Per un’azione internazionalista contro la guerra d’Ucraina (2)

Pubblichiamo la seconda parte del nostro contributo sulla questione ucraina.

Su questo sito sono già state pubblicate:
– prima parte: Un passato che è presente
– terza parte: Per un intervento internazionalista contro la guerra

II. Ucraina – I nuovi torbidi e la guerra

Il decennio 2004-13 può essere definito un periodo dei torbidi, in cui le fazioni filorussa e filo-europea della borghesia ucraina, appoggiate dagli imperialismi di riferimento, si scontrano con colpi di palazzo (incluso avvelenamento di Yushenko), mobilitazione della piazza, conflitti tra organi istituzionali. Yanukovich, ex governatore della provincia di Donetsk, vince e poi perde (dopo l’accusa di brogli) l’elezione presidenziale del 2004, a vantaggio del filo-europeo Yushenko, ma conquista la presidenza nel 2010. Nel 2013 straccia il trattato per il percorso di adesione alla UE, che aveva prima accettato come compromesso, e i filo-europei scatenano la piazza (Euromaidan), che mobilita centinaia di migliaia di persone, soprattutto giovani, compresi gruppi minoritari di ispirazione nazista e con la benedizione della Chiesa ortodossa ucraina. La dura repressione da parte dei reparti speciali non riesce a spegnere le proteste di massa, e il confronto si conclude con la fuga in Russia di Yanukovich e l’elezione alla presidenza di un filo-europeo, l’oligarca del cioccolato Petro Poroshenko.

Non ritenendo che la storia sia determinata dal diritto costituzionale delle nazioni, non mi appassiona la discussione se si sia trattato di un golpe o di un’insurrezione. Sta di fatto che le frazioni filo-europee con “Euromaidan” prendono definitivamente il sopravento all’interno della borghesia ucraina, creando un consenso di massa intorno a questo orientamento, un movimento ampio e composito, che ha radicalizzato una generazione. Pressoché assenti purtroppo sono le posizioni internazionaliste che contrappongono uno schieramento di classe e internazionalista all’allineamento con gli schieramenti imperialisti. Il governo Poroshenko ha bandito il russo dalla pubblica amministrazione e dall’istruzione: una forma di oppressione delle minoranze russofone delle regioni orientali, come avvenuto anche per quelle magiare ad ovest.

È proprio la presa d’atto di questa ormai irrimediabile perdita che nel 2014 spinge il Cremlino al confronto militare con l’Ucraina, risultato nell’annessione della Crimea e nella secessione di parte del Donbas. In questa prima guerra russo-ucraina emergono formazioni ultra-nazionaliste da parte ucraina, come la brigata Azov e il Settore Destro, con ideologie naziste. Da parte russa gruppi ultranazionalisti: oltre ai partiti “Comunista” di Zyuganov e “liberaldemocratico” di Zhirinovsky, anche gruppi paramilitari meno noti come quello finanziato dal monarco-ortodosso Konstantin Malofeev[i] (sostenitore di Putin). D’altra parte Putin è il maggior finanziatore dei movimenti populisti di destra europei, dalla Lega alla LePen, e sull’Ucraina ha trovato sostegno da parte del movimento nazionalista tedesco AfD, mentre i movimenti fascisti dichiarati in Italia si sono divisi tra Putin (Forza Nuova) e Ucraina (Casa Pound). Chi cerca di motivare con ideologie di sinistra il proprio schieramento pro-Putin dovrebbe evitare di spacciarlo per antifascista. Entrambi i nazionalismi, russo e ucraino, pullulano di gruppi fascisti, che trovano appoggi in entrambi gli stati.

Il consenso europeista era stato favorito nel 2014 da 4 anni di ripresa seguiti alla crisi del 2009, che videro un miglioramento del tenore di vita. Ma la guerra e la perdita di parte del Donbas hanno provocato una nuova recessione, con il Fondo Monetario che si “offrì” di venire in aiuto con un piano di finanziamenti per 17 miliardi di dollari in cambio di una ulteriore liberalizzazione, e di misure anti-corruzione (solo 7 miliardi sono poi stati erogati perché il Parlamento non ha varato le misure anti-corruzione…).

A partire da una struttura economica fortemente integrata con quella russa, le dinamiche del mercato hanno progressivamente allentato questo legame, facendo crescere i rapporti con il resto del mondo, e in particolare con l’Unione Europea, il cui mercato è tra 5 e 10 volte quello russo (a seconda che si misuri a parità di potere d’acquisto o al cambio corrente), e con la Cina. La guerra del 2014 per il Donbas ha inoltre provocato l’erezione di barriere commerciali con la Russia, che da un livello di parità con la UE nel 2020 è scesa al quarto posto tra i partner commerciali con il 7% del commercio ucraino, alla pari con Polonia e Germania, mentre al primo posto è la Cina con il 15%. Se consideriamo la UE nel suo complesso, essa è di gran lunga il maggior partner commerciale dell’Ucraina, con il 40% dell’import + export nel 2019. A ciò si aggiungono i legami finanziari, anche se la precarietà geopolitica dell’Ucraina spinge i capitali internazionali alla prudenza rispetto agli investimenti diretti.

L’Ucraina si è quindi andata integrando economicamente con l’Europa e disintegrando dalla Russia. La separazione della parte orientale del Donbas ha privato la Russia della principale leva di influenza nella politica Ucraina. Dopo 30 anni dall’indipendenza l’Ucraina, la maggiore delle repubbliche federate con la Russia nell’URSS, era quindi ormai persa all’influenza dell’imperialismo russo, anche se formalmente ancora parte della CSI. Per la Russia, una perdita enorme, vissuta dai suoi vertici come il tradimento dei “piccoli russi”, come teorizzato nel discorso di Putin del 21 febbraio, in cui accusa Lenin di aver concesso all’Ucraina non solo la dignità di repubblica indipendente, ma anche il diritto di separazione dall’Unione. Gli ucraini, ha più volte ribadito Putin, sono (piccoli) russi, parte della nazione russa, l’Ucraina è parte integrante della Russia, non può essere una nazione sovrana. Per ristabilire questa “giustizia storica” violata dai bolscevichi, esauriti i tentativi di influenza politica, privo di strumenti economici di “convincimento” in grado di controbilanciare quelli dell’Europa, Putin ha giocato l’unico, decisivo strumento che vede la Russia in superiorità, quello militare.

Non solo la sua spesa militare è pari al 3,9% del PIL, rispetto al 3,4% degli USA – con la piccola differenza che il PIL USA è circa 10 volte quello russo – e all’1-2% dei paesi europei (che riarmeranno al 2%) ma la Russia eredita dall’URSS migliaia di testate nucleari e un enorme armamento di terra, aereo e marittimo, oltre che spaziale, per cui le sue forze armate sono tuttora valutate seconde solo agli Stati Uniti. In particolare, la Russia dispone di 13 mila carri armati (22 mila secondo altre fonti), più del doppio degli USA (che però hanno più veicoli blindati, e il triplo aerei rispetto ai 3 mila della Russia). In confronto, Germania, Francia, Italia hanno solo qualche centinaio di carri, la  Polonia 900, e la Grecia ben 1300, per contrapporsi alla “alleata” Turchia). L’Ucraina ha un decimo della spesa militare (e del PIL) della Russia, e nel calcolo a tavolino il governo ucraino poteva essere fatto cadere nel giro di qualche settimana, se non di giorni. La forza aerea russa era superiore di 40-50 volte, e anche in quella navale non c’è confronto, anche se i russi non avrebbero dovuto sottovalutare i 2.600 carri armati ucraini (quanto al nucleare, nel 1994 l’Ucraina aveva ceduto il suo “rispettabile” arsenale di 3 mila testate alla Russia, in cambio… della garanzia dell’integrità territoriale).

Errori di calcolo?

Ammassando in più di 6 mesi quasi 200 mila uomini con migliaia di carri ai confini dell’Ucraina, Putin inizialmente enunciava la richiesta che l’Ucraina rinunciasse ad entrare nella Nato e nella UE, lamentando l’espansione della Nato a gran parte dei paesi dell’Europa dell’Est, inclusi i Baltici, ex URSS. Nell’imminenza dell’offensiva alzava la posta, riconoscendo le repubbliche del Donbas, e affermando nel suo discorso programmatico che l’Ucraina era parte della Russia. Il suo obiettivo “massimo” era quindi una forma di annessione dell’Ucraina (che poteva anche avvenire nella forma di un trattato di tipo federativo, una volta insediato un governo “amico”, “denazificato” nel gergo putiniano). L’obiettivo minimo era l’annessione delle autoproclamate repubbliche del Donbas, ma tale obiettivo non avrebbe giustificato una guerra, dato che erano già sotto il controllo militare dei filorussi. L’invasione è scattata il 24 febbraio da Nord, da Est e Sudest. Data la sproporzione di forze, molti ipotizzavano una guerra-lampo, con la caduta del governo Zelensky. Che fosse questo l’obiettivo iniziale di Putin lo testimonia il suo appello, il giorno dopo l’attacco, ai capi militari ucraini perché deponessero Zelensky e trattassero direttamente coi russi. Come lo testimonia l’incursione di una squadra speciale verso i palazzi del potere di Kiev nei primi giorni, ritenendo possibile la caduta del governo, verosimilmente con complicità interne. Quella squadra sarebbe stata annientata, come un’analoga squadra che aveva fatto un’incursione in Kharkiv. L’offensiva si è quindi trasformata in un tentativo di assedio a Kiev e Kharkiv, mentre ad Est e da Sud veniva sferrata un’offensiva di conquista di territori, che dopo 36 giorni si è tradotta in un significativo avanzamento da Nord, ma senza riuscire a circondare le due maggiori città, e a Sud dalle coste del Mar d’Azof e del  Mar Nero con la conquista di Kherson, con Mariupol che ancora resiste dopo oltre un mese di assedio. Nel Donbas le truppe russe sono avanzate di qualche decina di km, con circa metà della regione ancora in mani ucraine. Da “operazione speciale” la guerra è diventata una guerra di posizione al Nord e all’Est, mentre anche a Sud l’impeto iniziale si è smorzato di fronte a una resistenza tenace. Se le dichiarazioni ufficiali russe hanno un senso, significano che il governo russo ha rinunciato all’obiettivo massimo, il cambio di governo, e punta a conquiste territoriali: quali? Seguire la linea del fronte.

Nelle sue equazioni Putin ha verosimilmente mal calcolato e sottovalutato:

  • La tenuta del governo e dei militari ucraini nello scontro coi russi. L’appello ai militari ucraini perché deponessero Zelensky è caduto nel vuoto totale. Nessuna crepa è emersa tra le gerarchie militari, evidentemente formate al nazionalismo ucraino nell’ultimo trentennio, e schierate nel campo Nato (le forze armate ucraine hanno preso parte a missioni al seguito degli USA, compreso l’Iraq a fianco dei polacchi, e dell’ONU, nei Balcani, in Medio Oriente e in Africa);
  • L’atteggiamento della popolazione è generalmente ostile: nessuno sentiva il bisogno di essere “liberato dai nazisti”. Abbiamo i video di decine di manifestazioni anti-russe nelle città occupate; se ce ne fosse anche solo uno in cui i russi sono accolti come liberatori sarebbe divenuto virale sui social filorussi. Il “fattore morale” è di conseguenza dalla parte degli ucraini che si difendono contro l’invasore, mentre quello delle truppe russe, con migliaia di morti,  appare alquanto basso soprattutto tra le reclute che pensavano di andare a un’esercitazione. Non siamo purtroppo ancora alla fraternizzazione, ed episodi di crudeltà sui prigionieri russi non aiutano.
  • La guerra, anziché allargare il divario tra Germania e Stati Uniti sul gasdotto Nord Stream 2 e sugli stretti rapporti economici con la Russia, ha spinto la Germania a sospendere sine die il gasdotto e addirittura (con l’Italia) a fare piani per sganciarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia, acconsentendo ad acquistare dagli USA il più costoso GNL (da rigassificare); esattamente l’opposto di quanto si proponeva Putin. La guerra è anche, ora in sordina ora con qualche sbottio, un braccio di ferro tra americani ed europei, soprattutto tedeschi. Più c’è tensione con la Russia, questo è sempre stato il gioco americano dal 1948, più gli europei devono ripararsi sotto l’ombrello americano rinunciando alle velleità di giocare in proprio. La “concessione” russa al tavolo delle trattative, dell’ingresso dell’Ucraina nella UE a fronte della rinuncia alla Nato, oltre che ammissione della sconfitta sul terreno economico è il tentativo di aprire una contraddizione tra europei e americani.
  • Putin ha probabilmente sottovalutato l’entità delle sanzioni, varate non solo dagli USA ma anche dall’Europa, tese ad escludere la Russia dai circuiti finanziari internazionali e privarli delle riserve in dollari, oltre che dalle forniture di materiali strategici; oltre ad esse, il ritiro di grandi gruppi internazionali dal mercato russo (oltre al blocco dei beni esteri degli oligarchi russi). Data l’integrazione finanziaria e commerciale del capitalismo russo con quello occidentale, questo blocco se protratto nel tempo rischia di soffocare l’economia russa;
  • probabilmente Putin, che non aveva anticipato l’imminente “operazione speciale” a Xi Jinping, aveva fatto conto sul pieno sostegno economico della Cina contro le sanzioni, mentre fino ad oggi la Cina ha evitato di vanificare le sanzioni Nato soccorrendo la Russia. La Asian Infrastructure Invesment Bank, controllata dai cinesi, ha sospeso la Russia divenuta inaffidabile a seguito delle sanzioni.  Il commercio della Cina con la Russia vale un settimo di quello con gli Stati Uniti o con la UE, e per Pechino non è il caso di spezzare i già delicati rapporti con questi due blocchi per cavare le castagne dal fuoco a Putin, che comunque proprio per la rottura con gli europei non ha alternative al patronage di Pechino. La posizione più conveniente per la Cina è l’equidistanza super partes ed eventualmente la mediazione. La Cina d’altra parte, oltre ad essere il primo partner commerciale dell’Ucraina, acquista anche una buona metà del suo export di armi;
  • Altro fattore che viene a incidere sulla guerra, le enormi forniture di armi al governo ucraino da parte degli USA (siamo a 1,8 miliardi di dollari), della Gran Bretagna e dei paesi europei, comprese la Germania e l’Italia che inizialmente si erano astenute dall’invio, e 500 milioni direttamente stanziati dalla UE. Queste armi, di cui non è chiaro in quale misura siano già sul terreno in Ucraina, possono cambiare l’equilibrio militare con la distruzione di un gran numero di carri armati, e potenzialmente di velivoli russi. Per quanto imponente sia il complesso militare industriale russo, non può certo confrontarsi con i concorrenti riuniti dei paesi Nato, che hanno un’occasione di logorare le forze armate russe usando i soldati ucraini come carne da cannone;

Riarmo tedesco ed europeo

  • Putin infine – e questo è probabilmente il fattore più rilevante sul medio periodo – non ha messo in conto il fatto che la sua guerra avrebbe ridestato il fantasma del riarmo tedesco: un piano da 100 miliardi di euro (più di un anno e mezzo di spesa militare russa) più l’aumento del 50% della spesa militare, oltre il 2% del PIL. Per quanto sottodimensionato sia attualmente l’armamento tedesco, l’industria meccanica tedesca è dieci volte quella russa…

Quale direzione prenderà questo riarmo, è presto per saperlo. Il riarmo della Germania e di tutti i paesi europei (anche l’Italia sta decidendo un aumento del 50%, la Polonia addirittura il raddoppio) contiene l’ambiguità dichiarata di essere al tempo stesso un riarmo nazionale, Nato, europeo: quale di queste dimensioni prevarrà? Sarà il riarmo della Germania nel confronto non solo con Russia e USA, ma anche con i partner europei? Sarà quel che chiedeva il ritornello americano, di aumentare il contributo europeo alle spese Nato, a maggior gloria degli USA? O sarà l’avvio di una più stretta integrazione delle industrie belliche d’Europa per confrontarsi alla pari con gli USA e la futura superpotenza cinese? Bipolarismo o tripolarismo? La questione dell’armamento europeo è sul tavolo dal 1952, quando l’Assemblea francese bocciò il progetto di Difesa comune europea. Per 70 anni le rivalità tra gli imperialismi hanno favorito la subalternità militare agli USA tramite la Nato. Può l’azzardo di Putin avere provocato una reazione a catena che rompa quella coazione a ripetere? Nostro compito non è fare gli indovini, ma opporci a questo riarmo, a partire da quello di casa nostra: qualsiasi sia la sua direzione geopolitica si tratta di preparare le guerre imperialiste, i massacri e le distruzioni del futuro.

RL


[i] Vedi https://en.wikipedia.org/wiki/Konstantin_Malofeev

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