Il terribile disastro ferroviario di Pioltello (6,58 del 25 gennaio 2018, deragliamento del treno 10452 Cremona-Milano carico di pendolari, 3 morti e centinaia di feriti) è davvero emblematico rispetto alle contraddizioni di un sistema basato sul profitto.
Da subito la pista seguita per individuare le cause si è concentrata sull’infrastruttura piuttosto che sul materiale rotabile: è stata avanzata l’ipotesi della rottura della rotaia, poi verificata in un punto di giunzione tra due spezzoni collegati da una piastra bullonata (detta eclisse o fishplate). Dunque un cedimento infrastrutturale. La parte superiore della rotaia (il “fungo”), quella dove avviene il rotolamento, si è spezzata per 23 cm., e questo avrebbe fatto sviare una vettura del convoglio che, dopo 2 km di corsa fuori dai binari, è deragliato. È comunque presto per trarre conclusioni. Ma qualcosa si può, e si deve dire.
Come hanno scritto i ferrovieri Cub Trasporti nel loro comunicato, le avvisaglie non mancavano: nei dieci mesi precedenti sono avvenuti almeno cinque episodi, fortunatamente con conseguenze ridottissime, che avevano rappresentato un campanello d’allarme: svio di Firenze (Frecciargento 8510, 9 novembre 2017); svio di due convogli Trenord (1° giugno 2017, 10777 a Paderno e 23 luglio 2017, 2627 a Pioltello, a pochi metri dal punto dov’è avvenuta la tragedia odierna); rotture delle ruote dei treni merci (16 marzo, Giulianova; 25 settembre 2017, Novara Boschetto). Una casistica assai diversificata, che vede coinvolti treni merci, regionali e passeggeri di altrettante imprese diverse, materiali vetusti quanto moderni e confortevoli, su linee secondarie quanto su direttrici principali. E quello del 25 gennaio è un disastro verificatosi su una linea caratterizzata da un fortissimo passaggio di treni e da velocità consentite elevate. Dove certamente i controlli non mancano. La linea Milano-Venezia fa parte della cosiddetta “T”, ovvero la rete prioritaria, oggetto dei maggiori investimenti; quella che, per intenderci, integra il sistema Alta Velocità (AV); non solo, delle due linee affiancate (4 binari) quella dove il treno deragliato è la “veloce”. Questo sgombra il campo dalle solite dichiarazioni di rito, delle risorse tolte alla rete tradizionale. Qui siamo su una linea “tradizionale”, ma integrata nel sistema AV. Un paradosso, dunque? Una tragica fatalità?
Quattro anni e mezzo fa avvenne un incidente simile a Bretigny in Francia (12 luglio 2013, sei morti e 62 feriti). I ferrovieri del sindacato SUD Rail posero l’attenzione sulla separazione infrastruttura-trasporto e sul sistema degli appalti.
E allora partiamo da qui. Da oltre un decennio l’infrastruttura è stata separata dal trasporto. E’ evidente che un sistema integrato infrastruttura-trasporto si coordini meglio di uno separato. La separazione ha dato il via alla liberalizzazione (in Italia attuata senza regole né clausole dai governi “amici”) e ciò ha comportato peggioramenti contrattuali e normativi, saturazione dell’orario di lavoro, tagli di posti di lavoro (l’Agente Solo alla guida, ecc.).
La concertazione sindacale ha avallato tutto, i sindacati di base hanno provato ad opporsi trovandosi imbrigliati negli ostacoli della legge antisciopero (è intervenuta la Commissione di Garanzia persino contro lo sciopero di domenica 28 gennaio proclamato in seguito al disastro di Pioltello!), mentre gli attivisti che attuavano iniziative di autotutela per la sicurezza venivano sanzionati.
Nemmeno nel settore della manutenzione gli incidenti non sono mancati: solo negli ultimi due anni si contano almeno tre morti e nove feriti nei cantieri ferroviari per la manutenzione e la sostituzione delle rotaie; spesso non si tratta di ferrovieri, ma di dipendenti delle ditte in appalto.
Otto anni fa l’Agenzia Ferroviaria Europea (European Railway Agency) non procedeva ad imporre l’obbligatorietà dei sensori anti-svio, applicati alle ruote delle ferrocisterne trasportanti merci pericolose: un costo, una voce di bilancio, che avrebbe inciso sulla competitività. La giustificazione era che la percentuale di incidenti per quella casistica era bassissima. Pochi mesi dopo avvenne la strage di Viareggio.
Oggi, a Pioltello, piangiamo ancora una volta dei morti. Questo non ci impedisce di irritarci nel vedere le lacrime di coccodrillo e le parole di circostanza di certi soggetti istituzionali.
Non è a costoro che possiamo affidare la sicurezza dei lavoratori impiegati nelle ferrovie o che viaggiano sulla rete ferroviaria, ma all’impegno e all’organizzazione dei lavoratori coscienti.
Proprio in questi giorni, in Canada si è concluso il processo a carico di tre ferrovieri accusati di “negligenza criminale” per il disastro del luglio 2013 di Lac-Mégantic, Quebec (47 morti); il treno (72 ferrocisterne di greggio) si mosse (il binario era in pendenza) prendendo velocità fino a deragliare ed esplodere. I nostri compagni ferrovieri hanno sostenuto i ferrovieri processati partecipando alla campagna in loro favore: processare i ferrovieri significava (come detto anche dai familiari delle vittime) non avere sul banco degli imputati i veri responsabili, i dirigenti dell’impresa che avevano tagliato i posti di lavoro e sorvolato sulle operazioni di sicurezza.
Questo di Pioltello è un episodio assai diverso nella dinamica, ma il rischio che si corre sempre in tragedie come queste è che le responsabilità vengano scaricate ai livelli inferiori, agli ultimi operatori della catena.