale”, cioè a Stati Uniti e UE, perché si ergano a protettori del “modello democratico costruito nel Rojava”. Ora, senza nulla togliere ai meriti di questa Amministrazione autonoma nella promozione dell’attività pubblica e nella tutela dei diritti e dei bisogni delle donne, resta innegabile che la funzione svolta dalle milizie curde di carcerieri e killer dei jihadisti in fuga da Mosul (e delle loro famiglie) al servizio degli Stati Uniti, e sotto la protezione dei loro bombardamenti, è stata ed è reazionaria.

Le prime caute dichiarazioni provenienti da Washington parlano della necessità di impedire una rinascita dell’Isis… sembrano, quindi, consapevoli di dover ora essere loro a sbrogliare la complicatissima matassa. Israele può certamente esultare, ma ha nello stesso tempo perso “il suo miglior nemico”, non avendo mai ricevuto da Bashar e Co. alcun fastidio degno di nota. L’avanzata su Damasco è stata davvero facile, per l’insieme dei vincitori il difficile viene ora.

Finisce una regime di “ingiustizia, tirannia e oppressione”, ma questa non è l’alba di una liberazione delle masse siriane e curde oppresse. Altre durissime prove e disillusioni le attendono fin quando non si ripeterà in grande, con più radicalità, coscienza e organizzazione di classe, la scena delle rivolte proletarie e popolari degli anni 2011-2012. Intanto bisognerà vedere se i nuovi governanti libereranno davvero tutti i prigionieri politici, anche quelli la cui militanza aveva un segno anti-capitalista, oppure soltanto i loro affiliati…

Qui di seguito, per documentazione, il primo proclama delle formazioni islamiste da Damasco

Ai liberi figli della Siria

dopo molti anni di ingiustizia, tirannia e oppressione, e dopo grandi sacrifici compiuti dai figli e dalle figlie di questo caro paese, annunciamo oggi, al grande popolo siriano e al mondo intero, che il regime di Bashar al-Assad è caduto e il presidente Al Assad è scappato, ha lasciato il Paese, lasciando dietro di sé un’eredità di distruzione e sofferenza. 

In questo giorno storico, dichiariamo che le forze rivoluzionarie e di opposizione hanno preso il controllo della nostra amata Siria e affermiamo il nostro impegno a costruire uno Stato libero, giusto e democratico in cui tutti i cittadini siano uguali senza discriminazioni. 

Ci impegniamo davanti a Dio e davanti al popolo a quanto segue: 

1. Preservare l’unità e la sovranità delle terre siriane. 

2. Proteggere tutti i cittadini e le loro proprietà private, indipendentemente dalla loro appartenenza. 

3. Ci impegniamo per ricostruire lo Stato e le sue istituzioni sulle basi della libertà e della giustizia. 

4. Cerchiamo di realizzare una riconciliazione nazionale globale e riportare i rifugiati e gli sfollati alle loro case in sicurezza e dignità. 

5. Ritenere responsabili tutti coloro che hanno commesso crimini contro il popolo siriano, in conformità con la legge e la giustizia. 

Invitiamo tutto il popolo siriano a unirsi in questa fase storica, e affermiamo che la nuova Siria non sarà limitata a nessuno, ma sarà una patria per tutti. 

Viva  Siria libera e orgogliosa. 

Che la pace, la misericordia e le benedizioni di Dio siano su di voi. 

Consiglio nazionale di transizione, Damasco