(Anzola dell’Emilia, 1893 – Buchenwald, 1944), seminarista, avventizio, commesso, impiegato, organizzatore sindacale
Il padre era bracciante, la madre, massaia, accudì undici figli, cui impartì un’educazione rigidamente religiosa. Quando Romano era ancora bambino i Cocchi si trasferirono a San Giovanni in Persiceto; la vivace intelligenza di Romano non sfuggì al Parroco di Castagnolo, che lo introdusse in Seminario a Bologna, mentre l’arciprete di Persiceto lo spinse a conseguire il diploma di Ginnasio. Abbandonò il Seminario a causa di un innamoramento e svolse vari impieghi: avventizio nelle Ferrovie, commesso alla fabbrica di liquori Buton, impiegato al «Resto del Carlino». Attivo in un gruppo cattolico cesenate che faceva riferimento a «L’Azione», lo abbandonò nel 1914 a causa delle prese di posizione interventiste: il Cocchi al contrario, era un antimilitarista convinto. Con l’incontro col deputato del PPI Guido Miglioli, Cocchi assunse l’incarico di segretario del deputato cattolico trasferendosi a Soresina. Dopo aver subito una bastonatura, si spostò a Bergamo.
Cocchi arrivò in una Bergamo dove lo sfruttamento nelle fabbriche e nelle campagne era al massimo, dove i bimbi lavoravano fino a 12 ore in filanda, dove la paga era due lire al giorno per gli uomini e la metà per le donne. Il Cocchi divenne per tutti “il Cochi” e organizzò senza sosta contadini, tessili, muratori, fornaciai, cartai, scalpellini, cerai, bottonieri, minatori, ferrovieri, barcaioli di Tavernola, cavatori e… i sacristi. La vertenza dei tessili bloccò la Honegger di Albino, la Beltracchini di Gazzaniga, il linificio di Villa d’Almè, la Legler di Ponte San Pietro, la Crespi. A Roma venne siglato l’accordo, 33% di aumenti e pagamento delle giornate di sciopero, il più grande sciopero di sempre diretto dai cattolici.
Si chiamava Romano Cocchi il giovane attivista che, negli anni Venti alle industrie tessili “Bellora” e “Dell’Acqua”, insegnava agli operai a lottare per una maggiore dignità personale, per la loro emancipazione sociale e politica. Mia madre era una di quelle operaie e imparò da lui a non avere paura, a non avere paura di reagire allo sfruttamento padronale e a non temere l’opinione comune che del padrone la voleva succube e sottomessa. (Testimonianza di un’operaia delle filande di Leffe)
Nasce un mito e circolano leggende. Si narra che in una filanda fuori città dove si trova a dirigere uno sciopero giungano le guardie regie per arrestarlo. Allora gli operai lo chiudono in una cassa, inchiodano il coperchio, e fanno uscire la cassa … con lui dentro.
Una delle canzoni cantate dalle operaie bergamasche recitava così:
Bassate la superbia carabinier reali/Altrimenti noi cocchiani alzeremo ancora le mani/Va là va là va là la camorra la finirà/Se non ci conoscete guardateci negli occhi/Noi siamo le ardite, ma di Romano Cocchi/Bim bim bom ed al rombo del cannon/La nostra società l’è una delle più forti/Chi tocca una cocchiana è in pericolo di morte/Bim bim bom ed al rombo del cannon/Se non benediranno nostra bandiera bianca/Col sudor di noi cocchiane ma la faremo santa/Bim bim bom ed al rombo del cannon.
L’azione radicale portata avanti da Cocchi creò ben presto grandi contraddizioni. Cocchi era un estremista, ma un estremista bianco, del PPI, il partito cattolico radicatissimo a Bergamo, il partito della pace sociale, e le contraddizioni non tardarono ad emergere. La base cattolica bergamasca era spaccata, tra parroci in linea con le gerarchie che dal pulpito arrivarono a dire che gli aumenti salariali ottenuti grazie al Cocchi erano “soldi del diavolo” e i poveri, tutti col Cochi. Il Vescovo Luigi Maria Marelli lo fece espellere dal sindacato bianco, la Confederazione Italiana dei Lavoratori. Il Cochi rispose fondando a Bergamo un sindacato dissidente, l’Unione del Lavoro, ed il giornale «Bandiera Bianca».
Espulso dal PPI (tra coloro che premettero per il provvedimento di espulsione vi erano Giovanni Gronchi e Benedetto XV), Cocchi fondò il Partito Cristiano del Lavoro, che si presentò alle elezioni politiche del 1921 non ottenendo alcun seggio, ma ben ottomila voti a Bergamo città.
Nel 1922 improvvisamente il Cochi sparì da Bergamo.
“Scomparve all’improvviso, si disse che i fascisti lo avessero ucciso e deportato, ma il suo insegnamento rimase in quelle valli dove era tanto difficile reagire alle ingiustizie. E mia madre insegnò a me il valore delle lotte operaie che aveva appreso da lui. Imparai a non temere le ribellioni e la sommossa, gli scioperi e l’arroganza dei padroni. Appresi il valore delle azioni sindacali e dell’unità e della coesione dei lavoratori”. (Testimonianza di un’operaia delle filande di Leffe)
Due anni dopo ricomparve a Milano: militante del PCdI, vi era confluito coi “terzini”. Dopo aver diretto il giornale dei contadini «Il Seme», divenne segretario personale di Gramsci, e redattore de «L’Unità». Arrestato nella retata del 1925, nel processone del 1927 il Tribunale Speciale lo condannò a 12 anni di reclusione per propaganda sovversiva tendente all’insurrezione e incitamento all’odio di classe”. Liberato, riparò e ripara in Francia, poi in Belgio e Svizzera, dove diresse il Soccorso Rosso e fu redattore di «Falce e Martello», giornale allineato con la linea politica stalinista. Fu il principale inquisitore nelle espulsioni dei dissidenti (i “tre” Tresso, Ravazzoli, Leonetti, oltre a Teresa Recchia e Bavassano). Membro dell’ufficio politico del partito comunista svizzero, Cocchi venne scoperto ed arrestato a Lugano il 23 febbraio 1933; scattò il provvedimento di espulsione. Costretto anche a lasciare la Svizzera, Cocchi ritornò in Francia, poi a Londra (dove incontrò Luigi Sturzo) e Spagna (1937).
Nel 1939 Cocchi si schierò contro il patto Ribbentrop-Molotov e venne espulso dal PCI, denigrato, emarginato, rimosso. Nella migliore tradizione criminale stalinista.
Rimasto in Francia, combatté nel Maquis, contro nazisti e collaborazionisti. Catturato il 27 dicembre 1943 e deportato nel lager di Buchenwald, vi morì il 28 marzo 1944.
FONTI: P. Balbarini, «Il Borgorotondo», marzo 2012: «Eco di Bergamo», 8 marzo 2012; G. Valoti, Il ribelle bianco. Romano Cocchi e le agitazioni dei lavoratori nel Bergamasco (1919-1922), Quaderni dell’Archivio della cultura di base 37/38, 2008