Il settore agricolo in Europa e in Italia 2010-2020

Pubblichiamo questo studio di un compagno sulla questione dell’agricoltura italiana ed europea, tornata alla ribalta qualche settimana fa con la cosiddetta “protesta dei trattori”. Protesta che ha fatto clamore per l’invasione di strade e piazze europee di questi mezzi agricoli, guidati da padroni e padroncini in cerca di “riconoscimenti”, sovvenzioni e benefit. Di fronte all’inarrestabile processo di concentrazione agricola che attraversa l’Europa e l’Italia dalla fine della guerra ai giorni nostri, settori di piccola e media borghesia cercano ripetutamente nel sostegno statale (ritenuto bestemmia dal “verbo” liberista quando vengono coinvolti i lavoratori dipendenti) la “barriera” contro una concorrenza sempre più spietata.

Il contributo che presentiamo apre il discorso sul dipanarsi di questo processo di concentrazione agricola dell’ultimo decennio, indagando i suoi risvolti nel settore sul versante delle sovvenzioni istituzionali, della tipologia delle coltivazioni, della struttura anagrafica della proprietà agricola, ed altro ancora.

La realtà del super-sfruttato mondo operaio delle campagne, fatto in buona parte dei lavoratori immigrati trattati come moderni schiavi (e “naturalmente” oscurati dalla “protesta dei trattori”), il mondo a cui noi guardiamo, sarà oggetto di un prossimo articolo.

Negli scorsi mesi la protesta degli agricoltori ha riguardato vari paesi europei, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia, Belgio, Olanda, Spagna, Italia.

 In Italia il governo è riuscito a dividere le varie anime di chi protestava. Da una parte gli “irriducibili di Calvani”, coi i loro Comitati riuniti agricoli hanno manifestato in 1500 al Circo Massimo di Roma, dall’altra Coldiretti, abituata a fare lobbying con qualsiasi governo ma attualmente particolarmente vicina alla destra (da Salvini a Lollobrigida) trattava, liquidando le proteste degli irriducibili come inutili chiassate. Coldiretti trae la sua capacità di pressione politica dal fatto che rappresenta circa 340 mila aziende, il 35% del totale censito, le quali controllano il 41% dei terreni coltivati.

Prendendo spunto da questa serie di proteste degli agricoltori, nel presente articolo, analizziamo i profondi mutamenti del settore agricolo, UE ed italiano, nel II decennio del XXI secolo: l’aumento della concentrazione nella proprietà della terra, della dimensione media delle aziende agricole (ancora arretrato nella UE, rispetto agli Stati Uniti, dove il settore è estremamente concentrato da decenni), e infine l’incremento degli occupati salariati sul totale dell’occupazione agricola.

Tuttavia, il settore primario, nonostante i mutamenti degli ultimi decenni, rimane il settore col maggior peso di lavoratori indipendenti rispetto ad industria e servizi. Un aspetto di rilievo è dato dal forte aumento in esso del peso dei lavoratori immigrati (dal 4,3% nei primi anni 2000, a oltre il 18% oggi), lavoratori provenienti da alcuni paesi dell’est Europa come Romania e Bulgaria e dall’Africa sub-sahariana.

Si tratta di un comparto di proletari sottoposto ad uno sfruttamento bestiale, al caporalato, al precariato senza alcun rispetto dei minimi tabellari contrattuali. (Ci riserviamo di approfondire la questione in successivi articoli.) Il fenomeno del caporalato consente un regime di extraprofitti che va dal proprietario terriero fino alla grande distribuzione, e consente di portare sulle tavole delle famiglie italiane frutta e verdura che altrimenti avrebbero prezzi ancora superiori. Da segnalare infine che la stragrande maggioranza della politica, soprattutto in area governativa, che liscia il pelo all’attuale protesta degli agricoltori, si guarda bene dal parlare di questi fenomeni di supersfruttamento che ricordano per certi versi la condizione bracciantile degli anni ’50.

L’agricoltura italiana dentro i numeri europei

In Europa ci sono poco più di 9 milioni di aziende agricole per una superficie agricola utilizzata (SAU) pari a 157.415.700 ha.  Nel corso degli ultimi dieci anni il numero delle aziende è diminuito del 24%. Tale diminuzione ha investito tutti i Paesi con punte massime in Bulgaria (-64,12%) e Ungheria (-59,41%). Solo nella Repubblica Ceca le aziende sono in aumento (+27,19%).[1]

 In Italia le aziende sono diminuite del 30,03% (al di sopra della media europea) passando da 1.619.230 unità del 2010 alle 1.133.020 del 2020. È quanto emerge dall’analisi degli ultimi dati Eurostat e del Censimento agricolo nazionale.

Se invece guardiamo alla superficie agricola coltivata, essa è calata solo dell’1%, anche qui con grandi variabili, visto che si va da un vistoso -24,35% della Grecia a un + 13,29% di Cipro (appendice b e c). L’Italia è tra i Paesi europei dove la riduzione è più contenuta (-2,59%, pari a meno 332.510 ettari).

I due dati combinandosi, hanno comportato un aumento delle dimensioni medie delle aziende agricole. L’azienda media in Europa ha una superficie pari a 17,35 ettari nel 2020 (contro il 13,23 del 2010) con un incremento del +31,20%. Il fenomeno ha ovviamente significati diversi se si parte da proprietà piccole o piccolissime o viceversa da aziende di ampie dimensioni.  Questo ridimensiona in parte il + 184,24% della Bulgaria o il +158,72% dell’Ungheria mentre rende significativo il +78,78% dell’Estonia o il +39,22% della [???]. L’Italia passa da circa 8 ettari del 2010 a 11,05 ettari, superando Croazia, Grecia, Slovenia, Romania, Cipro e Malta, ma sempre rimanendo tuttavia fra gli “gnomi”, mentre la Repubblica Ceca con i suoi 120,81 ha. medi resta al top. (Figura 5)

Il confronto con gli USA

Volendo usare una sintetica battuta, si potrebbe affermare che per ottenere l’estensione media di una azienda agricola negli Stati Uniti, basta aggiungere uno “zero” al dato medio europeo; se nel 2020 nella UE la superficie media utilizzata di un’azienda era poco sopra i 17ha, in Usa era di 179ha. In pratica nella UE circa 9 milioni di aziende (comprese quelle con produzioni marginali, numerose ma con basso impatto sul Pil agricolo totale) coltivano 157,5 milioni di ettari, negli Usa meno di 2 milioni ne coltivano circa 360 milioni; è una differenza che si trascina da decenni, e deriva dalla diversa formazione economico sociale dei 2 continenti, dalle differenze geografiche, dalla minore densità di popolazione negli Usa rispetto all’Europa, dal fatto che gli Stati Uniti sono un vero “mercato continentale” da 180 anni e non da 30 come l’Unione Europea. Un confronto utile perché parliamo di due aree a capitalismo maturo, ma che andrebbe esteso anche alla struttura delle grandi aziende russe e ucraine, con una storia del tutto diversa, e almeno anche con l’agricoltura argentina.

La superficie biologica in Europa

Le polemiche in Italia e in Europa negli ultimi mesi hanno riguardato anche il controverso rapporto fra agricoltura tradizionale ed ecologia. L’incidenza della superficie investita da produzioni biologiche sul totale della superficie utilizzata (Figura 7) è aumentata negli ultimi dieci anni con valori superiori al 15% in Svezia, Repubblica Ceca, Italia, Lettonia, Finlandia, Danimarca; in Austria ed Estonia del 25% e del 20%. In tutti gli altri Paesi l’aumento si attesta sotto il 10%.

Per l’Italia è un dato ingannevole perché se l’incidenza resta bassa (15%), l’incremento è stato fortissimo, la superficie investita da produzioni biologiche è infatti passata da 781.490 ettari del 2010 a 1.936.500 ettari nel 2020. (Appendice f)

Questo significa che una quota degli agricoltori ha fiutato l’affare e si è gettato senza remore nel settore.

Aziende agricole UE, composizione statistica per valore aggiunto, età e genere del titolare

Dai dati dell’ultimo Censimento agricolo forniti da Eurostat risulta che 3.313.850 aziende agricole europee, pari al 36,5% del totale, (figura 1), praticano una agricoltura di sussistenza; le aziende molto piccole sono il 27,1% e quelle piccole il 16,4%.

Le aziende medie e grandi sono rispettivamente 1.093.960 e 709.120 unità e rappresentano il 20% del totale. Le aziende ad agricoltura di sussistenza sono presenti soprattutto in Romania (72,5%), Malta (60,1%), Lettonia (52,3%), Cipro (47,2%). Le grandi aziende (7,8% del totale) sono maggiormente presenti nei paesi del Nord, quali Olanda (64,3%), Belgio (53%), Lussemburgo (50,3%), Svizzera (47,3%), Germania (36,5%), Islanda (31,1%), Danimarca (27,7%) e Norvegia (25,9%).

Si conferma la generale prevalenza di conduttori maschi. Infatti, su circa 9 milioni gli uomini sono il 68,4% (6,2 milioni) e le donne sono il 31,6% (2,8 milioni), erano il 26,4% dei conduttori nel 2005.

Persiste il processo di senilizzazione dell’agricoltura: dai dati dell’ultimo censimento emerge infatti che la classe di età con la maggiore presenza di conduttori è quella oltre i 65 anni, che da sola rappresenta un terzo dei conduttori totali.   (vedi in appendice g le tabelle). I conduttori giovani con meno di 40 anni rappresentano mediamente in Europa il 12% del totale, ma la situazione è alquanto diversificata nei singoli paesi. Al di sopra della media UE, in particolare l’Austria, che con un valore pari a 23,4% è il paese con la più alta presenza di conduttori giovani in agricoltura; a seguire la Polonia, il Lussemburgo, la Svizzera, la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Norvegia, l’Islanda, la Bulgaria e la Germania. L’Irlanda, il Belgio, la Lituania, la Svezia, Malta sono in linea con la media europea, mentre Romania, Ungheria, Lettonia, Olanda, Danimarca, Spagna, Grecia, Portogallo e Cipro sono al di sotto della media europea.

In Italia dai dati dell’ultimo censimento dell’ISTAT i conduttori con meno di 44 anni sono il 13,5%. Un legame abbastanza ovvio emerge tra l’età dei conduttori e la tipologia di azienda guidata. Infatti, mentre i conduttori più anziani (oltre i 65 anni) conducono le aziende di sussistenza o molto piccole (rispettivamente 45,2% e 30,8%), i conduttori giovani (con meno di 40 anni) sono presenti maggiormente nelle aziende medie o grandi (rispettivamente 18,7% e 12,3%).

Ripartizione fondi PAC tra i paesi UE, chi se ne avvantaggia di più?

Nelle proteste degli agricoltori l’Europa come istituzione è stata spesso oggetto polemico.

Se guardiamo gli impegni di spesa programmati per la PAC (Politica Agricola Comune) 2021-2027, notiamo alcune cose.

1) Non tutti gli stati membri prendono i contributi UE in proporzione al peso relativo del proprio settore agricolo, ad esempio la Francia che ha un’agricoltura di dimensioni paragonabili a quella della Germania, si vede assegnare una cifra di ben 6 punti % superiore, 17 contro 11%.

2) Un calo degli impegni di spesa di circa 30 mld € rispetto al piano 2014-2020, da 408 a 378mld€. Anche se una riduzione della spesa per il settore primario del 7,36% in 7 anni può sembrare poco rilevante, ma si aggiunge agli impegni del cosiddetto “green deal”, che prevede un forte calo nell’uso di pesticidi; all’aumento dei terreni incolti ad uso boschivo o di rotazione;  al forte calo nei sussidi al gasolio agricolo e all’azzeramento dei dazi doganali all’importazione di cereali e sementi dall’Ucraina, che ha provocato una serie di timori tra gli agricoltori medi, cioè di non riuscire più ad ottenere un reddito sufficiente con le attuali estensioni coltivate. Timori che sono alla base delle proteste, con occupazioni di strade, piazze con blocchi e presidi, alla ricerca di visibilità e supporti politici per ridurre da un lato l’impatto dei cambiamenti nelle politiche comunitarie, dall’altro di ottenere “protezioni nazionali” dai propri governi.  Comunque, nonostante il calo dell’impegno comunitario nella politica agricola, la PAC rappresenta ancora il 31% della spesa pubblica comune nella Ue, anche se 30-40 anni addietro era oltre il 50%.

Fa molto comodo invece ai politici “nazionali” scaricare le responsabilità sulla UE e presentarsi come campioni della produzione nazionale (in prima fila Lollobrigida con la sua “sovranità alimentare”). In realtà se abbiamo visto in piazza agricoltori francesi e tedeschi, le ragioni sono anche dipendenti da decisioni nazionali, come la fine delle agevolazioni sui carburanti decisa da Berlino e l’aumento del prezzo del petrolio da parte di Parigi, tanto che si è parlato di “Gilet vert”. E’ interesse di tutti i governi allontanare l’attenzione dalle conseguenze della guerra in Ucraina, ma il problema è che in Germania e Francia è la destra che cavalca la protesta. Anche in Italia Meloni e Lollobrigida ci provano intervenendo sulla redistribuzione del PNRR, non è chiaro se con l’approvazione della Ue già irritata per i sussidi ai balneari.

Le proteste contro la concorrenza di paesi extra UE (Ucraina in particolare)

Alla fiera agricola N°116 dei primi di febbraio 2024 l’ambasciatore dell’Ucraina in Italia Yaroslav Melnyk, ha affermato: “Sono a Fieragricola perché l’Ucraina è interessata a sviluppare rapporti nel settore primario: per noi esportare materie prime agricole è fondamentale, in quanto è una voce importante dell’economia del nostro Paese. Siamo grati all’Italia, che ci dà un sostegno enorme”. In realtà secondo molti dei manifestanti italiani ed europei che in questi giorni occupano strade e piazze alla ricerca di visibilità e supporti politici le importazioni di prodotti agricoli da Paesi stranieri, in particolare dall’Ucraina sono tra i motivi principali della crisi. Fra gennaio e novembre 2023, l’Ucraina, secondo le elaborazioni di Teseo.Clal.it, ha esportato 39,6 milioni di tonnellate di cereali (+16,56% tendenziale), per un valore superiore ai 7,4 miliardi di dollari, L’Ucraina ha collocato sul mercato 22,8 milioni di tonnellate di mais (+3,25% su base tendenziale) destinati per il 58% all’Unione europea, pari a 13,36 milioni di tonnellate. L’export ucraino è cresciuto anche nella destinazione Italia con un +72,29% nei primi 11 mesi 2023; in termini di volume ha raggiunto quota 2,13 milioni di tonnellate di mais, rappresentando il terzo Paese di destinazione dell’Unione europea, dopo Spagna (3,23 milioni di tonnellate di mais) e Romania (2,83 milioni di tonnellate). Cina ed Egitto, rispettivamente con il 21% e il 10% della quota di mercato, sono le altre principali destinazioni del mais coltivato in Ucraina. Sempre nello stesso periodo l’Ucraina ha esportato 14,4 milioni di tonnellate di frumento (+50,35% sullo stesso periodo del 2022) con il 51% dei [??] collocato in Unione europea (+111,87%, per una quantità superiore ai 7,31 milioni di tonnellate) e solo il 3% collocato in Italia, con 482 mila tonnellate, a grande distanza da Spagna (3,27 milioni di t) e Romania (2,24 milioni di t). Dietro l’Unione Europea fra i Paesi di destinazione si collocano la Turchia, con il 16% della quota di mercato, l’Egitto (8%), il Bangladesh (6%), l’Indonesia (3%) e il Libano (3%). L’Africa affamata, utilizzata come motivazione nella trattativa con i russi, caldeggiata dall’Onu per “ragioni umanitarie” ha ricevuto in realtà l’1% dell’export ucraino.

I prezzi dei cereali ucraini (frumento) sono molto competitivi tanto che metterebbero sotto pressione gli agricoltori di una parte dei Paesi dell’Europa centro. Le quotazioni del grano ucraino, con 147 dollari alla tonnellata, sono inferiori rispetto a Brasile (226 dollari), Argentina (235 dollari) e Stati Uniti (247 dollari) sempre prendendo in considerazione la stessa unità di misura. Anche il prezzo medio di export del grano tenero con 155 dollari alla tonnellata (il riferimento è alle quotazioni rilevate a novembre 2023, fonte: Teseo.Clal.it) è ampiamente più basso rispetto ai prezzi medi di export del frumento tenero proveniente da Unione europea (253 dollari) e Stati Uniti (304 dollari). La Commissione Ue nei giorni scorsi aveva proposto di rinnovare da giugno l’esenzione dai dazi doganali di cui godono i prodotti agricoli che entrano nella Ue. Un provvedimento che andrebbe abbinato, comunque, a “misure di salvaguardia” per limitare i volumi dei prodotti più sensibili, come uova, polli e zucchero. L’attuale regime di esenzione dai dazi doganali è valido fino a  giugno 2024 per l’Ucraina e a luglio per la Moldova, allora è probabile che le proteste riprenderanno. Come ci saranno proteste se l’Europa riprendesse in mano il dossier Mercosur, con i paesi latino americani, relativo ai prodotti agricoli e attualmente posto in standby dalle autorità europee fine mandato. A fine marzo 2024 i paesi della UE, probabilmente per evitare di alimentare ulteriori proteste dei propri agricoltori, hanno siglato un accordo restrittivo delle importazioni di merci cosiddette “sensibili”, come ad esempio   pollame, uova, zucchero, avena, mais, semole e miele, che saranno soggetti a dazi se i loro flussi supereranno i volumi medi degli ultimi tre anni. L’accordo renderà inoltre più facile per gli Stati membri applicare “misure correttive” in caso di turbolenze del mercato, un termine vago che apre la porta a divieti su base nazionale. Complessivamente, si stima che le modifiche faranno perdere a Kiev circa 330 milioni di euro all’anno.

Peso sociale e peso politico nelle proteste degli agricoltori

Abbiamo dimostrato in precedenza come in Europa, accanto a un significativo processo di concentrazione nella proprietà dei terreni ad uso agricolo, con un forte aumento della dimensione media delle aziende del settore sopravviva una pletora di aziende piccole e piccolissime con redditi marginali. Fino agli anni ’70 questo aveva prodotto una figura socialmente mista, quella dell’operaio contadino. Oggi la maggior parte del valore aggiunto del settore è prodotto da meno di ¼ delle aziende di maggiore dimensione. Il settore agricolo conta poco nell’economia complessiva della UE, il 3% del Pil. Occupa il 2% della forza lavoro. Ma ha un peso politico specifico superiore al suo peso economica perché su quel “poco” si innesta la catena di produzione di valore ed accumulazione di capitale rappresentata dall’industria agroalimentare, ma anche le entrate della Grade distribuzione organizzata (gdo ) che realizzano profitti multipli di quel piccolo valore aggiunto. Citavamo nell’introduzione Coldiretti, la cui capacità di pressione sui centri del potere, che risale al 1944, è incomparabilmente maggiore del suo peso elettorale (contrariamente, per fare un parallelo ardito, con il peso dei sindacati confederali che in teoria rappresentano un numero di elettori ben più ampio). Non si può fare questo “conto della serva”, infatti, perché socialmente gli agricoltori stanno dentro le contraddizioni della borghesia nostrana (ad esempio gli agricoltori sono sul piede di guerra contro la grande distribuzione che si prende la gran parte dei profitti), mentre i lavoratori dipendenti sono sul fronte di classe opposto.

Certo nella categoria spuria degli agricoltori ci sono anche i coltivatori diretti, ma il loro peso nella Coldiretti si limita al nome che hanno messo a disposizione.  I protagonisti delle attuali proteste, con lussuosi e costosi trattori, con i politici e i media che li coccolano, non si trovano fra i gestori delle piccole e piccolissime aziende, che al massimo fungono da massa di manovra e sono destinati ad essere stritolati nelle spire della concorrenza internazionale. Destinati cioè a subire lo stesso destino delle 5, 3 milioni di aziende agricole europee che hanno chiuso i battenti dal 2005 al 2022 (dati ISPI), tutti appartenenti alle proprietà inferiori ai 5 ettari. Abbiamo sottolineato che l’agricoltura si prende una quota sproporzionata di risorse, ma a questo va aggiunto che metà dei contributi europei finisce nelle tasche del dieci per cento degli imprenditori agricoli più ricchi. Mentre solo il sei per cento dei soldi viene distribuito al 50% degli agricoltori, quelli più poveri».

Un’ultima nota. Nelle proteste degli agricoltori non c’è stato alcun spazio, nemmeno fra le fila degli “agricoltori traditi” di Calvani, per una categoria importante che lavora nella terra, cioè i braccianti, più di un milione nel 2022, nelle cui fila gli immigrati costituiscono il 15% del totale. A ribadire il carattere borghese di quella protesta, umanamente comprensibile, ma politicamente inutilizzabile per noi.

Questo articolo vuole solo fornire alcuni spunti di riflessione su una vicenda che ha occupato, schermi televisivi e pagine di giornali, distraendo opportunamente l’attenzione da impegni bellici dell’Italia e decisioni fiscali, mettendo in sordina le tematiche ambientaliste. Ci riserviamo di approfondire ulteriormente.


[1] Per chi volesse approfondire, grafici e specifiche nazionali sono riportati in dettaglio nell’appendice – seguire le lettere, su questo tema vedi a).

****

APPENDICE

https://www.pianetapsr.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2866#:~:text=Le%20dimensioni%20medie%20delle%20aziende,del%20%2B31%2C20%25.

A) il grafico mostra paese per paese la variazione percentuale delle aziende agricole in Europa nel decennio 2010-20. (Figura 1)

.

b) L’andamento della superficie paese per paese è la seguente: in Grecia (-25,55%), Malta (-18,62%), Austria (-17,95%), Finlandia (-15,12%) e Romania (-12,16%) si hanno le variazioni negative maggiori, al contrario, in Portogallo (8,76%), Croazia (6,79%), Cipro (6,17%), Danimarca (5,01%), Lituania (2,74%) e Lussemburgo (0,36%) si ottengono variazioni positive. Attualmente la superficie agricola del nostro Paese è pari a 16.462.350 ettari (era 17.081.100 ettari nel 2010).

Figura 2

c) Rispetto alla SAT, nel decennio in esame la SAU ha avuto una diminuzione più contenuta in Europa (-0,97%) e ha interessato meno Paesi. Le variazioni più significative hanno riguardato la Grecia (-24,35%), Malta (-14,41%) e l’Austria (-9,57%). Di contro 14 Paesi su 27 registrano un incremento della SAU. Gli aumenti maggiori sono presenti a Cipro (13,29%), Croazia (11,82%), Lettonia (9,61%), Portogallo (8,06%), Lituania (6,27%), Ungheria (5,02%) e Polonia (2,33%).
Nel nostro Paese la SAU passa da 12.856.050 ettari del 2010 agli attuali 12.523.540 ettari.

Figura 3

d) Figura 4

e) Osservando la distribuzione delle diverse superfici, dal confronto dei dati censiti emerge che in Europa si assiste ad una netta diminuzione delle aree boschive e della superficie a prati permanenti (rispettivamente di -18,33% e -3,96), mentre aumenta la superficie a colture permanenti (4,43%) e a seminativi (0,12%) anche se di poco (Figura 5). Anche in questo caso, le variazioni registrate presentano segno diverso a seconda dei Paesi considerati. Mentre, infatti, molti Paesi europei sono interessati da una variazione negativa della superficie a bosco molto consistente, con diminuzioni che superano anche il 40% (Belgio, Bulgaria, Grecia, Spagna, Cipro, Lituania, Olanda, Romania). In altri Paesi la superficie boscata, invece, aumenta, come ad esempio in Francia (26,16%), Portogallo (14,71%) e Danimarca (10,09%).

Figura 5b Variazione della dimensione media delle aziende agricole in Europa, 2010-2020

Per quanto concerne la superficie investita a prati permanenti, in alcuni Paesi essa si riduce, come in Grecia (-35,99%), Finlandia (-32,20%), Romania (-17,37%), Austria (-15,94%), Italia (-8,74%). Al contrario, essa aumenta e di molto in Croazia (59,05%), e meno in Portogallo (14,90%), Danimarca (13,99%) e Francia (10,36%). Le superfici a seminativo aumentano intorno al 10% in Irlanda, Cipro, Lettonia e diminuiscono in Grecia, Francia, Malta, Portogallo meno del 20%. Le superfici a colture permanenti aumentano in Irlanda (80,41%), Svezia (40%), Estonia (32,05%), Lituania (24,83%), Portogallo (24,60%). Variazioni di un certo rilievo in diminuzione si hanno solo a Malta (-24%). (Figura 6)

g)

Tabella 1

Tabella 2

Tabella 4 e Figura 4

Il quadro finanziario pluriennale 2014-2020 è stato approvato nel 2013. Il  regolamento (UE, Euratom) n. 1311/2013 ha determinato la spesa agricola per il periodo 2014-2020, per un totale di 408,313 miliardi di EUR (71,3 % per i pagamenti diretti, 24,4 % per lo sviluppo rurale e 4,3 % per le misure sui mercati).

Nel dicembre 2020 i colegislatori hanno approvato il regolamento (UE, Euratom) 2020/2093 che stabilisce il quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Di conseguenza, 378 532,3 milioni di EUR (a prezzi correnti) sono stati messi a disposizione dei beneficiari della PAC a partire dal 1º gennaio 2021, il che rappresenta il 31 % del bilancio totale dell’Unione (vedasi tabella riportata di seguito). Le misure di sviluppo rurale della PAC beneficeranno delle risorse aggiuntive del programma Next Generation EU (NGEU) per finanziare la ripresa economica e sociale a seguito della crisi della COVID-19 (8 070,5 milioni di EUR). L’importo totale degli impegni della PAC per il periodo 2021-2027 è dunque fissato a 386 602,8 milioni di EUR. https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/106/il-finanziamento-della-pac

BILANCIO DELLA PAC PER L’UE-27 (stanziamenti di impegno – milioni di EUR a prezzi correnti)(A)
Anno 2021
(B)
Quadro finanziario pluriennale
2021-2027 (QFP)
 
% (B)
 
1) 1º PILASTRO DELLA PAC
Pagamenti diretti (PD) e misure sui mercati agricoli
 
40 368,0
 
290 534,0
 
76,8 %
2) 2º PILASTRO DELLA PAC
2.a) Misure di sviluppo rurale (SR) a titolo del QFP
2.b) Ulteriori misure di sviluppo rurale nel quadro di NGEU (strumento temporaneo per la ripresa)
 
15 345,0
 
2 387,7
 
87 998,3
 
8 070,5
 
23,2 %
 

 
3) TOTALE PAC 2021-2027, UE-27 [1) + 2.a)]55 713,0378 532,3100 %
4) TOTALE IMPEGNI UE168 496,01 221 719,5
5) % della PAC [3) / 4)]33,1 %31,0 %
6) TOTALE PAC: QFP 2021-2027 + NGEU 2021-2022 [1) + 2.a) + 2.b)]58 100,7386 602,8
7) TOTALE QFP 2021-2027 + NGEU 2021-2022333 108,91 642 788,7
8) % della PAC [5) / 6)]17,4 %23,5 %

TABELLA: SPESA PAC PER STATO MEMBRO (UE-27, 2021)

Ripartizione per Stato membro
Aiuti diretti/mercati e altre misure 2021/sviluppo rurale 2021 (milioni di EUR)
Stato membroa. Aiuti diretti
(1º pilastro – FEAGA)
b. Totale
1º pilastro – FEAGA
(incl. a.)
c. Totale
FEASR
(2º pilastro)
(b + c)
% del totale UE
BE498,6557,383,21,17 %
BG843,2867,9354,62,25 %
HR347,7360,7382,11,36 %
CZ852,3869,4357,12,25 %
DK798,5808,2116,71,7 %
DE4 615,14 739,81 354,011,2 %
EE165,4167,191,60,47 %
EL1 990,92 232,6635,85,3 %
ES5 055,05 666,81 149,312,5 %
FR6 807,77 372,21 913,117,1 %
IE1 180,71 190,6343,32,8 %
IT3 552,34 241,71 470,810,5 %
CY47,352,7122,20,14 %
LV294,7297,1124,00,77 %
LT510,2514,7188,91,3 %
LU34,334,915,410,1 %
HU1 276,61 310,4576,53,5 %
MT5,15,214,90,04 %
NL651,3703,1163,11,6 %
AT683,3707,3580,72,37 %
PL3 319,73 351,31 4198,8 %
PT756,4860,9393,72,3 %
RO1 885,21 953,01 215,15,8 %
SI132,5139,5119,10,5 %
SK384,7395,8138,91,0 %
FI517,3526,0388,31,7 %
SE673,0686,3319,71,85 %
EU0,0164,20,00,3 %
EU-2737 878,840 776,514 566,4

Superficie media azienda agricola USA

https://www.clal.it/?section=consegne_stati_usa