La vittoria di Trump è un’occasione per riflettere sulle prospettive di una politica rivoluzionaria in una metropoli capitalistica oggi.
Unanime è l’interpretazione che si è trattato di un VOTO ANTI-ESTABLISHMENT degli strati profondi del proletariato, in primis bianco, che negli ultimi anni ha visto peggiorare le proprie condizioni e si sente sempre più minacciato dalla globalizzazione, man mano che il lavoro USA perde la briciole (e anche bocconi) che in precedenza gli erano elargiti grazie alla posizione monopolistica delle imprese americane sul mercato mondiale. Ora queste imprese possono spostare la produzione in ogni parte del mondo e possono ridurre occupazione e salari ai lavoratori americani, non solo sfruttando lavoratori in paesi-mercati a più basso costo del lavoro, ma anche la forza lavoro immigrata negli USA.
Di qui la presa della demagogia anti-globalizzazione di Trump, per la difesa del “lavoro americano”, e anche contro i nuovi immigrati, sui lavoratori dell’industria minacciati dalla globalizzazione e i lavoratori dei servizi che sentono la pressione dei nuovi immigrati.
Per questo lo schema più volte utilizzato per spiegare l’esito delle elezioni americane: più pubblicità elettorale-più voti, in questo caso non funziona (anche se il miliardario Trump non ha lesinato spese, la Clinton ha avuto il sostegno finanziario dei maggiori gruppi USA e ha raccolto più fondi): c’è un fattore sociale di cui tenere conto, che non è il prodotto dei media, c’è un proletariato che ha perso fiducia nel sistema americano, che nei suoi strati superiori ha sostenuto Sanders che ha osato parlare di socialismo sul suolo americano, e nei suoi strati inferiori ha votato Trump.
Per non parlare dell’ennesima e clamorosa figuraccia dei sondaggisti, dopo l’altrettanto clamorosa cantonata presa con la Brexit. A meno che non si rifletta sul fatto che forse i sondaggi sono parte della propaganda elettorale, aumentano l’audience dei media e determinano le spericolate scommesse sui titoli di borsa.
Non siamo a lutto per la vittoria di questo reazionario populista grande borghese contro la reazionaria grande borghese Hillary Clinton. Cogliamo il fatto che c’è un proletariato che finalmente rigetta il sistema cui ha aderito da generazioni, che è in cerca di una nuova rappresentanza che difenda i suoi interessi materiali. Trump ne deluderà gran parte perché non farà l’America in declino più grande, né assicurerà il benessere perduto alla quota di proletariato che l’ha votato.
Anche nella metropoli americana, come in quelle europee, l’ultima crisi ha aperto ampi spazi sociali di intervento per i rivoluzionari. Si tratta di non stare in riva al fiume ad attendere che passino i cadaveri, occorre saper interpretare il malessere che i vari risultati elettorali esprime per conquistare alla rivoluzione di classe chi ha creduto nelle “rivoluzioni” dei vari demagoghi.
Il mondo è pronto, i rivoluzionari si sveglino!