LE RAGIONI DI UNA ROTTURA – Perché siamo usciti da Lotta comunista

Abbiamo militato in Lotta comunista, chi dai primi anni Settanta e chi – per ragioni anagrafiche – dagli anni ottanta e novanta.

Per diversi anni abbiamo tentato di introdurre in Lotta comunista una discussione che permettesse di correggere quelli che erano secondo noi errori evidenti.

La risposta del gruppo dirigente è stata di crescente chiusura, con reazioni di carattere amministrativo tese ad impedire la possibilità di un effettivo confronto delle idee.

La rottura politica e organizzativa è divenuta una scelta necessaria per poter portare avanti la nostra visione e una conseguente azione politica.

Le ragioni che ci hanno spinto a questa decisione sono di ordine teorico, strategico, politico ed organizzativo.

1) Ragioni teoriche
Il giornale, in particolare negli scritti del suo direttore Guido La Barbera anche se non di tutti i redattori, ha abbandonato il metodo materialista di analisi, attribuendo un ruolo primario alle personalità, alle ideologie, alle tradizioni, e abdicando all’analisi dei fattori materiali determinanti, degli interessi di classi, frazioni e gruppi, secondo il metodo marxista restaurato da Cervetto.
In questa deriva La Barbera ha assolutizzato la “non corrispondenza”, negando di fatto il processo di determinazione della struttura economico – sociale sulla sovrastruttura politica.
L’analisi della politica è stata ridotta a un’analisi diplomatica delle dichiarazioni di presunti “facitori” e della loro genealogia politico-ideologica, lasciando in secondo piano l’analisi dei fatti (vedi il libro “L’Europa e la guerra”).
Con ciò è stato fatto un passo indietro anche rispetto alla scuola del realismo politico borghese, che distingue tra dichiarazioni, intenzioni e azioni, e attribuisce solo a queste ultime la dignità di fatti incontrovertibili, da analizzare per comprendere gli eventi.

2) Ragioni strategiche
L’analisi strategica si è diconseguenza allontanata dai rigorosi criteri scientifici e dal corso reale degli eventi.
All’analisi concreta della situazione concreta è stata sostituita la descrizione “impressionistica”. Sotto i colori della “crisi di internazionalizzazione” si sono voluti far rientrare i fenomeni più disparati ancorché contigui nel tempo, come il ristagno economico del maturo capitalismo giapponese, la crisi politica dell’imperialismo italiano (di cui è stata ignorata la ristrutturazione sociale del 1993-95), la crisi del capitalismo di stato russo e dell’Est europeo, la crisi di una serie di paesi asiatici.
E’ stata data per risolta la crisi di squilibrio dell’imperialismo italiano sulla base del solo aspetto dell’avviato risanamento della finanza pubblica, trascurando l’analisi delle sue basi sociali. In virtù di una impressionistica raffigurazione del declino del piccolo commercio alimentare, è stata ignorata la persistenza, numerica e sociale, della piccola borghesia – per quanto trasformata nei tipi di attività – che costituisce un’anomalia italiana tra le metropoli imperialistiche e la causa di fondo dello squilibrio politico. Viene sostenuta la tesi del “declino americano” ignorando il rafforzamento relativo di questo nei confronti di tutte le maggiori metropoli imperialiste nell’ultimo decennio, e degli imperialismi europei per tutto l’ultimo quarto di secolo.
E’ stata assolutizzata la tendenza alla centralizzazione politica dell’imperialismo europeo, fino a sostenere che ha già assunto il tratto caratteristico dello Stato – ricorrendo a questo fine a dozzinali manipolazioni di citazioni. Anziché analizzare, come nella scuola di Cervetto, il processo europeo come momento di una battaglia su scala mondiale tra gli imperialismi, in cui l’imperialismo tedesco tenta di nuovo di centralizzare il continente – battaglia da analizzare sulla base di interessi e rapporti di forze -, il processoeuropeo è stato presentato come la risultante del convergere di volontà e idee europeiste, inevitabile perché rispondente a una razionalistica “necessità oggettiva” – come se questa non esistesse ormai da almeno un secolo e non si fosse ciononostante tradotta nei disastri delle due guerre mondiali. E’ stata ignorata e negata la bilancia di potenza tra gli imperialismi europei, presentati come entità evanescenti, in via di sfumare nell’Unione ; le loro distinte sfere d’influenza e direttrici d’espansione sono state sottaciute. E’ stato minimizzato il vitale interesse dell’imperialismo americano ad impedire la unificazione politica del continente europeo, teorizzando invece l’esistenza di un “duopolio euroatlantico”, ancorché di incerta natura. Alla visione di una contesa multipolare è stata sostituita quella di un “duopolio” in grado di regolare la bilancia delle potenze.
Di fronte alla cocente smentita dei fatti – la guerra dell’Irak che ha diviso l’Europa, contrapponendone il nucleo franco-tedesco all’imperialismo americano, l’arenamento del processo di centralizzazione nella Convenzione europea, l’esclusione dell’Europa dalle trattative sull’Asia nordorientale – il giornale «Lotta Comunista» si trincera dietro le dichiarazioni degli esponenti di singole correnti politiche. Lotta comunista diventa impermeabile alla lezione dei fatti, trasformando ipotesi errate in dogmi.

3) Ragioni politiche
La speranza che l’adesione verbale a comuni principi potesse comunque evitare gravi errori politici, giustificando la nostra permanenza in Lotta Comunista, si è rivelata infondata.
L’assolutizzazione del processo europeo ha portato a mettere in sordina i perduranti interessi separati degli imperialismi europei, perseguiti con il pieno utilizzo dei rispettivi apparati statali, inclusi gli strumenti della politica estera e le forze armate. In nome della lotta contro la futura ipotetica Europa potenza Lotta Comunista ha abdicato alla lotta contro le presenti, concrete potenze imperialistiche europee, e in particolare contro quella di casa propria – contravvenendo a un prioritario dovere internazionalista.
E’ stata messa la sordina alle iniziative militari dell’imperialismo italiano: in Somalia, in Albania, in Serbia-Kosovo, in Afghanistan, in Irak. La mancata denuncia di queste azioni imperialistiche è oggettivamente una forma di opportunismo – poco ci interessano le motivazioni soggettive.
La stessa opposizione all’imperialismo europeo è rimasta vuota retorica di facciata, prevalendo nel giornale i peana per i presunti “facitori” dell’unificazione e per i loro progetti, in uno spirito di tifoseria che ha contaminato il corpo del partito. Non una parola di denuncia per la prima spedizione militare solo europea nella regione aurifera del Congo.
A questo ha fatto da pendant l’assenza di ogni forma di opposizione nei confronti dell’attuale governo dell’imperialismo italiano, di cui anziché denunciare il carat – tere di classe e imperialistico sono stati accreditati i progetti e valorizzati i risultati, come se l’obiettivo dello scoramento della sinistra potesse esimere dalla denuncia del comitato d’affari pro tempore della classe dominante.
All’abbandono di ogni seria analisi delle classi nell’ultimo decennio ha corrisposto un atteggiamento di distacco e spesso sprezzante nei confronti dei salariati, accomunati in un generico, impressionistico, moralistico giudizio di “corruzione”. Si è quindi per gran parte rinunciato a far leva sulle concrete e reali contraddizioni di classe che permangono (e rinascono per i giovani salariati) al fine di estendere l’influenza delle posizioni internazionaliste nella classe, e attrarre gli elementi migliori. Strumenti specifici, come bollettini e volantini di fabbrica sono stati soppressi perché non rientrano in una visione di centralismo organico. L’intervento nei luoghi di lavoro è in gran parte delle situazioni ridotto alla sola propaganda, indifferenziata rispetto agli altri strati sociali. LC ha rinunciato a far leva sulle energie di classe inespresse.

4) Ragioni organizzative
L’organizzazione di Lotta Comunista ha progressivamente abbandonato i criteri del centralismo dialettico, assumendo la forma di un centralismo organico. Venendo meno la leva della superiorità teorica e della chiarezza strategica, è stata fatta valere quella gerarchica e amministrativa.
I comitati locali, anche di grandi realtà metropolitane, sono stati di fatto privati delle funzioni di elaborazione e delibera, ridotti a puri organi di esecuzione. I rapporti regolari tra il Centro e il quadro attivo sono stati interrotti dal 1988. La formazione di quadri dirigenti ne è stata ostruita. Se sotto la direzione politica di Cervetto poteva esservi ancora garanzia che i nodi politici venissero risolti positivamente e gli errori di impostazione corretti, dopo la sua morte nessuno dei compagni con più esperienza e capacità teoriche ha avuto la forza di assumere la direzione politica.
La fedeltà personale (non alla causa e neanche al partito) è stata assunta quale criterio principe nella responsabilizzazione dei quadri, in luogo dell’impegno militante e delle capacità teoriche e politiche. L’avanzare ipotesi scientifiche pur sulla base del metodo marxista è divenuto motivo di sospetto, isolamento e allontanamento. La tendenza a ripetere acriticamente è esaltata, la capacità di analizzare frustrata. Grandi capacità e disponibilità all’impegno sono state e vengono in questo modo respinte e bruciate. Il confronto politico è bandito.
Il “compito generale” di propaganda e organizzazione è divenuto il compito esclusivo della stragrande maggioranza del quadro attivo, cuisono richieste le sole doti di venditori e collettori – e organizzatori di tale attività. Il ruolo della partecipazione attiva volontaria dei lavoratori è divenuto secondario. Gran parte del lavoro è espressa dall’apparato e finalizzata a riprodurlo.
L’iniziativa politica è sacrificata agli obiettivi organizzativi.


Il decadimento teorico, strategico, politico e organizzativo forma un blocco che rende Lotta Comunista incapace di comprendere i processi reali e di attrezzarsi per dirigere il movimento reale. Il nostro tentativo di presentare alla discussione diverse ipotesi scientifiche, in continuità con il metodo restaurato da Cervetto, è stato accolto con l’anatema e la chiusura a tutti i livelli; ciò ci ha man mano convinti che la degenerazione è ormai irrimediabile.
Per quanto consistente possa essere l’apparato accumulato negli anni, esso è incapace di autocorreggersi, perché ciò significherebbe mettere in discussione un gruppo dirigente autoreferenziale e i ruoli ai vari livelli
Quale possa essere il suo destino, ci è ormai di relativo interesse. Il crescente divario tra la sua visione e la realtà potrebbe portarlo a sfaldarsi, ma esso potrebbe anche continuare ad esistere, non diversamente dalle sette religiose animate da fervore attivistico e da altri rami secchi della tradizione marxista.
Non vediamo ad oggi un possibile utilizzo opportunistico, data la pochezza del peso reale nella classe e la posizione astensionista. Date queste condizioni, la possibilità di portare avanti la scienza, la strategia e l’azione marxista in Italia sulla base della tradizione lasciataci da Cervetto è solo nella costituzione di una nuova organizzazione. Abbiamo il coraggio di questa scelta. La storia dirà se avremo anche saputo sviluppare ed attrarre le necessarie energie e capacità.