Quando si parla di Islam, spesso lo associamo alle immagini di masse sterminate accalcate alla Mecca per i rituali, che durano 6 giorni, cui ogni buon musulmano osservante deve sottostare almeno una volta nella vita. Gli avvenimenti del dicembre 2017 relativi al destino politico di Gerusalemme ci ricordano che anche Gerusalemme, sia pure in subordine a La Mecca e Medina, è un luogo santo dell’Islam.
Il pellegrinaggio (l’Hajj) alla Mecca (dove Maometto secondo il Corano è nato) e in subordine a Medina (dove il Profeta è morto ed è sepolto) è fra i 5 pilastri dell’Islam (gli altri quattro sono la testimonianza di fede, le preghiere rituali, il digiuno del Ramadan e l’elemosina canonica).
Non avendo i sunniti una autorità religiosa transnazionale, i due luoghi sono un elemento unificante per i musulmani di tutto il mondo.
Andare alla Mecca, tuttavia, non è come andare a Santiago de Compostela o ad Assisi.
La Mecca non ha mai goduto di un primato politico (come Medina, Damasco, Bagdad o Istambul) e tuttavia Mecca e Medina sono da sempre, per chi ne è il “custode”, un’arma di legittimazione politica, oltre che uno strumento di propaganda e di prestigio internazionale.
Lo stesso naturalmente si potrebbe o si è potuto dire di Roma e Gerusalemme.
Chi esercita il ruolo di “custode delle città sante” si trova di fronte un compito immane: garantire la sicurezza delle grandi strade percorse dai pellegrini, garantire il viaggio stesso dei pellegrini da furti e violenze, assicurare cibo e alloggio per gli ospiti lungo i sei giorni del rituale. Viceversa c’è un grosso ritorno economico che deriva dai pellegrini stessi che acquistano ricordi, fanno offerte alle moschee, talvolta prolungano il soggiorno.
Così era un tempo e così è anche oggi.
Per circa mille e trecento anni le due città sono passate di mano in mano, il governo locale e gli abitanti furono soprattutto intenti a sfruttare economicamente il pellegrinaggio, e accettarono senza resistenza le varie dominazioni che si succedettero nello Higaz, la regione occidentale dell’Arabia Saudita in cui si trovano (nota 1).
Sono queste città che hanno impedito all’Arabia di sprofondare nel silenzio della storia e di ridursi a pura espressione geografica fra la conquista ottomana e il 1932 anno dell’affermazione del terzo regno saudita (nota 2).
Gil Ottomani delegarono a uno Sharīf al-Ḥiǧāz il governo delle città sante, carica rimasta in vigore di fatto fino al 1916, quando l’ultimo sceriffo della Mecca, appartenente al clan Hascemita, al Husain ibn Ali Pascià, si ribellò all’impero ottomano, si proclamò re del Hegiaz e diede vita, su impulso degli inglesi (rappresentati dal famoso Lawrence d’Arabia) alla Rivolta Araba. Sono note le ambigue promesse inglesi alla dinastia hascemita, che furono presto dimenticate, tanto che nonostante l’autoproclamazione a “califfo della Mecca” Husain (più noto come Hussein, nonno del futuro re di Giordania) nel 1924 fu espulso dall’Arabia dai Saud, militarmente egemoni e più graditi alla Gran Bretagna, in particolare dopo la scoperta di enormi giacimenti di petrolio nel Nejd, dove sorgeva Riyad, la capitale dei Saud. Gli inglesi, quindi appoggiarono la “guerra di liberazione” di Ibn Sa‛ūd che nel 1924, questa volta definitivamente, si impadronì della Mecca, allo stesso modo in cui qualche secolo prima un sovrano francese aveva assediato ed espugnato Orleans per esservi incoronato. Per Saud non c’era Giovanna d’Arco, ma indubbiamente sapientemente trasse tutti i vantaggi politici possibili dalla sua investitura a custode della Mecca.
Il rapporto dei Saud con La Mecca e Medina è ambiguo, perché esse ricordano loro continuamente che l’Islam non è nato nella loro regione d’origine, il Nejd, ma in una regione a loro estranea. Queste due città culturalmente vivaci, luogo di incontro di genti di paesi e culture diverse, relativamente aperte nei confronti delle altre religioni monoteiste, appaiono loro troppo mondane e politicamente inaffidabili.
Nel Corano è fatto divieto ai non musulmani di entrare nella Grande Moschea, i Saud estendono il divieto all’intera area urbana e suburbana delle due città.
Poi cercano di scoraggiare le visite e l’omaggio alla tomba del Profeta e a quella dei suoi due successori (ziyāra). Già nel 1803 avevano proibito come pratiche idolatre le visite alle tombe dei santi, anzi avevano distrutto alcuni santuari antichi, oggetto di devozione, perché presentavano immagini di episodi della vita del Profeta (nota 3).
Negli anni ’70 inizia poi una radicale e sistematica distruzione di ogni edificio che possa ricordare la storia dell’Islam. Gli edifici più antichi, risalenti al tempo di Maometto, sono stati rasi al suolo per fare spazio a strutture più moderne e avveniristiche. Le case ottomane, i vicoli medievali, le architetture tradizionali hanno fatto posto (forzatamente) ad alberghi, uffici, centri commerciali e grandi arterie veicolari. La casa di Khadijah, prima moglie di Maometto, è stata abbattuta per fare spazio a… dei servizi igienici, sopra l’abitazione di Abu Bakr, compagno del Profeta e suo successore come primo califfo, è stato costruito un albergo. Nel luogo in cui si ritiene si trovasse la prima casa di Maometto, invece, oggi c’è un cartello, su cui c’è scritto, in cinque diverse lingue: “Non esistono prove che il profeta Maometto nacque qui, dunque è vietato farne un luogo di preghiera o di supplica”.
Un tempo il pellegrino entrava in un’area in cui svettava la Grande Moschea e la Kaaba (la Pietra Nera) (nota 4). Intorno le sette colline su cui sorge la città. Ora il pellegrino vede il complesso dell’Abraj Al Bait, cioè sette torri con al centro la Torre dell’Orologio del Royal Hotel della Mecca, il terzo grattacielo più alto del mondo, terminato nel 2012. Tutto intorno «centri commerciali di lusso, alberghi e ristoranti per super-ricchi».
Il fatto è che il pellegrinaggio è un business e per questo secondo uno studioso sul New York Times la Mecca attuale si presenta come « una via di mezzo tra Las Vegas e Disneyland» un «pacchetto turistico in cui ci si sposta da hotel a hotel, e durante il quale raramente si incontrano persone di culture ed etnie diverse. […] La storia non ha alcun significato, e il consumismo è fondamentale».
C’è un motivo meno evidente, ma significativo in questo comportamento: cancellare la storia dell’Islam significa trasformarlo in un fenomeno astorico, non analizzabile.
Al servizio della loro idea della Mecca, i Saud hanno potuto contare sui servizi della onnipresente Saudi Binladin Group, 5 miliardi di dollari di capitale e 22.000 lavoratori stabili, una delle più potenti multinazionali di tipo conglomerato del mondo arabo, specializzata nel settore delle costruzioni edili, e che detiene quote azionarie di diversi gruppi americani, il cui fondatore, uno yemenita, è fra le tante altre cose anche il padre del più noto Osama Bin Laden. Questa società ha avuto per anni il monopolio dei restauri e degli ingrandimenti dei luoghi sacri (la sola Grande Moschea è stata allargata 4 volte), ma anche della costruzione di strade e tunnel e della metropolitana, alberghi e ospedali, realizzando profitti miliardari. Nel 2015 una gru del gruppo è caduta sulla Moschea uccidendo 109 persone e appannando la sua immagine nel paese.
Morire durante il pellegrinaggio probabilmente garantisce al fedele un biglietto omaggio per il paradiso, ma succede un po’ troppo spesso negli ultimi decenni.
Nel 1990 ci furono 1426 morti per un guasto a un impianto di ventilazione, nel 1997 altri 343 morti per il rogo in accampamento; nel 2015 oltre al crollo della gru, altri 770 morti per la calca (i morti furono prevalentemente iraniani). Numeri altrettanto importanti hanno riguardato le vittime degli scontri con la polizia, incaricata di mantenere l’ordine. Nel 1987, infine, ci fu uno scontro fra pellegrini iraniani e polizia saudita, terminato con 402 morti , soprattutto donne.
Ciononostante il numero dei partecipanti è in crescita, sia pure con andamenti discontinui; se nel 1950 erano duecentomila, nel 2012 si è raggiunto il picco di 3,2 milioni. Adesso si è attestati sui 2 milioni.
Dal 1988 Riyad ha imposto delle quote di partecipazione legate al numero di musulmani presenti in ogni paese, in specifico un pellegrino ogni 1000 credenti; lo scopo profano era quello di ridurre i partecipanti provenienti dall’Europa e dai paesi medio orientali, per aumentare quelli provenienti dall’Asia, con cui i Sauditi volevano stringere rapporti economici e politici. La maggior parte dei musulmani infatti si concentra in paesi che non sono in Medio Oriente e solo il 20% dei musulmani sono arabi. Dei circa 1,57 miliardi di musulmani, quasi un miliardo vive in Asia (205 milioni in Indonesia, 178 milioni in Pakistan e 177 milioni in India, 149 milioni in Bangladesh), 240 milioni nell’Africa sub-sahariana (la Nigeria ne ha 75 milioni, il Sudan 31), In Medio Oriente e Nord Africa ne vivono 320 milioni in (i picchi sono Egitto con 80 milioni, Iraq e Turchia con 75, Algeria con 34, Marocco con 31). In Europa ne vivono 44 milioni (pari al 6% circa della popolazione totale). In Italia sono circa 1, 5 milioni (pari al 2,5% della popolazione – nota 5). E’ evidente l’interesse dei Sauditi per questi grandi e piccoli agglomerati di musulmani. E l’interesse politico. Un solo esempio per tutti: in febbraio re Salman si è recato in Malaysia (17 milioni di musulmani, il 61,4% della popolazione) per perfezionare un accordo fra Aramco e Petronas per la realizzazione di un complesso integrato di raffinazione e prodotti petrolchimici con 70 mila addetti a Johor. Precedentemente re Salman era riuscito a far entrare la Malaysia nell’Alleanza Militare Islamica lanciata nel 2015. Il corollario dell’accordo è stato il permesso di raddoppiare i pellegrini malesi che possono annualmente recarsi alla Mecca.
Dal punto di vista economico oggi è la seconda voce di entrata per lo stato. Nel 2015 ogni pellegrino ha speso in media 4.100 € a testa per un totale di 4,75 miliardi di €. Naturalmente la cifra pro capite è la media del pollo. L’economia delle due città dipende dall’afflusso dei pellegrini. Per loro l’unico aspetto negativo è che l’Hajj si concentra in circa 10 giorni, che diventano anche un mese se si considera il tempo di spostamento. Molto più vantaggioso sul piano economico è l’Umra, il pellegrinaggio breve, anch’esso consigliato al buon musulmano, ma che si compie in tutto l’arco dell’anno; nel 2016 ad esempio ha coinvolto 8 milioni di persone.
L’aspetto economico peraltro riguarda anche i paesi di partenza dei pellegrini, dove l’Hajj fa prosperare agenzie di viaggio, banchi di cambio, e quant’altro. Qualcuno si è arricchito col marchio come un franco-tunisino, tale Tawfik Mathlouthi, che ha lanciato la Mecca-Cola, venduta in 60 paesi dall’Africa all’Oceania, sede legale a Dubai.
In Indonesia annualmente gira un miliardo di $ annualmente intorno allo Hajj e all’Umra.
E soprattutto il pellegrinaggio sta salvando l’economia: poiché c’è una lista d’attesa di 12 anni per recarsi alla Mecca, il ministro della religione ha chiesto agli aspiranti pellegrini di versare una cauzione che vale come diritto di precedenza in un fondo che oggi raggiungei 5,4 miliardi di $. Politici e funzionari hanno fatto man bassa di questo fondo, tanto che è scoppiato uno scandalo; ora il governo può utilizzare il fondo per finanziare investimenti a lungo termine (un po’ come da noi per anni ha fatto il governo coi depositi INPS). Naturalmente gli affari suoi luoghi santi riguardano anche i santuari cristiani, per non parlare di Giubilei ed Anni Santi che fanno la felicità di affittacamere e agenzie di viaggio anche da noi.
Inevitabilmente Mecca e Medina sono al centro di controversie politiche e ostaggio dei contrasti fra gli stati. Dopo i morti del 2015, Teheran ha accusato i sauditi di non garantire la sicurezza dei suoi concittadini e nel 2016 gli iraniani non hanno partecipato al Hajj. Quest’anno sono stati i Sauditi che hanno cercato di escludere i qatarioti, salvo ammetterne pochissimi. Molti musulmani da tempo chiedono che Mecca e Medina assumano uno status internazionale come Gerusalemme, per sottrarle alla politica. Anche Al Jazeera ha ogni tanto dato voce a questa proposta, che peraltro al Thani, ministro degli esteri del Qatar, intende presentare all’ONU. Altri accusano i Sauditi di concepire il pellegrinaggio come un’esperienza riservata ai ricchi, senza alcuna considerazione per i valori religiosi e invece troppa attenzione alle questioni esteriori. I sauditi hanno reagito violentemente a qualsiasi critica.
E’ evidente del resto che le critiche al pellegrinaggio sono critiche al ruolo della casa dei Saud. L’episodio più clamoroso rimane il sequestro della Mecca nel 1979 (nota 6), ma di tempo in tempo polemiche, interne fra l’altro molte alla casa regnante, sono emerse.
Nota 1: Dopo i primi quattro califfi (632-656 d.C.) si succedettero gli Omayyadi (661-750), gli Abassidi (750-1150). Nel 1187 Saladino, fondatore in Egitto della dinastia curda degli Ayyubiti, attaccò e sconfisse presso Damasco le truppe crociate che avevano attaccato una carovana di pellegrini diretti alla Mecca. Quando i Mamelucchi si impadronirono del califfato in Egitto (1250) si fecero assegnare dall’ultimo erede degli Abassidi (nel frattempo sconfitti dai Mongoli) proprio l’Hegiaz, dove si trovavano appunto Mecca e Medina ma anche il porto di Gedda, proclamandosi difensori delle città sante. Il pellegrinaggio dall’Egitto all’Hegiaz era fiorente e l’Egitto acquistava dai mercanti della Mecca il caffè.
Il governo delle città fu affidato a emiri locali. Nel 1517 Solimano, sultano dell’Impero Ottomano attaccò le truppe mamelucche per impadronirsi delle città sante, considerando che il controllo di Mecca Medina e Gerusalemme gli dava una formidabile investitura in vista del suo scontro con la dinastia Safavide, sciita, che dominava in Iran
Nota 2: Fra il 1803 e il 1813 la Mecca era stata conquistata dai wahhabiti di Ibn Sa‛ūd, che non riuscirono però a tenerne il controllo, osteggiato oltre che dagli Ottomani anche dalle altre tribù dell’Arabia
Nota 3: Nel 1802 i Saud assaltarono Karbala, luogo sacro agli sciiti, e la saccheggiarono, uccidendo 5 mila sciiti distruggendo le tombe di Hussein e di Fatima, figlia di Maometto. Come si vede l’Isis non ha inventato niente. Kerbala si trova nell’est dell’Iraq e nel 2016 quando Teheran proibì il pellegrinaggio alla Mecca per protesta contro i massacri dell’anno prima, è stata meta dell’Arbain, il pellegrinaggio sciita che aspira a rivaleggiare con l’Hajj. Per questo i sauditi accusano gli sciiti di idolatria e politeismo
Nota 4: La Pietra nera, forse un meteorite, è una roccia nera, grande quasi come un pallone da calcio, incastonata a circa a poco più di un metro d’altezza nell’angolo est della Ka’ba della Mecca. Nel loro giro antiorario intorno alla Kaʿba nel corso del rito del Hajj, i pellegrini sostano brevemente e baciano rapidamente la Pietra Nera, se la calca lo permette, oppure si limitano ad additarla nei loro sette transiti.
A Pietra Nera era oggetto di culto prima dell’Islam, secondo l’Islam fu inviata direttamente da Allah, salvata da Noè durante il diluvio, nascosta in unba grotta presso la Mecca, poi recuperata da Abramo, a cui è fatta risalire la costruzione della Ka’ba..Secondo una diffusa tradizione popolare islamica, la Pietra Nera è invece l’occhio di un angelo incaricato di prender nota dei pellegrini che adempiono all’obbligo canonico, di effettuare una volta almeno nella vita il Hajj alla Mecca.
Nota 5: Le comunità musulmane più numerose in Italia provengono da Marocco 408.031 residenti, Albania 213.441, Bangladesh 105.288, Pakistan 104.957, Egitto 98.105. Secondo stime ISMU il 43% dei musulmani hanno la cittadinanza italiana. I pellegrini italiani alla Mecca sono passati dai 1070 del 2006 ai 3 mila del 2017 (quindi i Sauditi calcolano i musulmani italiani in circa 3 milioni, considerando anche gli irregolari).
Nota 6: Nel 1979 dissidenti islamici occuparono la Grande Moschea della Mecca e uno dei loro leader Mohammed Abdullah al-Qahtani si proclamò nuovo Mahdi; centinaia di pellegrini vennero presi in ostaggio e centinaia fra forze di sicurezza e ostaggi morirono nell’assalto. L’assedio durò due settimane e alla fine tutti i dissidenti vennero giustiziati. Essi accusavano la dinastia Saud di essersi venduta all’Occidente e chiedevano l’eliminazione dell’istruzione alle donne, l’abolizione della televisione e l’espulsione dei non-musulmani dall’Arabia. Molti erano stati membri della Guardia Nazionale Saudita e gli ex commilitoni li rifornivano di armi e munizioni. L’Iran accusò gli occupanti di essere al servizio del Satana americano. A Tripoli e Islamabad fu assaltata l’ambasciata americana.