Un’Europa sempre più tedesca

DI ADRIANA CERRETELLI

BRUXELLES • È nata francese la Commissione europea. Probabilmente però morirà tedesca. I segnali si moltiplicano sempre più chiari tra spallate inferte alla luce del sole e colpi di mano organizzati nel silenzio dei corridoi di Palazzo Berlaymont. La primavera scorsa il cancelliere Gerhard Schröder non fece mistero del desiderio di avere a Bruxelles, nella nuova squadra di José Barroso, un supercommissario all’Economia. Obiettivo: rilanciare in grande stile, sotto l’etichetta del cosiddetto processo di Lisbona, crescita e competitività in Europa possibilmente in salsa tedesca. Barroso gli rispose picche a parole. Nei fatti assegnando però a Günther Verheugen competenze su industria e parte del mercato interno (appalti e libera circolazione delle merci), facendone l’interlocutore fisso del Consiglio Competitività e vicepresidente per le riforme di Lisbona. Verheugen si è messo all’opera come un bulldozer.

Con il sostegno di una task-force di 20 persone, Verheugen è deciso a dare la sveglia al sistema inventando una politica industriale e di competitività vincenti su scala globale e, soprattutto, al servizio delle esigenze dell’industria europea.
Con un presidente che della competitività e di tutto quello che le ruota attorno ha fatto la sua priorità numero 1, lo scontro era inevitabile. E si è verificato puntualmente alcuni giorni fa tra un Barroso che tenta di asserire il proprio ruolo di presidente a tutto tondo e un vice-presidente tedesco che invece tende ad allargarsi sui terreni di propria competenza. In definitiva a “commissariare” la Commissione sulle cose che contano.
Il braccio di ferro su chi comanda a Bruxelles nella formulazione del nuovo codice di Lisbona è tuttora in corso. Al di là degli espedienti di facciata che si cercheranno per dichiarare tutti vincitori, il suo esito è già scritto nell’ordine delle cose.
Uno sguardo ad alcuni numeri e posti chiave basta infatti per constatare che oggi a Bruxelles la Germania riunificata occupa quasi tutte le poltrone eccellenti, i gangli del potere che decide. In breve è in una posizione di forza che prima della caduta del Muro di Berlino sarebbe stata semplicemente inimmaginabile. In 15 anni ha brutalmente scalzato dal trono la Francia, una volta la grande eminenza grigia di Bruxelles, lasciato indietro la Gran Bretagna, distanziato di parecchie lunghezze Italia e Spagna.
Esempi? Su 25 commissari, un quinto hanno un capo di gabiletto tedesco. Gli inglesi ne contano tre. L’unico francese lavora con il commissario francese, come l’unico italiano. A Bruxelles un capo di gabinetto ha un compito tecnico-politico fondamentale: prepara i lavori del collegio, cioè fare e disfare qualsiasi tipo di iniziativa. Da questi posti strategici i tedeschi oggi sono in grado di influenzare, oltra al loro, i portafogli della Società dell’informazione, di Scienza e Ricerca, Affari sociali e Occupazione, Sviluppo e Aiuti umanitari.
Non solo. Si ritrovano ai vertici di 10 Direzioni Generali, contro 8 per i francesi, 7 per inglesi e italiani. Questi numeri però non raccontano tutta la storia perché le poltrone non solo si contano ma si pesano. A un tedesco fanno capo le direzione Affari economici e finanziari, Impresa, Mercato interno, Cultura, Anti-frode, per citare le più importanti. Per inciso, fino a qualche anno fa, le prime due erano tradizionalmente occupate da italiani.
Una volta la Germania era un gigante che si teneva sempre timidamente un passo indietro agli altri. Oggi è il contrario e lo si vede quasi tutti i giorni. L’offensiva a Bruxelles e da Bruxelles sui meccanismi comunitari si accompagna a Berlino con la campagna europea del cancelliere che detta ai partner le nuove tavole della riforma del Patto di stabilità. Che manovra la leva delle risorse del bilancio dell’Unione promettendo, nelle sue vesti di primo finanziatore assoluto, di aggiogarla alla sua nuova legge dei finanziamenti minimi (e insufficienti).
Il mondo cambia, l’economia si globalizza, la Germania è ormai adulta e ambiziosa. «Voglio una Germania europea, non un’Europa tedesca» amava ripetere Helmut Kohl. Il suo successore non lo dice, ma fa di tutto per avere entrambe. E a quanto pare, guardando la germanizzazione che avanza a Bruxelles, ci sta riuscendo bene.

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