MACCHI, Eugenio

(Varese, 1890  – Atlántida, 1970), aiuto cuoco, manovale, meccanico

 

Anarchico individualista, figlio di una bidella e di un “facchino dedito all’ubriachezza”, a 12 anni emigrò in Svizzera per lavoro, successivamente si stabilì a Gallarate, dove cercò di formare un gruppo anarchico. Sorvegliatissimo, aiutante di cucina in un albergo milanese (che lo licenziò per le sue idee), arrestato a Gallarate nel 1909 per propaganda anarchica durante una protesta contro l’assassinio di Ferrer, due volte disertore, riparò in Svizzera, dove venne arrestato nel 1919 per le “bombe di Zurigo”; centoventi gli arrestati, quasi tutti anarchici e disertori italiani, poi prosciolti. Macchi ritornò in Italia stabilendosi a Cedrate. Fece parte con Giuseppe Boldrini e Pietro Canavesi della squadra che nel novembre 1920, durante l’occupazione delle fabbriche, partì in camion da Gallarate diretta ad un deposito clandestino di esplosivi sul Pasubio per prelevare dinamite destinata agli operai occupanti. Al ritorno il camion si ribaltò e prese fuoco, morì un giovane socialista (mai identificato) mentre Boldrini rimase gravemente ustionato. Proprietario con Carlo Restelli e Antonio Pietropaolo dell’officina di via Casale 8 a Milano, luogo di raduno degli anarchici, nel 1921 Macchi fu responsabile del giornale «L’Individualista» e gerente dei due ultimi numeri di «Umanità nova» (23 e 24 marzo). Arrestato il 31 marzo a Cedrate nella retata seguita alla strage del Diana, processato, fu condannato innocente ad 11 anni, sei mesi e 10 giorni per associazione sovversiva e possesso di bombe. Scontata la pena nelle case penali di Favignana e Turi, venne liberato per amnistia all’inizio del 1930.

Nel giugno 1930 inviò una supplica al duce chiedendo un lavoro e di potersi vedere con la donna che stava frequentando, Maria Garbarino. “La vostra bontà non ha confini, è la cosa più santa che ho trovata sulla terra e non credo che vorrete trascurare un’occasione per poter esercitare un’opera benevola a’ miei riguardi. Due cose sole son necessarie per poter svolgere il modesto programma di mia vita: “lavoro e tranquillità”. Il primo per il pane quotidiano, l’altra per poter proseguire nel cammino di mia vita su di una linea retta che mi conduca alla riabilitazione”.

Un mese dopo tentò un espatrio clandestino a Saltrio assieme a Mario Avellini, Ettore Olgiati e la Garbarino; ne nacque una sparatoria in cui rimase ucciso un finanziere. Macchi fu l’unico che riuscì a passare in Svizzera e poi in Francia.

Nel frattempo aveva maturato propositi di vendetta verso chi riteneva non l’avesse supportato: la moglie Rosa Binda e Carlo Restelli. La Binda venne avvicinata minacciosamente da Angelo Damonti, mentre Restelli venne infangato nel settembre del 1930 sul giornale anarchico di New York «L’Adunata dei Refrattari» da Kemirruschi (anagramma di Michele Schirru), accusato da Schirru stesso, su informazione di Macchi, di essere spia e confidente della polizia e dei fascisti. In realtà le spie erano altre (una su tutte Adele Bernazzoli, la compagna di Damonti); mentre il Macchi stesso, che non aveva esitato ad attaccare Restelli, era colui che aveva elogiato in gran segreto dai suoi compagni il duce nella sua supplica. Sulle accuse di spionaggio scatenò una feroce polemica che investì molti militanti, soprattutto in Svizzera, intorpidendo l’ambiente.

In Francia a Cherburg Macchi salpò per Montevideo. Nel 1939 la Garbarino, grazie ad un “atto di chiamata” del fratello Giuseppe, espatriò regolarmente in Paraguay, ad Asunción. Qui attese invano il Macchi, che le aveva promesso di raggiungerla per sposarla, scoprendo anzi che era “già sposato da parecchio tempo” in Uruguay: ruppe ogni rapporto con lui e partì per l’Argentina. Macchi dal Sud America polemizzò a lungo, sulle colonne de «L’Adunata dei refrattari» con anarchici organizzatori (Fabbri) sulla condotta tenuta dagli anarchici dopo la strage del Diana. Secondo il Ministero dell’Interno, nel 1939 Macchi viveva a Montevideo sotto il nome di Antonio Astaldi, lo stesso nome poi inciso sulla sua tomba nel cimitero di Pando.

 

FONTI: Infinita tristezza. Vita e morte di uno scalpellino anarchico, PM; ASVa

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