Dopo un periodo di rabbia latente contro l’aumento del costo della vita, lo scorso 19 dicembre è scoppiata in Sudan la rivolta per l’insostenibilità della crisi economica, prodotta dalle misure di austerità imposte dal regime di al-Bashir. Le proteste esplose nella città di Atbara, nell’Est del paese, si sono subito estese alle vicine città, e poi si sono propagate a decine di città e villaggi, giungendo il 25 dicembre con un grande corteo nella capitale, Khartoum, davanti al palazzo presidenziale.
Alle spontanee proteste di giovani e lavoratori si sono aggiunte forze politiche e sindacali: la Sudanese Professional Association (SPA – Associazione dei professionisti, medici, avvocati e insegnanti)[i] che ha promosso la Declaration of Freedom and Change Forces – DFLC (Dichiarazione delle Forze per la Libertà e il Cambiamento), sottoscritta a gennaio da Sudan Call, National Consensus Forces (NCF) e Unionist Association; l’Unionist Gathering.[ii]
Nonostante lo stato di emergenza e il coprifuoco decretati dal regime, i manifestanti hanno chiesto l’incarcerazione del corrotto dittatore, indagato per crimini contro la popolazione, e l’esautorazione del suo partito NCP legato alla Fratellanza Musulmana, l’istituzione di un Consiglio presidenziale civile, un consiglio legislativo e un piccolo gabinetto esecutivo, con almeno il 40% di donne.
Ad aprile, dopo che manifestanti hanno occupato, allestendo un campo, la piazza antistante il quartier generale dell’esercito a Khartoum, i militari sono stati costretti a deporre Bashir, hanno istituito un Consiglio Militare di Transizione (TMC), e hanno nominato a primo ministro un generale ex stretto collaboratore di al-Bashir, Awad Mohamed Ahmed Ibn Auf.
Alle richieste dei dimostranti di trasferire il potere ad un governo civile, i golpisti hanno risposto sacrificando solo Auf, sostituito con un altro generale, Abdel Fattah Burhan, comandante dei 30000 soldati sudanesi[iii] che combattono in Yemen a favore di sauditi e emiratini. Quasi tutti questi mercenari sudanesi apparterrebbero alle Rapid Support Forces (RSF, propaggine delle famigerate milizie janjaweed accusate di crimini di guerra nella regione sudanese del Darfur(300mila vittime).
D’altra parte è dimostrata l’influenza di Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti che stanno riempiendo il vuoto di potere a seguito della destituzione di al-Bashir. Per le strade di Khartoum sono stati visti veicoli militari costruiti dagli Emirati Arabi Uniti (New York Times). Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti hanno promesso al Sudan aiuti per 3 miliardi di dollari; Abdel Fattah Burhan e il suo vice, Dagalo, si sono di recente recati in visita in questi paesi.[iv]
Le proteste sono continuate con raduni di massa nelle piazze, con scioperi vari, in particolare quello dei portuali di Port Sudan, lo sciopero generale e la disobbedienza civile. A Khartoum si sono riattivati i “comitati di resistenza”, (nati nel 2011 con le primavere arabe, poi coalizzati nel Comitato di Resistenza Sudanese) che hanno contribuito a pubblicizzare le proteste nei quartieri popolari.
La Giunta TMC ha tentato per sei mesi di fermare la protesta con accordi truffa, con cui si riservava una sostanziale fetta di potere, e con la repressione violenta. Ma è riuscita a dissuadere temporaneamente le manifestazioni di piazza solo il 3 di giugno, con il feroce intervento delle RSF. Oltre 120 vittime massacrate a colpi di machete e gettate nel Nilo, circa 700 i feriti, decine gli stupri.
Secondo un esperto militare sudanese, il piano di attacco al campo di protesta davanti al ministero della Difesa sudanese nel centro di Khartoum era stato discusso dal generale Abdel Fattah al-Burhan durante le visite in Arabia Saudita, Emirati Arabi e Egitto.
ll 6 giugno 2019, L’Unione Africana ha sospeso la partecipazione del Sudan alle sue attività, fino a che “verrà creata effettivamente” una autorità di transizione guidata da civili.
La Associazione dei professionisti sudanesi e DFLC ha chiamato ad uno sciopero politico, e invitato la popolazione a disobbedire a qualsiasi disposizione dei golpisti.
La protesta è continuata fino ad inizio luglio, quando i militari sono riusciti a dividere il fronte delle proteste raggiungendo un accordo per un governo di transizione (39 mesi) con frazioni di DFLC, accordo che è stato celebrato da manifestazioni di massa.[v]
Il Partito Comunista Sudanese (PCS) ha subito esortato la popolazione a mantenere la pressione sulla Giunta con la presenza nelle strade. NO a compromessi sull’agenda per il periodo di transizione stabilita dalla Dichiarazione delle Forze per la Libertà e il Cambiamento:
- Negoziati per porre fine della guerra civile;
- Ritiro delle truppe dallo Yemen;
- Chiusura delle basi militari straniere in Sudan.
A conferma dei timori espressi dal Partito Comunista, in pochi giorni la Giunta TMC ha disconosciuto, con due dichiarazioni, una politica e una costituzionale, alcuni punti fondamentali su cui si era in precedenza accordata con l’opposizione, e ha introdotto riserve su altri.
In una dichiarazione il TMC approva e legittima tutti gli accordi con le potenze straniere presi dal destituito regime di al-Bashir, e quindi impedisce il ritiro dei soldati sudanesi dalla guerra in Yemen, il ritiro dagli accordi con AFRICOM e la chiusura delle basi della CIA.
TMC ha anche cancellato l’impegno a costituire un comitato scelto dal consiglio dei ministri nominato da DFLC, con la supervisione dell’Unione Africana, per investigare sui crimini commessi dalle forze speciali (Rapid Support Forces – RSF).
Dopo questi sostanziali rimaneggiamenti della bozza di accordo di inizio mese, il 17 luglio la Giunta TMC e alcune parti dell’opposizione DFLC hanno raggiunto un accordo, siglato in assenza di diverse componenti di DFLC: le Forze del Consenso Nazionale (che comprendono partiti baathisti e nazionalisti arabi) il Partito Comunista e il Fronte Rivoluzionario (l’organizzazione di ribelli armati – FRS), i cui rappresentanti erano in Etiopia per discutere con rappresentanti di DFLC un programma comune per il periodo di transizione.
L’accordo è stato sottoscritto dal centrista Partito Nazionale Umma, capeggiato da Sadiq al-Mahdi, che era stato destituito dal potere con il colpo di stato del 1989 che portò al potere al-Bashir. E, pur con riserve, anche dal Partito Sudanese del Congresso, che ha chiesto un incontro di tutte le forze di DFLC.
È stato respinto da membri chiave di DFLC: la coalizione sindacale Associazione dei Professionisti Sudanesi (SPA), il Partito Comunista Sudanese, il Fronte Rivoluzionario Sudanese e Sudan Call, (un’alleanza di opposizione che comprende anche gruppi di ribelli armati in guerra civile contro lo stato).
Il Partito Comunista Sudanese – chiedendo l’unità del DFLC contro la Giunta, con o senza l’adesione del Partito Umma – ha annunciato che non parteciperà al governo di transizione, anche nel caso venga formato da altri partiti in accordo con TMC, e ha chiamato a continuare le azioni di massa fino a che la Giunta sarà costretta a accettare un governo realmente civile.
Il PCS denuncia che l’attuale accordo con il TMC manterrà «intatti gli interessi di fazioni parassite, gli organi repressivi dello stato e le milizie, RSF comprese» … «Anziché fornire il quadro per smantellare lo stato dittatoriale e lo stato profondo, lo preserva». Al Consiglio presidenziale – il cui presidente sarà un ufficiale nominato da TMC per i primi 21 mesi dei 39 mesi di transizione – verrà dato il potere di «nominare il capo della magistratura, il procuratore generale e altri alti incarichi». Questo proteggerà «TMC da qualsiasi futuro procedimento giudiziario».
Diversamente da quanto in precedenza concordato, i militari si sono riservati il ministro della Difesa e quello degli Interni, e chiedono seggi anche per i partiti che facevano parte della coalizione di governo di al-Bashir e per leader tribali.
Il PCS esige che nel periodo di transizione democratica vengano abolite tutte le leggi restrittive della libertà, vengano sciolte tutte le milizie, venga revocato l’embargo internazionale contro il Sudan per risalire dalla crisi economica che sta colpendo il paese. L’embargo è stato imposto per volere degli USA i quali, mentre definivano il Sudan “stato che sponsorizza il terrorismo”, hanno continuato a addestrare e assistere le forze di sicurezza sudanesi affinché combattessero “la guerra contro il terrorismo”.
Solo la mobilitazione e la coraggiosa lotta dei lavoratori e della popolazione sudanese può sconfiggere i calcoli della giunta militare, delle frazioni borghesi ad essa legate e delle potenze regionali e globali.
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[i] L’Associazione dei Professionisti Sudanesi (The Sudanese Professionals Association – SPA) è una associazione ombrello di 15 diversi sindacati sudanesi, create nell’ottobre 2016, anche se non registrata formalmente a causa della repressione del governo contro i sindacati. Inizialmente il gruppo rivendicava l’introduzione di un salario minimo e partecipò alle proteste contro l’aumento del costo della vita in Sudan, poi assunse un ruolo di primo piano nelle proteste del 2018–2019 contro il governo di Omar al-Bashir.
[ii] Sudan Call raggruppa 22 partiti dell’opposizione; le National Consensus Forces è una coalizione di partiti creata nel 2010, in opposizione al partito al governo NCP di Bashir. I suoi principali esponenti sono il Popular Congress Party (nato nel 1999 dalla scissione dal NCP) di Hassan al-Turabi, che fece istituire la Sharia nel Nord del paese e che è sostenuto dagli sfollati dell’Ovest che vivono nelle baraccopoli di Khartoum; il partito islamico di centro National Umma Party Sudan di Sadiq al-Mahdi, imam sufita già primo ministro nel 1966-67 e 1986-89; il Partito Comunista Sudanese di Muhammad Mukhtar Al-Khatib, fondato nel 1946, si divise durante al guerra fredda tra un’alta filo-sovietica e una più nazionalista; nel 1971 subì una a forte repressione a seguito di un tentativo di golpe in cui erano implicati ufficiali comunisti.
[iii] Il dato è quello fornito in un’intervista a Egytpt Today dal vice-presidente del Consiglio militare di transizione (TMC), Dagalo. Altri giornali parlano di 14000 soldati sudanesi.
[iv] Il 25 maggio Burhan ha incontrato in Egitto il presidente Abdel Fattah el-Sisi e il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed negli EAU, si è poi recato alla Mecca per summit di emergenza tra i leader arabi sulle crescenti tensioni nel Golfo. Il generale Mohamed Hamdan Dagalo, ha incontrato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman a Gedda il 23 maggio.
[v] L’accordo prevedeva una struttura amministrativa su tre pilastri:
il Consiglio legislativo, composto per il 67% da membri nominati dalla DFLC;
il Consiglio dei ministri nominato interamente da DFLC;
il consiglio presidenziale di 11 membri, 5 dei quali nominati da DFLC, 5 militari nominati dalla giunta, un membro civile ma con esperienza militare accettabile da entrambe le parti.