(Venezia, 1866 – Chicago, 1950), muratore, contabile, pubblicista, sindacalista
Socialista e organizzatore infaticabile, venne inseguito dalle Regie Prefetture per mezzo mondo, schedato come “anarchico pericoloso incorreggibile”, definito “curioso tipo di riformista” da Giacinto Menotti Serrati. La sua posizione è collocabile tra “riformismo operaio” e “socialismo intransigente. “Il “riformismo operaio” della lotta di classe, di cui Buttis è stato una nobile espressione, non esiste più, ma la presa del riformismo borghese sul movimento sindacale è ancora uno dei principali ostacoli alla conquista del movimento operaio alle posizioni rivoluzionarie”.
Cresciuto in miseria in una famiglia con nove figli di cui sei morti nell’infanzia, già orfano di padre si fermò alla licenza di terza elementare e ad undici anni lavorò come “commesso di stoviglie e merci”. Lettore autodidatta, rimase colpito dalle feroci repressioni delle Guardie Regie nei confronti delle manifestazioni di operai e contadini. “Non avevo ancora letto Carlo Marx, ma compresi facilmente fino da allora che la popolazione era composta da due classi opposte l’una contro l’altra”. Convinzione che si rafforzò nel corso del servizio militare a Lecce, dove assistette alle bestiali condizioni di lavoro dei contadini. Tornato a Venezia lavorò come “manovale facoltativo” presso la Società Ferrovie Adriatiche. Aderì alla Lega per l’emancipazione dei lavoratori, fondata dal monselicese Carlo Monticelli e legata al PSRR di Andrea Costa. Licenziato dopo aver denunciato la responsabilità di un ufficiale per la morte di un soldato nel corso del richiamo a militare, s’impegnò nei comizi elettorali per l’elezione dell’ex comunardo Cipriani. Processato per vilipendio dell’Esercito, condannato nuovamente, espatriò in Ticino, dove venne arrestato con l’anarchico spezzino Pasquale Binazzi ed estradato in Italia. Gli ultimi anni del secolo li trascorse tra domicilio coatto (Porto Ercole), carcere (Piacenza), confino (Tremiti, Ventotene, Pantelleria). Su queste esperienze scrisse l’opuscolo Carceri e domicilio coatto. Quindi una serie di trasferimenti con altrettanti incarichi da organizzatore: Svizzera tedesca, Germania, Friuli, di nuovo Germania. Dall’agosto 1901 divenne segretario della Camera del Lavoro di Varzo-Iselle, che organizzava i lavoratori impegnati nella costruzione della galleria del Sempione. Buttis condusse una intensa attività su due fronti, quello salariale e quello delle condizioni di vita e di lavoro; tra esplosioni, asfissia, frane, le morti e gli infortuni in galleria si susseguivano, mentre la situazione degli alloggi operai era disastrosa. L
e sue battaglie e denunce gli comportarono processi, condanne, detenzione. Si rifiutò di redigere la domanda di grazie, dopo 34 mesi di carcere venne rimesso in libertà grazie alla sottoscrizione firmata dagli scalpellini del Sempione e da quelli di Barre (Vermont, USA), che annullò il resto della pena.
Terminati i lavori per il tunnel, dal versante italiano del Sempione passò ad Intra, dove organizza gli scioperi dei tessitori; oltre cinquanta giorni di lotta contro i baroni dei cotonifici, con scontri e feriti nelle strade. Lo sciopero si concluse con un arbitrato, e per Buttis, che denunciò le disumane condizioni delle ragazze spedite dal Sud e di fatto “recluse” nel convitto delle monache, arrivarono altri processi e condanne. Nel 1908 riparò in Ticino, dove avvenne l’incontro tra due esuli, due straordinari “apostoli della lotta di classe”: il Buttis e Ines Oddone, magnifica figura di combattente, maestra elementare, inseguita da mandato di cattura per vilipendio delle forze armate ed incitamento al regicidio. Emigrò in Germania e nel 1911 in Brasile, dove diresse i giornali degli immigrati socialisti. Nel 1915 si imbarcò per gli Stati Uniti, dove diresse vari giornali socialisti ritrovando in incontri commoventi gli operai che lavoravano al Sempione, poi immigrati negli Stati Uniti. La sua parola raggiunse i proletari immigrati in Connecticut, Vermont, Washington, New Jersey. In questo periodo prese posizione sulla Rivoluzione bolscevica scrivendo che “Carlo Marx dimostrò a suo tempo l’impossibilità di mantenere sulla base socialista una sola nazione immersa in un mondo capitalista”, ma al tempo stesso accusando i bolscevichi di aver diviso il proletariato internazionale. In Pennsylvania fu attivo tra i minatori non mancando d’intervenire nella campagna pro Sacco e Vanzetti. Quando la degenerazione stalinista prese il sopravvento nel movimento comunista statunitense, le sue critiche ai seguaci di Browder si fecero ancora più sferzanti. Rispetto all’Italia giustificò la tattica controrivoluzionaria del PSI, giudicando non vi fossero le condizioni per un’insurrezione.
Prese posizioni coraggiose, in almeno due comizi fu al fianco della “Madre dei Minatori”, Mother Jones, che “non fu socialista, ma per le battaglie degli sfruttati contro gli sfruttatori fu una leonessa”; negli anni della guerra si recò a Barre (Vermont) nonostante il veto del partito, dov’era in corso una disputa tra immigrati italiani e prese le difese dello scalpellino Natale Cardini (i due si erano già conosciuti al Sempione), avvicinatosi agli IWW, che aveva accusato la sezione socialista di “crumiraggio”. Nel corso degli anni ’20 Buttis rimase attivo nella Federazione Socialista, che sta subendo in tutto il Paese un lento declino. Agli inizi degli anni ‘30 successe a Camboni nella direzione di Chicago della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo.
Vittorio Buttis morì a Chicago nel 1950. Per sua espressa volontà venne cremato e le sue ceneri vennero disperse per metà nel lago Michigan. L’altra metà attraversò l’oceano e dopo un viaggio avventuroso raggiunse il Sempione e venne dispersa sotto la grande lapide con incisi i nomi dei 58 caduti per la costruzione della galleria.
FONTI: V. Buttis, Memorie di vita e di tempeste sociali, a cura di C. Bermani, Ediesse 2006, edizione originale nel 1940 a Chicago; Un organizzatore esemplare, «Pagine Marxiste», aprile 2016; «La Giustizia», agosto 1952