Los Angeles: una prima rivolta contro la caccia di Trump agli immigrati. Avanti così!

Da due giorni non solo la cittadina di Paramount, 54.000 abitanti, all’80-90% immigrati, situata nel circondario di Los Angeles, ma l’intera metropoli californiana è in subbuglio per una prima rivolta contro la brutale caccia federale agli immigrati “clandestini” scatenata dalla banda di Trump insediatasi a gennaio scorso, per la seconda volta, alla Casa Bianca.

Trump stesso ha consacrato l’importanza nazionale di questa rivolta scrivendo su “Truth”: “Se il governatore della California Gavin Newson e il sindaco di Los Angeles Karen Bass non riescono a fare il loro dovere, e tutti sanno che non ci riescono, allora il governo federale risolverà questo problema di RIVOLTE e SACCHEGGI nel modo giusto“. Per “modo giusto” intende la “giusta” repressione con l’intervento anche della guardia nazionale e – aggiunge il ministro del Pentagono Hegseth – con i marines.

I fatti sono questi.

Da molti giorni nella contea di Los Angeles, la più popolosa degli Stati Uniti, circa 10 milioni di abitanti di cui oltre il 30% nati all’estero (220 lingue differenti), si susseguono raid delle pattuglie dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), l’Ente federale, dipendente direttamente dalla Casa Bianca, incaricato di portare a termine dal Nord al Sud del paese “la più grande deportazione della storia degli Stati Uniti”.

L’azione brutale e arbitraria di queste pattuglie ha suscitato un crescente malessere, e poi una crescente rabbia, tra masse di immigrati che hanno iniziato ad assaltare le auto della polizia anti-immigrati e, dopo un raid ai danni di lavoratori occupati presso uno dei supermercati della catena Home Depot, hanno circondato l’ufficio immigrazione e cercato di assaltarlo – un assalto definito dal capo-staff della Casa Bianca, Stephen Miller, “un’insurrezione contro le leggi e la sovranità degli Stati Uniti“. Al lancio di gas lacrimogeni e allo sparo di pallottole di gomma, i dimostranti, sostenuti in modo sempre più intenso dalla popolazione, hanno risposto con pietre e bastoni, incendiando auto, provando a fermare, con blocchi stradali, i rinforzi in arrivo per la polizia. Proteste analoghe si sono accese anche fuori dalla cittadina, sicché intere zone dell’area metropolitana sembravano zone di guerra.

Una scintilla che ha allargato la protesta è stato il ferimento e l’arresto di un dirigente sindacale molto noto, David Huerta, presidente del SEIU – United Service Workers West, impegnato nell’organizzazione delle lavoratrici delle pulizie, accusato di essersi interposto “illegalmente” ad un’azione di rastrellamento. A sua difesa sono scesi in campo anche gli alti burocrati dell’ALF-CIO e il governatore della California, e soprattutto tante lavoratrici e tanti lavoratori.

https://www.latimes.com/california/story/2025-06-07/chabria-column-ice-arrest-california-union-leader

L’attacco di Trump e dei suoi al governatore democratico della California e al sindaco di Los Angeles (che ha detto, con l’intento di placare gli animi, “siamo orgogliosi che la città di Los Angeles sia una città di immigrati”) si spiega non tanto per un’attiva opposizione attiva dei democratici al piano delle deportazioni, che non c’è (Biden, del resto, è stato un primatista in questo campo), quanto per un fenomeno insolito, per noi molto interessante: una parte, almeno, della polizia locale si è rifiutata di dare manforte alle pattuglie federali in questa infame caccia ai proletari e alle proletarie “senza documenti”, illegalizzati dalle leggi sempre più restrittive in materia di regolarizzazione e accesso allo status di rifugiati.

Sembra che in questa agitazione sia presente, se non alla sua guida, la Union del Barrio, un’organizzazione politica di matrice castrista-terzomondista, che è stata interna anche alle proteste del Black Lives Matter e vicina al movimento Antifa. Insomma, non si è trattato di una rivolta meramente spontanea, ed è improbabile che i 118 arresti avvenuti finora la plachino. Le testimonianze dai luoghi degli scontri e dalla vicina metropoli riflettono un’effervescenza sociale e politica che non si vedeva da molti anni, e che oggi si catalizza contro i “nazisti dell’ICE”, altrimenti chiamati “fascisti” e “maiali”.

Le grandi lotte – questo è stato il movimento BLM, anche se non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi – sedimentano sempre coscienza e organizzazione, per quanto il nemico di classe si accanisca a distruggerne la memoria, e a disperderne i protagonisti, ora reprimendo, ora cooptando. Finora le tante piccole proteste avvenute contro la politica ultra-razzista del Trump 2.0 contro gli immigrati, erano state quasi sempre pacifiche, o comunque si erano mantenute nei confini del consentito. In questo caso le cose sono andate diversamente.

E siccome, immediatamente, Trump e i suoi hanno gettato altra benzina sul fuoco sostenendo, con S. Miller, che “questo è solo l’inizio, presto vedremo, spero, arresti a migliaia di ogni genere di criminali ogni giorno” (del resto, secondo il New York Post, martedì scorso il totale degli arresti ha già toccato la cifra di 2.200), minacciando con Hegseth l’arrivo dei marines, e quant’altro, è il caso di monitorare attentamente gli sviluppi di questa e simili proteste.

Da tempo sosteniamo che la guerra agli emigranti e agli immigrati è un elemento-cardine della politica anti-proletaria e bellicista dei governi occidentali (e non solo!), e che la risposta di classe, internazionalista ad essa è altrettanto fondamentale per la rinascita di un movimento proletario indipendente, capace di dare battaglia fino in fondo non solo alle politiche più canagliesche contro le popolazioni immigrate, ma al sistema sociale che le genera.

Da tempo sosteniamo che il solo vero, antidoto alla corsa al riarmo e alla guerra globale inter-capitalistica è il massimo sviluppo, e la massima radicalità, della lotta di classe interna ai paesi imperialisti e alle grandi potenze. E’ di questo che ci parla, nel piccolo, la rivolta di Paramount-Los Angeles.