La Palestina deve vivere! – Venezia, domenica 18 maggio, ore 16.30, presidio alla stazione ferroviaria

Allo sterminio e alla catena di devastazioni prodotti dagli incessanti bombardamenti il governo Netanyahu e lo stato sionista hanno aggiunto negli ultimi mesi l’uso sadico della carestia e della fame come armi di guerra attraverso il blocco dell’ingresso di ogni aiuto alimentare nella striscia di Gaza. Non è certo la prima volta che accade, ma questa volta l’uso di tali armi è spinto all’estremo. E nonostante ciò, nota amaramente il comunicato che ci arriva da Quds News, nonostante si tratti di una palese violazione del diritto internazionale a cui si richiamano, tutte le grandi potenze tacciono, lasciando gli apparati di morte sionisti liberi di portare avanti i loro piani coloniali genocidi.

Non ci stancheremo di ripeterlo: se gli Stati Uniti, la Germania e l’Italia cessassero di rifornire di armi lo stato sionista; se i paesi arabi e i paesi dei Brics (Brasile, Russia, etc.) cessassero di rifornirlo di petrolio, derivati del petrolio e ogni altra merce necessaria; l’esercito di Israele e l’intero apparato di controllo e di sterminio sionista collasserebbe in pochi giorni.

Per denunciare questo ulteriore tragico sviluppo della situazione della popolazione di Gaza, per reclamare l’immediata fine del genocidio e l’immediato sblocco degli aiuti alimentari alla popolazione di Gaza, il Comitato permanente contro le guerre e il razzismo di Marghera, i Giovani palestinesi d’Italia (GPI), la Tendenza internazionalista rivoluzionaria (TIR) e Cinema senza diritti organizzano domenica 18 a Venezia (alle ore 16.30) un presidio, a cui invitano a partecipare tutte/i gli organismi e le persone solidali con il popolo palestinese.

La carestia e la fame come armi di guerra

Quds Network: I segnali di carestia si stanno intensificando nella Striscia di Gaza, mentre il blocco israeliano entra nella sua nona settimana, provocando una carenza di aiuti umanitari e una quasi totale mancanza di cibo e assistenza sanitaria. Queste condizioni hanno costretto migliaia di famiglie a macinare cereali e legumi come alternativa al pane, dopo che la farina era finita quasi al 95%.

La carestia è entrata in una fase catastrofica, in particolare nella Striscia di Gaza settentrionale e nella città di Rafah, nonostante i ripetuti avvertimenti delle Nazioni Unite che non hanno ricevuto alcuna risposta seria. Di fronte a questo deterioramento umanitario, regna un pesante silenzio internazionale, considerato dagli abitanti della Striscia di Gaza e dalle organizzazioni per i diritti umani come una copertura non dichiarata per una politica sistematica di genocidio per fame.

Da parte sua, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso pubblici dati allarmanti secondo cui dall’inizio dell’anno circa 10.000 bambini soffrono di malnutrizione, tra cui circa 1.400 bambini affetti da forme gravi che richiedono cure mediche urgenti. Tuttavia, la realtà dello sfollamento e la difficoltà di accesso ai centri di cura (ce ne sono solo tre) fanno sì che un bambino su cinque non completi il ​​trattamento.

L’organizzazione ha inoltre lanciato l’allarme per un’epidemia di diarrea acquosa acuta, che rappresenta una minaccia diretta per la vita dei bambini che già soffrono di malnutrizione, in un contesto di collasso quasi totale delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie.

In uno sviluppo preoccupante, l’occupazione israeliana ha proposto di distribuire aiuti umanitari attraverso centri supervisionati dalle sue forze. Ciò ha sollevato diffuse preoccupazioni circa la politicizzazione degli aiuti e il loro utilizzo come merce di scambio politico, soprattutto perché impedire l’ingresso di cibo, medicine e carburante è una forma sistematica di punizione collettiva che, secondo il diritto internazionale, costituisce un crimine di guerra.

Quando la farina è finita, gli abitanti hanno fatto ricorso all’uso di lenticchie, ceci, mais e pasta macinata per fare il pane. Tuttavia, queste soluzioni primitive non soddisfano il fabbisogno sanitario minimo dei residenti, il che aggrava ulteriormente la tragedia della fame nella Striscia.

Nonostante questa catastrofe, le potenze internazionali non hanno preso posizioni efficaci o basate sulla pressione per aprire i valichi o imporre un corridoio umanitario permanente. Ciò che viene visto come un’ulteriore indicazione di complicità internazionale, e legittima implicitamente l’uso della fame come arma di guerra contro i civili.

Con l’aumento della carestia e dei tassi di mortalità dovuti a malnutrizione e malattie correlate, sorgono questioni etiche e politiche fondamentali circa la fattibilità del sistema umanitario internazionale e la sua incapacità di salvare un popolo che viene sterminato sotto gli occhi del mondo. Finora non si registrano segnali di un cambiamento nell’indifferenza internazionale, che equivale a complicità. Questo lascia Gaza sola ad affrontare la macchina della fame, con le sue infrastrutture in rovina, gli stomaci vuoti e un soffocante blocco.

Dallo scoppio della guerra di sterminio nella Striscia di Gaza, il 7 ottobre 2023, le autorità di occupazione israeliane hanno continuato a imporre sistematiche politiche di fame nei confronti di oltre due milioni di palestinesi. Sembra che questo sia un tentativo deliberato di costringere i palestinesi a emigrare e ad abbandonare la loro terra sotto il peso della fame e della disperazione, il che costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità secondo il diritto internazionale.

Fin dai primi giorni dell’attacco israeliano a Gaza, l’occupazione ha imposto un soffocante blocco, impedendo quasi completamente l’ingresso di cibo, acqua, medicine e carburante. Il Ministro della Guerra israeliano dichiarò all’epoca, il 9 ottobre 2023: “Stiamo imponendo un blocco totale. Niente elettricità, niente cibo, niente carburante. Tutto è chiuso. Stiamo combattendo contro animali umani e agiremo di conseguenza”.

Il ministro israeliano Amihai Eliyahu ha chiesto di bombardare i depositi di generi alimentari e di far morire di fame la popolazione della Striscia di Gaza per costringerla ad andarsene.

Ha sottolineato che “dobbiamo fermare gli aiuti umanitari. Finché permetteremo l’ingresso degli aiuti, faremo del male ai nostri prigionieri e soldati, costretti a tornare a combattere”. Ha affermato che “i palestinesi di Gaza stanno già aiutando Hamas e quindi è necessario esercitare una pressione diretta su di loro”.

Ha affermato: “Sono i cittadini di Gaza che hanno sostenuto Hamas [da quel] sabato di ottobre. Sono loro che sostengono Hamas. Se la situazione diventa difficile per i civili, lo sarà anche per Hamas.”, sottolineando che “Non c’è alcun problema a bombardare le riserve di carburante e di cibo di Hamas”.

Ha aggiunto: “Dovrebbero morire di fame. Se ci sono civili che temono per la propria vita, che si adeguino al piano di emigrazione che il governo israeliano dovrebbe promuovere e che sta attuando con scarsa energia”. Ha chiesto un’azione militare decisa contro Hamas, evitando il cessate il fuoco o gli accordi politici.

La politica della fame non è isolata da un contesto più ampio di sfollamenti forzati. Fin dall’inizio della guerra, Israele ha esercitato una pressione enorme per costringere gli abitanti, in particolare quelli della Striscia di Gaza settentrionale, a “trasferirsi” verso sud. Poi ha iniziato a prendere di mira la parte meridionale di Gaza, in particolare la città di Rafah, che è diventata l’ultimo rifugio per oltre 1,5 milioni di sfollati.

In base al diritto internazionale umanitario, il ricorso alla fame come metodo di guerra è proibito dall’articolo 54 del Protocollo addizionale I alle Convenzioni di Ginevra e dall’articolo 8 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, che lo considera un crimine di guerra.

La fame della popolazione di Gaza non è una conseguenza della guerra, bensì un’arma deliberata all’interno di una politica sistematica di genocidio e pulizia etnica, volta a costringere i palestinesi a scegliere un’unica opzione: lasciare la loro patria o morirvi. Mentre il mondo ufficiale rimane in silenzio o si accontenta di condannare, Israele continua ad attuare politiche che sono state a lungo considerate violazioni dei limiti imposti dal diritto internazionale.