(Civitella di Romagna, 1879 – Dongo, 1945), maestro elementare
Entrato in gioventù nel PSI, per la sua capacità di lavoro e le sue doti organizzative, venne incaricato di dirigere gli organi di stampa socialisti, a stretto contatto con Mussolini. Tipico esponente del massimalismo parolaio, ebbe comunque un ruolo decisivo in varie vertenze: tra queste quella dei ferrovieri del gennaio 1920, quando fece parte della delegazione dello SFI che trattò l’accordo col governo dopo il vittorioso sciopero che paralizzò le ferrovie per dieci giorni; nell’estate successiva fece parte della delegazione italiana al II Congresso IC. Da massimalista firmò il manifesto-programma della frazione comunista con Bordiga, Fortichiari, Gramsci, Misiano, Polano e Terracini, e al congresso di Livorno passò al PCdI. Nel corso dei lavori del congresso si scontrò duramente col socialista riformista Vincenzo Vacirca, che lo accusò di avere estremizzato il movimento bolognese favorendo la reazione fascista e chiamandolo “rivoluzionario del temperino”: Bombacci estrasse una rivoltella. Eletto deputato nel maggio 1921, s’allineò da subito con l’IC sulla questione del “Fronte Unico”, in disaccordo col partito; appoggiato da Smeraldo Presutti, nel 1922 scrisse ripetutamente a Zinov’ev – ed anche una lettera personale a Lenin – attaccando Bordiga e Terracini per la linea intransigente da loro sostenuta in contrasto con l’IC; al congresso di Roma (1922) si schierò con la Destra di Tasca. Nel novembre 1923 il CE del partito ne decretò l’espulsione per un discorso ambiguo tenuto in parlamento sulle due rivoluzioni, la bolscevica e la fascista. Nel gennaio 1924 guidò la delegazione italiana ai funerali di Lenin; Zinov’ev lo fece riammettere nel partito. Al ritorno lavorò all’ambasciata russa a Roma. Gramsci e Fortichiari si trovarono d’accordo nel sottolinearne l’estremismo verbale e l’irruenza, definendolo una “scimmia urlatrice”.
Dopo l’ascesa del fascismo si fece promotore di una «Terza Via», in cui il nazionalismo rivoluzionario del fascismo avrebbe potuto incontrarsi con il comunismo «russo». Questa proposta determinò la sua espulsione definitiva dal partito nel 1927. Riuscì tuttavia a mantenere contatti con i dirigenti politici russi favorevoli a un’intesa diplomatica con l’Italia. Progressivamente Bombacci s’avvicinò al fascismo. Nell’aprile del 1936, con l’assenso di Mussolini, fondò «La Verità», giornale attorno a cui radunò molti ex sovversivi, finanziato del Ministero della cultura popolare: tentativo di conciliare socialismo, nazionalismo, corporativismo autarchico, che gli scatenò contro l’odio dell’ala più conservatrice del fascismo. Nell’ottobre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana, contribuendo alla stesura dei «18 punti» del Congresso del Partito Fascista Repubblicano (Verona, 14-16 novembre 1943), alla base della nuova Costituzione dello Stato Sociale Repubblicano. Catturato e fucilato dai partigiani assieme ad altri fascisti a Dongo, venne appeso a Piazzale Loreto a Milano come “supertraditore”.