COLOMBO, Emilio Tranquillo “Oreste Filopanti”

(Milano, 1886 – Como, 1966), sottocapostazione

 

Il padre Napoleone era un radicale borghese maestro venerabile di una loggia massonica e fece fare al figlio neonato il battesimo massone, con tanto di spade sguainate e vino al posto dell’acqua.
Quando il padre morì il quindicenne Colombo cercò lavoro. “Potei impiegarmi presso la ditta Innocenti e Mangili di proprietà del commendator Cesare Mangili. A Milano c’è una strada intitolata a questo esimio ladro. Lì andavo allo scalo merci per preparare le lettere di vettura, dichiarare la qualità della merce che si spediva e venivo a contatto con le manovalanze, con questi facchini. E da lì ho cominciato. Ci fu uno sciopero dei carrettieri e dei fattorini. La ditta aveva detto che alcuni fattorini avrebbero potuto svolgere un’attività, se non di carrettiere, di guida dei cavalli. Io ero tra i prescelti ma mi sono rifiutato perché già la pensavo diversamente. E questo mascalzone colse l’occasione per farmi una scenata e darmi del teppista. Ero lì alla mia scrivania. Sai che i contabili hanno quei righelli quadrati. Siccome mi ha dato del teppista, io l’ho colpito violento sulla faccia con quel righello lì e gli ho lasciato il segno. Mi ha licenziato in tronco”.
Dopo un impiego come mugnaio a Genova, s’imbarcò per Il Cairo, dove commerciò cotone. Rientrato in Italia venne assunto dalle Ferrovie come sottocapomovimento (33^ categoria). “A Milano vidi che c’era un concorso alle Ferrovie dello Stato, feci la domanda, al concorso riuscii quinto e fui assunto. A quell’epoca avevo già delle idee politiche ben precise. Da ragazzo avevo già cominciato a leggere quello che era rimasto della biblioteca di mio padre. Il libro che mi ha colpito di più credo sia stato Le memorie convenzionali di Max Nordau, che mi ha dato una spinta. Poi leggevo Arturo Labriola e «La folla». Tra le altre mie letture ricordo La conquista del pane di Kropotkin, L’unico di Max Stirner, Il manifesto del Partito comunista e Critica dell’economia politica di Carlo Marx [..] è la vita che mi ha aperto gli occhi: lo sfruttamento lo subivo anch’io come lo subivano gli altri. E ho preso parte a tutte le lotte”.
Dalla convivenza con la camiciaia Adele ebbe tre figli: Raul, 1913; Eva, 1916; Luciano Napoleone, 1918. Subì almeno sette trasferimenti punitivi. La sera dell’11 marzo 1913 fu uno dei relatori alla Casa del Ferroviere in San Gregorio a Milano assieme a Signorini, Ciardi e Zocchi dell’USI. Poi anch’esso aderì all’USI ed entrò nel CC. Convinto soreliano, si batté per applicare la tattica dei sabotaggi e per lo sciopero generale. Dirà di Corridoni: “il suo contegno non mi pareva appropriato ad un capo rivoluzionario. Era quello di un piccolo borghese. Infatti mi pare fosse un disegnatore tecnico o geometra. Come si costumava a quel tempo, sfoggiava delle grandi cravatte alla Lavallière e dei cappelli a larghe tese, non diversamente da Enrico Ferri e forse anche da Filippo Turati. Corridoni si interessava dei metallurgici e dei muratori ma non mostrava interesse alcuno per la categoria dei ferrovieri e sin da allora dimostrava una certe tendenza per quello che poi sarebbe diventato il corporativismo fascista”. Colombo ruppe con l’USI quando la maggioranza dei sindacalisti rivoluzionari divenne interventista. Dopo alcuni trasferimenti (Chiasso, Pavia) arrivò a Viadana Bresciana, sulla linea Brescia-Parma rinforzata per il trasporto munizioni e dei feriti.

Una sera si vide arrivare in stazione uno zoccolaro, uno di quelli che fabbricava e vendeva zoccoli di legno di salice agli schiavandari, ovvero braccianti e mungitori, che gli descrisse la brutale situazione di quei lavoratori e le loro condizioni miserrime peggiorate dalla guerra, e gli chiese di organizzare una lotta. Dopo una settimana le mucche avevano le mammelle gonfie e non si trovava nessuno disposto a mungerle.
“Assolutamente non si doveva cedere alla compassione, applicando i principi d’azione che Sorel aveva diffuso con i suoi scritti sulla violenza. Il mungitore si affeziona alla mucca e allora io dicevo: Lasciatele gemere. Vedrete che il padrone molla. Voi perdete solo un animale a cui siete affezionati ma lui perde un capitale”. La lotta ebbe successo, e Colombo venne trasferito a Greco Milanese.
Nel 1919 i ferrovieri bloccarono in varie stazioni i treni che si sospettava trasportassero armi dirette in Russia contro i bolscevichi. Il 19 e 20 luglio venne dichiarato uno sciopero generale internazionale a difesa dei Soviet. Una sera il treno più importante, l’Orient Express diretto a Parigi, ad Arona  si trovò davanti un segnale d’arresto posizionato tra le rotaie. Un uomo sbucò dal nulla e comincia un comizio pro-Russia rivoluzionaria. Accorsero in stazione i carabinieri, accerchiarono il treno cercando l’uomo. Ma lui era saltato sul tender della locomotiva, dove il macchinista gli aveva infilato sulla testa un berretto da fuochista e annerito la faccia col carbone. I carabinieri lo scambiarono per il fuochista e andarono oltre. Quell’uomo era Colombo.

Nel grande sciopero del gennaio-febbraio 1920, raggiunta nel frattempo la qualifica di capostazione, era a Domodossola e riuscì a far infilare del lassativo nel cibo destinato ai krumiri.

Trasferito a Cuzzago, il 1° maggio 1921 picchiò un manovale fascista che non voleva scioperare, e venne arrestato. Negli scioperi successivi affrontò i macchinisti krumiri con la pistola in pugno. Nel 1923, quando finì tra i licenziati politici, aveva già abbandonato il sindacalismo rivoluzionario e si era iscritto al Partito comunista. Fece vari lavori precari e si spostò a Cossato, Milano, Firenze; la compagna lo abbandonò lasciandolo solo coi figli.

Quando cadde il fascismo ritornò a Milano e prese contatto col settore Sempione del PCI e partecipò alla formazione dei GAP.

Si fece chiamare «Oreste Filopanti»: per ricordare la Repubblica Romana e Quirico Filopanti (vero nome Giuseppe Barilli, il garibaldino e massone che stese il decreto di proclamazione della Repubblica Romana il 9 febbraio 1849), perché «Filopanti» significa «amico di tutti»; e «Oreste» perché vendicatore.

Tornato in Ossola, partecipò all’insurrezione di Villadossola nel novembre 1943, poi fece la spola tra Milano e l’Ossola reclutando partigiani. Con la presa di Domodossola (settembre-ottobre ’44) e la nascita della Repubblica Colombo divenne membro della giunta di governo come Commissario per la polizia e la giustizia. Scrive Giorgio Bocca: “il commissario alla polizia è il comunista Colombo, nome di battaglia Filopanti, che significa amico di tutti. Però non si direbbe, specie quando siede da solo, in un angolo al ristorante del Terminus e si fa portare i prigionieri per giudicarli sbrigativamente. Gli amici di Filopanti dicono che recita la parte del duro per mettersi in luce agli occhi del partito, dicono che in realtà è una pasta d’uomo. Stando alle circolari che portano la sua firma si direbbe che è uno che non scherza”.

Con la caduta della Repubblica dell’Ossola Colombo riparò in Svizzera. Dopo la Liberazione assunse l’incarico di presidente della Commissione di Epurazione Provinciale di Novara. Ormai organico nel PCI, era pervaso di settarismo, il che lo portò a formulare giudizi sbagliati ed avventati, come sul comandante del Valdossola Dionigi Superti, da lui definito erroneamente “attendista”, e sul macchinista anarchico Augusto Castrucci, da lui definito erroneamente uno che “ha ceduto”. Nonostante l’appartenenza al partitone, Colombo riusciva ancora qualche volta a tirar fuori qualcosa del passato. “Nelle riunioni di Partito, quando qualcuno faceva dei discorsi trionfalistici, esclamava: «Pangloss! Pangloss!», suscitando imbarazzo tra i compagni che non avevano letto Candido di Voltaire non sapevano che il dottor Pangloss era l’incarnazione della massima di Leibniz: «Tutto è per il meglio nel migliore dei mondi possibili», non sapendo chi fosse sto Pangloss non erano in grado di percepire l’ironia sferzante di Filopanti”. Funzionario di partito a Novara, nel 1946 vi fondò una Lega per la Difesa della Repubblica con gli altri partiti di sinistra.

Ma l’iniziativa più incisiva fu quella della difesa dei braccianti.

Nella Bassa Novarese i grandi scioperi di braccianti e salariati finivano con retate da parte del questore Cassarà; i lavoratori in sciopero venivano arrestati con accuse di violazione di domicilio e violenza privata nei confronti dei crumiri. Disse l’avvocato Sandro Bermani: “si era creato alla Camera del Lavoro un Comitato Provinciale di Solidarietà Popolare, che era diretto da Filopanti. Ogni tanto andavo là, si dovevano raccogliere anche i soldi per aiutare le famiglie degli arrestati. E quando io andavo là da Filopanti annunciando che bisognava aiutare qualcuno perché in qualche paese erano state arrestate tante persone, allora lui si metteva le mani in quei pochi capelli che aveva, e poi apriva un cassetto, estraeva una rivoltella a tamburo e gridava: “Adesso vado dal procuratore e l’ammazzo!”. Io gli dicevo che tutto questo non serviva a niente, ma lui aveva spesso di questi scatti”.

Nel XX Congresso del 1956, quando il PCI era in difficoltà per il rapporto sui crimini staliniani, Colombo fu l’unico a citare Stalin nel suo intervento. Sei anni dopo guardò con simpatia le correnti filo-cinesi. Quando dei giovani anarchici rapirono il console spagnolo a Milano per salvare la vita di un loro compagno, dichiarò: “Vedi, noi comunisti diciamo che gli attentati individuali non servono. Invece non è vero, è una bagola”.

Sempre più malato e senza forze, Colombo passò gli ultimi anni in un ricovero a Como.

 

FONTI: C. Bermani (a cura di), Emilio Colombo “Oreste” “Filopanti”: socialista soreliano, sindacalista anarchico, comunista, partigiano, Odradek, 2010

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