REPOSSI, Luigi “Gin de Porta Cica”

(Milano, 1887 – 1957), operaio

 

Cresciuto in una “miseria nera”, la sua e quella del quartiere in cui viveva, Porta Ticinese, in via Scaldasole, si affacciò precocemente “per istinto alla vita politica”. Partecipò ai moti del 1898, repressi dalle cannonate di Bava Beccaris, che lasciarono il segno nella sua futura formazione politica. Operaio tornitore, si gettò nell’impegno per l’emancipazione proletaria con abnegazione e non risparmiandosi, nonostante il fisico minato dalla TBC; nei comizi, nelle discussioni con gli operai interveniva con schiettezza ed efficacia, in stretto dialetto milanese.
Nominato membro del direttivo del PSI milanese, Repossi si trovò accanto Fortichiari, con cui condivise un lungo percorso nel solco della sinistra. Il congresso di Ancona del 1914 fu l’occasione per i due di conoscere da vicino il giovane socialista napoletano Amadeo Bordiga. “Il leone della tribuna, con noi, al tavolo di caffè, si trasformò in un cordiale, allegro, esuberante compagno. Il duetto del napoletano col meneghino di Repossi fu spassoso. Il nostro Gin de Porta Cica (Luigino di Porta Ticinese) conquistò per sempre il sensibile – sotto scorza ruvida – Amadeo”.

Allo scoppio della prima guerra imperialista Repossi fu tra i più attivi nel fronteggiare gli interventisti; dopo gli scontri con questi ultimi nel maggio 1915, denunciò con vigore la politica ambigua e rinunciataria del PSI.
Dirigente della FIOM milanese, Repossi agì stretto come in una morsa, da un lato i riformisti, sempre pronti a spegnere i fuochi della lotta di classe e naturalmente inclini al tradimento, come dimostrarono nel 1920 con l’occupazione delle fabbriche, dall’altro gli anarchici, di cui a Milano prevale la tendenza individualista, con alcuni di essi che non disdegnavano la via degli attentati dinamitardi e la combattiva USI. Nel 1920, quando esplose il movimento dell’occupazione delle fabbriche ed i picchetti di operai armati presidiavano gli stabilimenti, Fortichiari, che si trovava in sanatorio in Valtellina, rientrò a Milano trovando un Repossi infaticabile (lo descriverà capace di manovrare macchine ed affrontare la forza pubblica, di confondere bellimbusti della Federazione Industriale e di marciare con la «banda del Tron de Dio» di Porta Cica fingendo di suonare la tromba); ma il movimento era “senza testa”, diversamente che in Russia i rivoluzionari non riuscirono a prendere il sopravvento sui riformisti nella direzione delle masse.
Nel gennaio 1921, al congresso socialista di Livorno, Repossi fu tra gli artefici della scissione, entrando nel CE (di cui fu responsabile del lavoro sindacale) del nuovo PCdI assieme a Bordiga, Greco, Terracini e Fortichiari. Eletto deputato, poi confermato, nel 1924 firmò, assieme a Bordiga, Greco e Fortichiari, le tesi della Sinistra da presentare alla conferenza clandestina che si tenne alla capanna Mara, sulle montagne del Comasco, il 18 maggio. Nello schema di tesi della sinistra veniva analizzata la situazione italiana, dall’affermazione del fascismo alla nascita del Partito, ribadendo la necessità dell’indipendenza politica e di un’azione autonoma di autodifesa proletaria, opponendosi all’equivoca politica dell’IC favorevole al fronte unico con i massimalisti, ribadendo la necessità di escludere i “terzini” dagli organi direttivi del Partito e di lottare contro il fascismo con tutti i mezzi possibili, evitando alleanze ed intese con i partiti borghesi e socialdemocratici. La sinistra, già estromessa dal CC in quanto in disaccordo con Mosca, uscì vincente dalle votazioni della conferenza, ma l’azione del centro di Gramsci e Togliatti contro i rivoluzionari da quel momento si inasprì. Dopo l’assassinio di Matteotti, mentre gli altri partiti attuano l’inconcludente tattica dell’Aventino (con l’ambigua posizione di mano tesa del centro del PCdI), Repossi venne inviato il 12 novembre dal Partito a fronteggiare i fascisti alla Camera, solo contro deputati fascisti armati che lo circondarono, lo insultarono, lo strattonarono, lo minacciarono mentre leggeva un coraggioso discorso di accusa al fascismo.
Nell’aprile 1925 a Milano Repossi promosse il Comitato d’Intesa della sinistra con Damen, Fortichiari, Girone, Gullo, Carlo Venegoni, Perrone, Manfredi (Ramazzotti), Lanfranchi, Francesca Grossi; l’8 giugno vi aderì anche Bordiga. Il tentativo era quello di creare un argine alla degenerazione del Partito. La Centrale rispose accusando la sinistra di frazionismo, applicando misure disciplinari alle federazioni che si non si allineavano e minacciando i sinistri di espulsione. A tutto ciò Repossi replicò con una lettera sdegnata a Zinoviev. “Il 20 gennaio 1924 [..] Manifestavo il desiderio di non essere ripresentato candidato motivando appunto il mio rifiuto sul fatto che sentivo non essermi possibile ubbidire ad una disciplina che mi portava a compiere atti d’opportunismo di pessima lega e aggiungevo: io sono operaio, la mia cultura è limitata, ma parmi di intravedere che l’Internazionale va troppo a destra; non quindi da ora data il mio dissenso con voi [..] Il partito non è altro che un forte gruppo di operai chiedenti una linea precisa d’azione a cui non si dice mai, diretto da una caterva di funzionari preoccupati di ubbidire ai superiori per paura di cadere in disgrazia, non più azioni d’insieme non cervelli pensanti, non passione, non linea, nulla di tutto ciò ma burocrazia e spionaggio fra i compagni e disistima, insinuazioni, ecco cos’è il partito italiano”.
Dopo lo scioglimento del Comitato d’Intesa Repossi venne arrestato, detenuto a San Vittore ed inviato al confino, dove nel 1929 lo raggiunse il provvedimento disciplinare di espulsione dal Partito, ormai saldamente in mano al centro di Gramsci e Togliatti che tre anni prima aveva prevalso al congresso di Lione. La sinistra del Partito è liquidata.

Controllato dagli stalinisti e dai fascisti, riuscì a mantenere i contatti coi “sinistri” (Mario Lanfranchi, Giusto Della Lucia, Francesca Grossi); il gruppo, che si riuniva a Milano, diffuse documenti firmati inizialmente «Gruppo Comunista» e poi Sinistra Comunista»
Durante la seconda guerra mondiale l’influenza di Repossi, Fortichiari e Lanfranchi si fece sentire sul giornale «Il Lavoratore» dei fratelli Venegoni, diffuso nell’Alto Milanese, critico verso la politica del PCI staliniano dopo la svolta di Salerno. Il gruppo legato al giornale, attivissimo nella lotta partigiana, come noto venne riassorbito dal PCI, che successivamente creò le condizioni per isolare Mauro Venegoni  , fermo su posizioni di sinistra inconciliabili con quelle del PCI, permettendone in tal modo l’arresto, la tortura e l’uccisione da parte dei fascisti.
Per capire cosa era stato seminato in vent’anni di attacchi e calunnie del centro staliniano contro la sinistra comunista, basti dire che quando Fortichiari e Repossi si misero “a disposizione anche per andare eventualmente in montagna”, i dirigenti del PCI risposero loro che non era consigliabile perché “i compagni che sono sulle montagne vi considerano dei traditori. Quando si parla di Bordiga, di Fortichiari e di Repossi rispondono che sono gente da fucilare”. Difficile pensare ad uno scrupolo nei loro riguardi (negli stessi mesi gli stalinisti non esitano ad eliminare i due “sinistri” Temistocle Vaccarella e Fausto Atti), quanto piuttosto alla preoccupazione di evitarne l’influenza sulle bande partigiane.
Finita la guerra, Repossi e Fortichiari chiesero ripetutamente di essere ammessi nel PCI reputando di potervi svolgere un lavoro rivoluzionario; le loro richieste vennero ripetutamente esaminate e rinviate; nel frattempo Repossi viene avvicinato da Lelio Basso, socialista, già fondatore del Movimento di Unità Proletaria, che lo convinse ad aderire al PSIUP. Forse Fortichiari, che ha resistito alle pressioni di Basso ed a breve verrà riammesso nel PCI, non se l’aspettava. A partire da questo momento l’attività di Repossi entrò un poco nell’ombra; gli articoli pubblicati con la sua firma ebbero un taglio prettamente sindacale; collaborò con «Nuova Repubblica», giornale di Unità popolare (UP), movimento politico nato nell’aprile 1953 dall’unione del Movimento di autonomia socialista di Tristano Codignola e del gruppo di Rinascita repubblicana di Ferruccio Parri.

I suoi ultimi anni di vita Repossi li trascorse nell’indigenza. Morì, malato, all’Istituto Palazzolo di Milano.

“Uomo d’azione, convinto che il proletariato aveva grandi possibilità d’imporsi, egli voleva essere presente. Ostile per natura al frigido burocratismo che s’è imposto al vertice dei partiti, egli si trovava disorientato e ne pativa. La prima paralisi l’ha colto nel momento forse più triste della sua esistenza. La sua fibra aveva esaurito tutte le risorse. Un bravo, un generoso rivoluzionario chiudeva in dignitosa povertà una vita di sacrifici durante la quale tutto il meglio di sé aveva donato per la causa della sua classe”.

L’ultimo saluto a Luigino lo portarono i compagni di base comunisti e socialisti, i militanti di Azione Comunista, Battaglia Comunista, Programma Comunista.
Assenti, e non poteva che essere così, i burocrati del PCI.

 

FONTI: B. Fortichiari, Ricordando Luigi Repossi, «Azione Comunista», 15.2.1957; B. Fortichiari, Antologia di scritti, Reprint Giovane Talpa; B. Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia – Testimonianza di un militante rivoluzionario – Tennerello editore; la liquidazione della sinistra del PCdI (1925), Edizioni L’Internazionale

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