
L’80° anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo in Italia e in Europa è segnato da un revisionismo storico che impazza in Italia e in Europa fino a rasentare, ormai, l’esaltazione del nazi-fascismo.
La lotta di liberazione dal nazi-fascismo, attraverso la guerra partigiana, le insurrezioni popolari, gli scioperi operai, vide scendere generosamente in campo settori crescenti del proletariato e delle classi oppresse, ma questi non riuscirono a scrollarsi di dosso la cappa di piombo degli imperialismi concorrenti a quelli dell’Asse, a cui rimasero – alla fine dei conti – soggetti sul piano militare e su quello politico. Perché l’imperialismo a stelle e strisce, con il supporto britannico, tutto fece fuorché mettere in discussione il capitalismo che era stato il vero generatore del nazi-fascismo; al contrario ne stabilizzò il dominio in Italia e in Europa occidentale e meridionale, dopo anni turbolenti, in vesti democratiche.
Non è dunque un caso che, dopo 80 anni, si debba assistere di nuovo in Italia, in Europa e non solo, al ritorno di regimi politici aventi caratteri per certi versi simili a quel nazifascismo che continua ad essere deprecato (in maniera sempre più formale) nelle ricorrenze ufficiali. Il motivo di questo ritorno è molto semplice: dal momento che non sono state tolte di mezzo le basi economiche e sociali del capitalismo che hanno partorito il nazi-fascismo, ecco la tradizione fascista riemergere con prepotenza e arroganza: in nuove forme nazional-populiste costruite per aggiogare le classi sfruttate al clima di guerra che pervade tutto il pianeta.
Di una tale tendenza le democrazie imperialiste degli Stati Uniti e dell’U.E. sono state e sono protagoniste, avendo fatto della spartizione del mondo, delle disuguaglianze diffuse, dell’esportazione di armi e della guerra la loro ragione di vita. In questo rapidamente imitati dalle cosiddette “potenze emergenti” (Cina in primis) o riemergenti (Russia). La guerra imperialista in Ucraina e il genocidio di un intero popolo in Palestina, punte dell’iceberg, sono lì ogni giorno a ricordarcelo.
In poche parole: si è fatta, si fa la parte del nazifascismo in nome della democrazia. Il colossale piano di riarmo da 800 miliardi di euro della von der Leyen va esattamente nella direzione dello scatenamento di una terza guerra mondiale, a partire da un nuovo assalto alla Russia. E il suo varo è accompagnato da un revisionismo storico che, dopo decenni di incubazione, è teso non solo a tollerare il nazifascismo, ma addirittura a giustificarlo. Non è roba di gruppuscoli di ultras della destra estrema, sono i vertici dell’U.E.!
Giorni fa l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’U.E. Kaja Kallas ha osato “diffidare” – proprio così: diffidare – tutti i paesi facenti parte di tale organismo, e perfino i candidati ad entrarvi, dal prendere parte, il 9 maggio prossimo, alle commemorazioni – a Mosca – della vittoria russa sul nazismo. Diffida ribadita dal cancelliere lettone Baiba Braze e dal ministro degli Esteri estone Jonatan Vseviov. “Chiunque vi si recasse… non sarà preso alla leggera”, sentenziano questi funzionari imperialisti.
Non c’è il richiamo esplicito alla bontà dell’“europeismo” hitleriano, ma poco ci manca. In nome di cosa viene proclamata l’interdizione? In nome, udite udite, dei “valori” dell’U.E. Quando tali valori consistono sostanzialmente nel fomentare la guerra ad Est, nel riarmismo forsennato, nel voler mettere le mani sulle terre rare e sulla “ricostruzione” dell’Ucraina in concorrenza col bandito amerikano – per non parlare, poi, dell’appoggio alla macchina genocida sionista e della semina di guerre in tutta l’Africa e in Medio Oriente. Nei paesi Baltici si va in galera per “attività antistatale”, se ci si oppone – anche solo a parole – a questa sadica voglia di distruzione e di morte.
Per il ministro dell’Istruzione tedesco, il clima di guerra va… portato nelle scuole! Leggi e prassi sempre più repressive sono introdotte in tutta l’U.E. L’Italia, come un secolo fa, funge da apripista con l’ultimo “Decreto Sicurezza”. Sono questi i valori da riaffermare. giusto? Che non ci sia un’opposizione di principio, strutturale, fra le democrazie e le autocrazie lo dimostra qui in Occidente questo cammino verso la limitazione sempre più marcata dei diritti democratici, la cappa sempre più soffocante del potere statale, la marcia verso forme di democrazia totalitaria che il capitalismo riscopre necessarie per prepararsi ad un nuovo conflitto mondiale. Più la corsa verso una nuova guerra di spartizione del pianeta andrà avanti, più le differenze formali fra istituzioni liberali e regimi autocratici impallidiranno, fino a somigliarsi come due gocce d’acqua. Del resto, sono differenze che le democrazie imperialiste si sono permesse solo nell’ambito ristretto dei propri confini, mentre nel resto del mondo il colonialismo e il dominio delle grandi potenze non hanno mai smesso di seminare orrori indicibili, altro che liberalismo e diritti dell’uomo!
Per noi la Russia staliniana del 1945 non era “il paese del socialismo realizzato”, e basterebbe – come prova schiacciante di ciò – la decisione di compartecipare alla spartizione del mondo con gli imperialismi democratici d’Occidente. Quella Russia risultava dalla demolizione dell’Ottobre e dalla liquidazione fisica della quasi totalità della vecchia guardia bolscevica, e aveva non a caso liquidato anche formalmente la Terza Internazionale. Detto ciò, è però semplicemente ignobile attaccare, nel modo che abbiamo visto, una giornata in cui si commemorano i 28 milioni di russi morti nella lotta contro il nazismo. Un prezzo pagato da nessun altro popolo. Da parte dell’U.E. compiere una simile infamia significa rivalutare di fatto il nazismo, riammetterlo nel circuito degli orrori dei giorni nostri e di quelli che ci stanno preparando.
Se va respinto questo vergognoso revisionismo sul nazifascismo, espressione feroce della dittatura del capitale, allo stesso tempo non si deve tacere sulla natura e sulle finalità di quello che potremmo definire “antifascismo nazionalista”.
Un antifascismo istituzionale, ipocrita, magmatico, buono per tutti gli usi, utile solo a imbottire i crani sul fatto che, in Italia, e in tutto l’Occidente, secondo questa gente (da Mattarella alla Schlein, passando per Conte e per i cespugli della sinistra parlamentare cosiddetta “radicale”), noi vivremmo nel migliore dei mondi possibili. E questo grazie a quell’“unità” nazional-democratica nata dalla lotta della Resistenza e sfociata nella Costituzione repubblicana del 1948.
Che poi l’“antifascista” Mattarella firmi tutte le porcate para-fasciste emanate dal governo Meloni (anzi la consigli su come prepararle al meglio); che la Schlein faccia a gara con la post-fascista Meloni a chi è più bellicista, e Conte esprima un populismo non troppo dissimile da quello salviniano… tutto ciò dimostra come quello nazionalista sia un antifascismo di maniera, spendibile per motivare, in chiave “progressista”, le politiche lacrime e sangue della classe dominante.
Un antifascismo che farebbe rivoltare nella tomba quei proletari, quei compagni, che 80 anni orsono sacrificarono la loro vita per un mondo libero da sfruttamento, schiavitù e guerre, non certo per vedersi ripresentare in tavola, accresciuta di cinismo e di violenza planetaria, la solita lurida minestra borghese dell’homo homini lupus – e quindi della necessità, inevitabilità della guerra. Una nuova guerra “per la nostra libertà”, come fu quella che le truppe fasciste andarono a combattere fino in Russia – parole e musica del governatore del Piemonte Cirio.
Per noi l’antifascismo o è anticapitalismo conseguente, oppure è una frase vuota e ingannatrice; una variante della politica borghese, sempre alla ricerca di nobili quanto farlocche motivazioni per mettere insieme sfruttati e sfruttatori nella “sacra” unità nazionale, propedeutica alla competizione e alla guerra tra gli Stati del capitale.
Non ci stiamo, ovviamente. La Resistenza a cui ci richiamiamo è quella della lotta del proletariato e dei comunisti autentici (non togliattiani, né secchiani, cioè) contro fascismo e capitalismo, che in Italia si ebbe nei primi anni ‘20, e poi (in un contesto molto differente) negli anni 1943-’45, sia pur senza essere in grado, in entrambi i casi, di portarla fino in fondo per ragioni che abbiamo chiarito altrove (1). Richiamarci ieri come oggi a quella – e solo a quella – Resistenza, comporta fare i conti con l’intima, e immodificabile, natura prevaricatrice del sistema sociale capitalistico.
La Liberazione, quella risolutiva, deve ancora venire. Toccherà alle nuove generazioni rivoluzionarie riprendere in mano il testimone della “Resistenza Rossa” del passato: ove vi fu e per come riuscì a manifestarsi. Allo scopo di dirigere la battaglia con decisione contro la macchina di sfruttamento e di morte del capitalismo, di qualunque abito si vesta.
Antifascismo è antisionismo, si dice in questi giorni da più parti. Ed è quasi banale, per noi almeno. Ma se il ricordo della Resistenza e il giustissimo richiamo alla lotta contro lo stato sionista e la sua barbarie colonialista si abbina allo schieramento con la Russia di Putin, capitalista e anti-comunista dai capelli alla punta dei piedi, oltre che inossidabile sodale di Israele e fornitrice di carburante per i suoi bombardamenti, allora non sono solo i Mattarella e le Schlein a fare della demagogia insopportabile il 25 aprile e sul 25 aprile. Ce n’è anche di “estrema sinistra”, estrema solo nella…
NO AL REVISIONISMO PARAFASCISTA E AI DIKTAT DELL’U.E.
NO ALL’ANTIFASCISMO ISTITUZIONALE DI FACCIATA
ANTIFASCISMO E’ ANTICAPITALISMO, O NON E’!
(1) Rimandiamo a tre libri editi da Pagine marxiste nella collana della Tendenza internazionalista rivoluzionaria: AA.VV., Livorno Ventuno. A cent’anni dalla scissione di Livorno. La nascita del Partito comunista d’Italia, 2021; G. Giusti, Comunisti e Fronte unico. Il “Biennio rosso” e gli anni della politica del “Fronte unico” in Italia (1918-1924), 2023; G. Giusti (a cura di), Antifascismo e lotta di classe nella Resistenza (contiene anche scritti di A. Pellegatta, G. D’Alesio e P. Basso), 2024.