L’elezione del nuovo presidente dell’Iran (14 giugno 2013)
L’elezione di Hassan Rouhani al primo turno, a sorpresa, con 18.613.329 voti, pari al 50,71% dei voti validi, ha suscitato commenti prudenti sulla stampa estera.
Dal punto di vista della strategia elettorale la vittoria è stata favorita dal ritiro, l’11 giugno, di
Mohammad-Reza Aref, il candidato di Khatami. Khatami ha ritenuto opportuno infatti rinunciare a una candidatura “riformista” e concentrare i voti sul centrista Rouhani, sostenuto da Rafsanjani. A sua volta Rafsanjani si era candidato, ma era stato escluso dalla competizione elettorale dalla Commissione elettorale, dominata dalle Guardie della rivoluzione. Era stato escluso anche il candidato di Ahmedinejad, Mashaei. Nelle settimane prima delle elezioni il regime ha mostrato il suo nervosismo non solo censurando pressoché tutti i candidati di sinistra o anche solo riformisti, ma anche mettendo agli arresti domiciliari sia i membri del Movimento Verde, sia gli attivisti pro-Ahmadinejad. Centinaia di internet cafè, radio locali ecc. sono stati chiusi. I volantinaggi degli attivisti pro Aref e Rouhani picchiati o fermati. La rete internet è stata artificialmente rallentata o interrotta spesso; in trasmettitori per la telefonia mobile spesso messi fuori uso. Secondo la Rand Corporation Usa sono state le elezioni più “controllate” della storia dell’Iran.
Ha votato il 72,2% degli aventi diritto (36.704.156 su 50 milioni e mezzo di elettori)
L’astensionismo in Iran è stigmatizzato e incide sulle opportunità di lavoro, per questo molti giovani votano scheda bianca (AT 22 maggio 13), ma stavolta i votanti sono stati 8% in meno che nel 2009; in cambio le bianche e le nulle in tutto assommano al 3,39%.
Al contrario del 2009, le elezioni si sono svolte in un clima di passività; dopo la frustrazione di due anni di inutili manifestazioni, l’elettorato ha espresso un voto “pragmatico e senza illusioni”, un voto “per il cibo e non per la libertà” (Economist 17 giu13). Le attese, secondo il Guardian (16giu 2013) sono modeste: sostanzialmente la liberazione degli 800 detenuti per reati di opinione, fra cui i capi del Movimento verde Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, ma anche giornalisti, avvocati, attivisti dei diritti umani, bloggers, femministe, cristiani ecc.
Rouhani è un uomo dell’establishment, ha un pedigree rivoluzionario impeccabile (giovane studente raggiunse a Parigi Khomeini, dopo il 1979, in Iran si dedicò alla riorganizzazione dell’esercito, ha partecipato come comandante alla guerra contro l’Iraq, viene anche decorato), ha scalato i vertici dello stato passando da vari incarichi nel Ministero della Difesa al Consiglio supremo della sicurezza nazionale fino al 2005, quando è stato allontanato per volere di Ahmadinejad. Ma è stato incaricato dei negoziati con l’AIEA e Khamenei l’ha voluto nell’Assemblea degli Esperti. Ha buoni rapporti sia coi riformisti alla Khatami, che con i liberisti rampanti come Rafsanjani , ma anche con Khameini (è un chierico), coi Guardiani della rivoluzione (ha fatto la guerra contro l’Iraq) e la destra religiosa. Ha ricoperto numerosi incarichi militari e di intelligence; difficile quindi che metta in discussione il potere economico dei Guardiani e dell’Esercito.
E’ abbastanza conservatore quindi da poter tentare una riforma del sistema economico pur senza mettere in discussione l’assetto complessivo di potere in Iran, trovando una mediazione fra le varie frazioni borghesi. (Geopolitical Weekly 18 giu 2013 – WSWS 17 giu 2013).
Il potere del presidente in Iran è limitato e comunque condizionato da un lato da Khameini dall’altro dal binomio Esercito/Guardiani della Rivoluzione che controllano le imprese militar/statali.
Non va tuttavia sottovalutata la situazione di profonda crisi economica nel paese che costringe le diverse ali della borghesia iraniana, anche quelle più legate al modello del capitalismo di stato, ad affidarsi ai tecnocrati e ai managers esperti piuttosto che ai capipopolo come Ahmadonejad.(Rand Corporation 17 giugno ). Ahmadinejad era stato eletto nel 2005 con i voti degli operai e dei contadini poveri perché era contrario a ristrutturare le aziende di stato inefficienti. Ma poi ha profondamente deluso gli strati del proletariato urbano e rurale cui aveva promesso di usare i proventi del petrolio per alleviarne la miseria; invece l’inflazione ne ha taglieggiato i redditi (il salario minimo in dollari è passato da 275 al mese nel 2010 a 134 nel 2012), le tasse sono aumentate, i beni di prima necessità a prezzi agevolati sono stati aboliti. La corruzione nella gestione della cosa pubblica sta dilagando; l’industria petrolifera langue per mancanza di investimenti e manutenzione
– un’inflazione del 30% (del 60% sugli alimentari)
– una disoccupazione ufficiale del 14% (in realtà del 35% fra i giovani sotto i 29 anni)
Mancano le riserve di valuta straniera per gli scambi commerciali
Qualcuno ricorda che nel 1988 per uscire dal pantano della guerra con l’Iraq fu nominato comandante in capo dell’esercito Rafsanjani, “l’uomo dei pistacchi”, l’affarista, un pragmatico che guidò il paese fuori dalla guerra. Oggi viene scelto un altro pragmatico, mediatore fra le fazioni, per portare il paese fuori della crisi, con l’obiettivo di abbassare l’inflazione e la disoccupazione. Non a caso mentre la gente festeggiava nelle strade, la Borsa iraniana ha fatto un balzo in avanti.
La ripresa economica passa anche dalla fine delle sanzioni imposte dagli Usa; ma la discussione sulle sanzioni e collegata allo sviluppo delle trattative sul nucleare iraniano.
In vista del P5+1, sul programma nucleare, cui partecipano USA, GB, Francia, Russia e Cina + la Germania), sia Khatami che Rafsanjani rappresentano l’ala della borghesia iraniana che vuole aprire un negoziato. Il primo passo è riaprire l’ambasciata britannica a Teheran, chiusa nel 2011
Rouhani ha già in passato (nel 2006 con un articolo per Time Magazine) proposto una maggiore trasparenza riguardo alle procedure di arricchimento dell’uranio e un più facile accesso per gli ispettori della IAEA . Allora il suo più stretto collaboratore Seyed Hossein Mousavian fu accusato di tradimento da Ahmadinejad e costretto a fuggire negli Usa. Oggi Rouhani ha ribadito che l’Iran non può rinunciare al nucleare. Ha però criticato la rigidità e l’aggressività verbale dell’attuale negoziatore scelto da Ahmadinejad, cioè Saeed Salili, anche lui in corsa per la presidenza. Rouhani ha commentato che l’Iran ha bisogno delle centrali nucleari, ma anche di garantire condizioni di vita decorose alla popolazione e di far funzionare le loro fabbriche. (AT 18 giu “Washington split on Rouhani victory in Iran”)
Al G8 in Irlanda , dopo un meeting bilaterale con Putin, Obama ha dichiarato “cauto ottimismo” sul nuovo corso iraniano. Una richiesta di totale chiusura verso l’Iran viene invece da Netanyahu e dalla destra repubblicana statunitense.
La partita delle sanzioni si giocherà certamente anche in parallelo con l’apertura di un negoziato sul conflitto in Siria e sul ruolo giocato dall’Iran a sostegno di Assad.
Il neoeletto ha rivolto la sua attenzione anche alle monarchie del Golfo, dichiarando che “la priorità della politica estera del mio governo sarà di avere eccellenti relazioni con tutte le nazioni vicine” E parlando dell’Arabia saudita ha detto “ Noi siamo vicini, ma anche fratelli; abbiamo molti punti in comune con l’Arabia saudita e ogni anno centinaia di nostri pellegrini visitano la Mecca”
(NYT 17 giu 13). Osserva il Guardian (16 giu) che le congratulazioni arrivate dai paesi arabi sono state fredde e formali, subito seguite da accuse sul ruolo di Hezbollah e quindi dell’Iran nell’attuale contingenza siriana, in appoggio al “tiranno”.