Proponiamo la lettura di questa breve riscostruzione della complessa storia sociale dell’Etiopia, a complemento dell’articolo riguardante l’attualità: “Guerra di classi in Etiopia”, https://www.combat-coc.org/guerra-di-classi-in-etiopia/
Axum
Fra il 4° sec. A.C. e il 7° d.C. al nord dell’Etiopia si formò e crebbe l’impero di Axum (una città del Tigray), che aderì dal 4° sec. d.C. al cristianesimo (i testi sacri erano scritti in ge’ez, una lingua semita antenata dell’amarico e del tigrino, ed è usata tuttora dalla Chiesa ortodossa etiopica), tanto che sulla sua moneta campeggiava una croce. Questo stato controllava le vie commerciali che collegavano il Mediterraneo all’India attraverso il Nilo. Aveva infatti un porto in Eritrea, Adulis. Nel III secolo d.C. l’impero controllava parti meridionali dell’Arabia e dell’attuale Yemen, il sud dell’Egitto e del Sudan, l’Eritrea attuale e Gibuti, parti della Somalia, trasformandoli in stati tributari. Axum aveva un suo alfabeto, usava il marmo negli edifici e produceva raffinati tessuti e vasellame pregiato (il vetro invece era importato da Roma) batteva monete in oro e argento. La moneta semplificava gli scambi, ma rappresentava anche l’importanza politica dell’impero, considerato alla pari di Roma e Bisanzio, era quindi uno strumento di propaganda. Creò obelischi giganteschi. Le città axumite erano cosmopolite, vi soggiornavano mercanti greci, romani, minoranze ebree, mussulmane e buddiste. Come tutte le società antiche era una società schiavista. Le spedizioni per accaparrarsi gli schiavi sudanesi, oromo o somali erano frequenti, come quelle per trovare avorio e metalli, oppure per razziare il bestiame. D’altro canto sembra probabile che le tecniche della lavorazione del ferro si diffusero da Axum nelle aree più interne.
Il “medioevo” etiope
Isolato dai porti del mar Rosso, man mano conquistati dai mussulmani, il regno di Axum arretrò geograficamente via via che cresceva l’influenza dell’Islam, che convertì le regioni a nord del Corno d’Africa. Axum venne sconfitta nel 950 da un nemico non ben identificato. Il regno ne fu notevolmente ridimensionato, iniziò la decadenza. Intorno al 1130 una nuova dinastia spostò il baricentro dell’impero più a sud. Il nuovo impero aveva la capitale dove oggi c’è Lilibela.
Nel 1270 una terza dinastia, appartenente al gruppo amhara, riprende la politica espansiva propria di Axum. Quando parliamo di amhara intendiamo la stretta cerchia intono alla corte e alla Chiesa etiope, il re e i suoi sodali. Fra tutti i gruppi “etnici” quello amhara è in realtà definito dalla lingua, mentre è molto misto sul piano etnico. Per autolegittimarsi i re (negus) ostentano una discendenza diretta dal mitico Menelik I, figlio di re Salomone e della regina di Saba.
Questa nuova dinastia “salomonica” sconfisse il sultanato di Adal[1] (il ras di Adal si era convertito all’Islam nell’800 circa dopo l’insediamento di una dinastia somala). L’Adal garantì il controllo di un nuovo porto (Zeyla) e delle rotte commerciali dirette nell’Egitto mussulmano. In questo modo l’impero fu di nuovo coinvolto in prima persona nel commercio del mar Rosso. Tra gli “oggetti” del commercio dobbiamo annoverare gli schiavi, molto richiesti negli arem e negli eserciti degli stati islamici limitrofi, ma utilizzati anche nell’agricoltura. Ma anche metalli, manufatti e il caffè che da quel momento sarà una delle fonti più redditizie fonti di entrate.
Nell’impero amhara la classe dominante era rappresentata da una nobiltà fondiaria e dai monasteri anch’essi proprietari di grandi latifondi. La Chiesa etiope fu fin dall’inizio del tutto indipendente da Roma e Costantinopoli. Il sovrano era a capo di questa Chiesa e di fatto comandava sul clero secolare. I monaci erano stati d’altronde legati alla monarchia dalla concessione di ampi latifondi, esenti da tasse. La Chiesa etiope svolgeva una intensa attività missionaria fuori dei confini del regno. Come nell’impero carolingio i religiosi costituirono per lungo tempo la struttura amministrativa portante. È interessante il fatto che questa chiesa celebrava la festa il sabato, praticava la circoncisione ed evitava la carne di maiale. I vescovi venivano inviati dalla Chiesa copta di Alessandria.
I sovrani, la loro famiglia e la guardia reale erano itineranti, come i re carolingi. Vivevano spesso in accampamenti, mantenuti dai contadini e dai ras delle singole località dove si stabilivano. Nobili e abati dei monasteri si resero nel tempo indipendenti dall’imperatore e prosperarono. Fiorirono piccoli regni ognuno con il suo ras, che spesso rifiutava i tributi al sovrano (tasse e soldati). Come già detto il fenomeno fu favorito sia dalla struttura sociale del paese, ma anche dalla sua conformazione geografica, con i numerosi altipiani divisi da canaloni e canyon, tanto da trasformarli in fortezze naturali. Privo delle sue entrate fiscali, l’imperatore non fu più in grado di esprimere una forza militare adeguata ad affrontare i sultanati limitrofi. I rapporti con l’islam furono peraltro pacifici, almeno fino al 1517.
Infatti gli ottomani avevano conquistato l’Egitto nel 1517 e arruolarono gli stati islamici per una spedizione contro l’impero amhara, guidata dall’imam Al-Ghadi detto il Mancino, che partì, con truppe somale e dankale, dal regno di Adal, riconquistato nel 1527. Fu gioco forza per la monarchia etiope chiedere aiuto militare ai portoghesi che nel 1520 erano sbarcati a Massaua. Gli etiopi non avevano le armi moderne a disposizine degli ottomani e non potevano ottenerne perché dipendevano dai mercanti arabi. Il tramite fu la Chiesa etiope (nel periodo 1439-41 una sua delegazione aveva preso parte al concilio cattolico di Ferrara Firenze). I mussulmani d’altra parte erano armati e foraggiati dall’impero ottomano. Nonostante la presenza dei moschettieri portoghesi, gli abissini furono sconfitti nel 1542.
Tuttavia la riscossa avvenne nel 1543, grazie a un più cospicuo aiuto dei portoghesi (300 soldati forniti di armi da fuoco). Al-Ghani morì in battaglia, ma tutto il regno era devastato dal 15 anni di guerra. Fra l’altro chiese e città erano state date alle fiamme e tutta la letteratura e i documenti dell’epoca precedente andarono perduti. La monarchia estremamente indebolita. Questo vuoto di potere fu l’occasione per il Tigray di rendersi indipendente. Da questo momento le due lingue ufficiali, il tigrino e l’amhara cominciarono a differenziarsi.
L’indebolimento degli Amhara diede l’opportunità anche ai nomadi Oromo del sud est di invadere l’altipiano. Va tenuto conto della tradizionale concorrenza rispetto agli spazi fra gli agricoltori stanziali sull’altipiano e i pastori in continua ricerca di pascoli più verdeggianti. Ma anche del desiderio di rivincita di popolazioni depredate dei loro giovani dalla tratta degli schiavi, che prosperava per le continue richieste di manodopera servile nei sultanati islamici. Si calcola che tra il 650 e il XIX secolo nove milioni di schiavi africani furono deportati in direzione dell’Arabia e delle regioni limitrofe. Altri schiavi servivano nell’impero ahmara, dove tuttavia la schiavitù non era ereditaria, cioè il figlio dello schiavo non era schiavo a sua volta. La tratta era gestita da mercanti arabi, ma anche da africani dell’altopiano, cui si affiancarono i portoghesi. Infine gli Oromo si erano islamizzati alcuni decenni prima.
Osserviamo come questi eventi vedono sia gli Ottomani che una potenza coloniale europea interferire nella storia del Corno d’Africa. L’imperatore non accettò la sottomissione della Chiesa etiope a quella di Roma, ma accettò la presenza dei gesuiti, che convertirono circa 40 mila persone e introdussero tecniche di costruzione più moderne, ad es. per ponti ed edifici.
Solo alla fine del ‘500 gli Oromo furono sconfitti e per meglio dominarli l’imperatore ahmara offrì ai guerrieri oromo di diventare ufficiali del loro esercito, dietro ricchi compensi, mentre ridusse schiavi o servi i pastori fatti prigionieri, utilizzandoli poi nell’agricoltura. Ogni volta che una guerra veniva combattuta e vinta, le terre conquistate venivano spartite fra gli aristocratici che in quanto capi militari avevano combattuto col re. Ma oltre alle terre si spartivano anche gli schiavi o servi che dir si voglia. Questa élite dominante era definita “amhara”. Parola che all’epoca non aveva un significato etnico, quanto sociale (voleva dire “nobile”, importante ecc.). Secondo molti studiosi questo termine che significava “compagni d’arme del re” passò in seguito a indicare una regione in cui il re si era insediato, cioè l’attuale regione che porta questo nome… Ai primi del ‘600 la monarchia accettò una effimera unione con la Chiesa cattolica e aprì ai missionari portoghesi. L’ostilità della popolazione, ma anche della nobiltà, gelosa della sua chiesa indipendente, portò alla cacciata di europei e gesuiti nel 1633 e alla proibizione estesa a tutti gli europei di entrare nel regno. Inizia così una nuova fase. La capitale è fissata a Gondar, a nord del lago Tana, una città costellata da castelli e chiese (e capitale fino al 1886). Alla fine del ’600 la città, centro agricolo e commerciale insieme, aveva il doppio degli abitanti di Istanbul. Il sovrano aveva abbandonato la tradizione itinerante dei negus precedenti. Questo isolò la monarchia dal resto del paese. Dall’impero erano indipendenti sia il Tigray che lo Shoa (una regione storica che corrisponde oggi alla Regione di Addis Abeba, abitata sia da ahmara che da oromo). Lo Shoa segnava il confine sud dell’impero etiope. L’impero amhara fu etnicamente molto misto, l’elemento unificante fu la lingua amarica, le tradizioni religiose (il cristianesimo) e l’aver espresso per secoli la classe dirigente, nobilitata dalle pretese origini bibliche (il re Salomone) oltre che l’aver difeso l’indipendenza del paese dagli attacchi degli ottomani e dalle pressioni dei portoghesi.
Per un paio di secolo, isolata dal resto del mondo, l’Etiopia tornò ad essere una monarchia sempre più debole, con lo spezzettamento del territorio in piccoli domini, ognuno con suo ras locale. I ras, arroccati nei loro castelli, erano spesso in guerra fra loro, questo danneggiava i commerci, basati sull’export di rame, oro, manufatti tessili e di cuoio. L’attività economica si ridusse via via in molte aree ad una agricoltura di sussistenza. Nel frattempo la corte divenne un vuoto simulacro spesso dominato dai generali oromo, gli unici che avevano un potere militare reale. La nobiltà tigrina, la più vicina ai porti, nel corso della prima parte dell’800, acquista un significativo arsenale militare. Una società antischiavista dell’epoca calcola che nell’Etiopia del 1830 su circa 12 milioni di abitanti, 2 milioni fossero schiavi. Fra il 650 d.C. e il 1800 gli schiavi deportati fuori dall’Africa dai mercanti africani e arabi furono circa 9 milioni, la metà comunque di quanti gli schiavisti europei trasportarono attraverso l’Atlantico.
Nel 1855 un notabile del Tigray, conquistò il seggio imperiale col nome di Teodoro II (1855-68), tentò di riunire gli spezzoni dell’impero, di modernizzarne l’amministrazione e ridurre l’indipendenza dei feudatari riottosi, cui confiscò i latifondi. Fu sconfitto dagli inglesi che lo consideravano un ostacolo sulla via di costituire un protettorato in Somalia, che assumeva grande importanza dopo l’apertura del canale di Suez. Più che per la loro superiorità militare, del tutto evidente, gli inglesi istigarono alla defezione i ras del Tigray, dello Shoa e di Lasta. Anche la Chieda gli tolse il suo appoggio dopo che aveva confiscato anche le proprietà di molti monasteri. Teodoro si suicidò. La sua capitale Magdala fu incendiata e distrutta. Un altro aristocratico del Tigray Giovanni IV (1872-89), che aveva appoggiato gli inglesi contro Teodoro, divenne negus con lo stesso programma di unificare il paese. Gli inglesi lo rifornirono di armi da fuoco moderne gli mandarono istruttori per le sue truppe. Contemporaneamente gli inglesi armarono e addestrarono le truppe del suo principale concorrente al trono. Giovanni IV respinse il tentativo dell’Egitto di occupare l’Eritrea (gli egiziani avevano istruttori europei e nordamericani) e sconfisse gli italiani a Dogali1887), ma non poté impedire che prendessero possesso di Massaua (1885). Trovò la morte in una battaglia contro i dervisci del Sudan, che avevano saccheggiato Gondar e bruciato le sue chiese.
Alla sua morte, il Tigray fu sconvolto dalle lotte intestine dei vari aristocratici che aspiravano a proporre il nuovo negus. Di questo approfittò Menelik dello Shoa, un amhara. Durante le guerre di Giovanni IV, Menelik aveva rifiutato le proposte degli inglesi e degli egiziani di tradire il sovrano. Ma quando si trovò in competizione col figlio di Giovanni per il trono, entrambi chiesero l’arbitrato italiano. L’Italia favorì Menelik che annesse allo Shoa il Tigray e il territorio degli amhara (il suo regno corrispondeva all’incirca con il territorio attuale dell’Etiopia). Diventato imperatore nel 1889 Menelik ridimensionò il peso politico della nobiltà tigrina ma, prudentemente rispettò l’indipendenza del Tigray, di cui i discendenti di Giovanni furono ras fino al 1974.
I tigrini che sono riusciti a conservare la propria indipendenza per secoli, santificarono come martiri cristiani i due re guerrieri Teodoro II e Giovanni IV, trovando in loro la giustificazione a porsi come etnia superiore, capace di difendere l’indipendenza nazionale, in concorrenza ovviamente con la dinastia amhara.
Dalla costruzione del canale di Suez il mar Rosso non fu più un mare interno, ma una vera via commerciale diretta. Questo diede a tutte le coste dell’Eritrea e della Somalia, un’importanza strategica e scatenò gli appetiti delle piccole e grandi potenze europee, come pure di Usa e Russia.
Il genocidio degli Oromo
Prima ancora di diventare imperatore, Menelik aveva condotto una serie di campagne militari contro gli oromo, per cacciarli dalle terre dove vivevano da quasi tre secoli. Gli oromo dal 1500 occupavano parti dell’altipiano mescolati agli amhara. Le guerre per assoggettarli furono molto sanguinose. Le province di Kaffa e Maji subirono un impoverimento demografico senza precedenti. Si valuta che dal 1872 al 1899, gli oromo da 10 milioni si ridussero a 5 milioni I campi e le riserve di grano erano devastate. Chi non veniva ucciso o mutilato era venduto come schiavo. La tratta degli schiavi era una delle maggiori fonti di ricchezza per gli ufficiali dell’esercito di Menelik. lo stesso Menelik e la moglie Taitù possedevano 70 mila schiavi. Molti oromo fuggirono nel Sud Sudan, in Kenya e nel Somaliland. I due terzi delle terre degli oromo vennero confiscate, un terzo lasciate agli indigeni. Il grosso degli appezzamenti era assegnato agli ufficiali (anche 40.000 ettari ciascuno) e poi via via anche ai soldati (80 o 40 ettari). In queste terre poi lavoravano gli stessi oromo, alcuni come mezzadri, pagando affitti molto esosi, ma la maggior parte come mezzadri senza terra. All’epoca ad es. la produzione di caffè era molto redditizia. Le armi a Menelik per schiacciare gli oromo furono forniti dagli inglesi, i quali ottennero in cambio mano libera nello sfruttamento delle miniere (oro, nickel, ferro, platino) e delle cave di marmo. Anche il bestiame fu saccheggiato.
Menelik II, da sovrano firmò con l’Italia il trattato di Uccialli (1889), con cui riconosceva le conquiste coloniali italiane in Eritrea. In cambio ricevette un prestito di 4 milioni di lire, con l’interesse del 6%, grazie al quale per acquistare una fornitura d’armi composta da migliaia di fucili e circa quattro milioni di cartucce. L’anno dopo le divergenze tra le due versioni dell’art.17 del trattato che in italiano concedeva all’Italia il controllo della politica estera etiope, portarono Menelik a rinnegarlo e a fargli allacciare relazioni diplomatiche con Russia e Francia, senza informarne il governo italiano. Nel ’93 gli italiani occuparono Maccallé e Adua: Menelik reagì subito, sconfisse il contingente di Toselli ad Amba Alagi, riconquistò Maccallé e poi Adua con i 17 mila uomini di Barattieri aiutato dalla sua superiorità numerica ma anche dalla migliore conoscenza del terreno. Ad Adua combatte anche Taitù e la sua corte di donne guerriere. Il nuovo governo di Rudinì firmò la pace e il trattato di Addis Abeba, redatto in francese. La vittoria militare portò grande prestigio a Menelik anche in Europa.
In Etiopia, Somalia, Kenya e poi Giamaica questa vittoria ispirò alla Chiesa etiope una nuova ondata missionaria, che propagandò un credo anticoloniale irredentista in salsa religiosa (con tanto di Cristo nero e di un libro sacro che si intitola Kebra Nagast, cioè “Gloria dei re”).
Menelik torna a dedicarsi al compito di sottomettere anche militarmente i ras che non lo riconoscono come Negus neghesti. Inizia la costruzione del primo tratto della ferrovia Addis Abeba Gibuti (allora capitale della Somalia francese). Lo scopo esplicito di Menelik è di poter sfruttare la ferrovia per trasportare le truppe. I francesi lo assecondano sperando in una penetrazione economica e politica in Etiopia (nel 1906 Francia Italia e Gran Bretagna firmarono però, con la classica doppiezza dei colonizzatori, un trattato segreto per spartirsi il paese). Menelik decide che è necessaria una prima opera di alfabetizzazione, istituisce le prime scuole elementari in collaborazione con la Chiesa ortodossa etiope.
Il suo successore, ras Tafarì Maconnèn, poi imperatore col nome di Hailé Selassié I (1930-1974) era stato a lungo ministro del regno sotto Menelik, dal 1916 riuscì a farsi nominare reggente, con un colpo di stato entusiasticamente appoggiato da Francia, Italia e Gran Bretagna, ma dovette affrontare vasti movimenti di ribellione nelle campagne fra il 1916 e il 1924 Salì ufficialmente al trono nel 1930 quando l’imperatrice Zauditu morì. Sia Menelik II che Haile Selassiè alimentarono la retorica di essere i discendenti di re Salomone e della mitica regina di Saba. Consapevole di avere gli italiani alle costole, Hailé Selassié I tentò di proseguire la centralizzazione dello Stato (un esercito nazionale, una burocrazia di stile moderno. Concesse infine una limitata Costituzione. Il Senato era di nomina imperiale e la Camera ad elezione indiretta. Negli anni Venti Tafari si ingraziò politicamente Regno Unito e Francia iniziando il processo, peraltro molto graduale, di abolizione della schiavitù e fu da queste favorito per l’entrata nella Società delle Nazioni nel 1923 (solo un’altra nazione africana, l’Egitto ne fece parte). Nel 1919 aprì la prima accademia militare moderna e sin dalla metà degli anni ’20 mandò molti giovani etiopi in Europa e Stati Uniti per ricevervi un’educazione occidentale, difatti «egli non aveva nessun dubbio che l’educazione moderna fosse la chiave del progresso». Haile Selassie si presentava come un riformatore, si appoggiava a un gruppo di intellettuali e nobili filo-occidentali, gli Young Japanizers, i quali asserivano che un processo di modernizzazione del paese simile alla Rivoluzione Meiji del Giappone avrebbe permesso all’Etiopia di rivaleggiare con le potenze europee nel continente africano. Furono loro ad elaborare la prima Costituzione del 1931, a cui dopo la colonizzazione italiana ne seguirà una nel 1955.
Dal punto di vista sociale proibì la tratta degli schiavi. Tuttavia si calcola che nel 1830 essi fossero 2 milioni su circa 8 milioni di Etiopi. Selassié proibì di rendere ereditaria la condizione di schiavo, i figli degli schiavi erano liberi. L’oppressione sui contadini oromo continuò. Rimase in vigore il sistema feudale dei braccianti oromo sfruttati come servi della gleba. La terra rimase in mano ai latifondisti e alla Chiesa abissina. L’Inghilterra, che assorbiva la maggioranza del cotone e del caffè prodotto in Oromia, in cambio strinse una solida alleanza con Selassié. Dal 1930 le risorse furono concentrate sull’esercito, il suo riarmo e la preparazione degli ufficiali (venne creata un’accademia militare). Venne creato un moderno corpo di polizia. Sconfitto dagli italiani, si ritirò in volontario esilio in Inghilterra. La conquista italiana era costata 275 mila morti. Si formò una Resistenza che lasciò sul terreno, nel periodo 1936-41, 75 mila guerriglieri, 17 mila civili uccisi nelle operazioni di polizia e 30 mila fucilati per complicità, + 25 mila fucilati per l’attentato a Graziani, altri 35 mila morirono in prigionia. Altri 300 mila morirono per fame, nei lavori forzati e nei trasferimenti forzati Dopo il ritorno di Hailé Selassié nel 1941, l’orgoglio di avere ottenuto di nuovo l’indipendenza è stato per un certo periodo un collante per il paese. L’imperatore si poneva come campione della decolonizzazione. Si fecero alcuni investimenti nelle infrastrutture, nell’istruzione, nella modernizzazione dell’amministrazione. Ma il sistema sociale restò intatto. Nel 1960 solo 10% della popolazione era alfabetizzata. L’Etiopia di Selassié si annetté nel 1962 l’Eritrea e ne represse con ferocia il movimento secessionista, complici le nazioni occidentali.
[1] Situato nel Corno d’Africa, questo sultanato controllava gran parte dell’attuale Somalia, Etiopia, Gibuti ed Eritrea.