Alcuni giorni fa, dopo lo scoop del Corriere su un eventuale intervento diretto italiano in Iraq, funzionari Nato hanno fatto intendere, poi confermati da Renzi in diretta, che l’Italia confermerà la missione Isaf in Afghanistan. Come è noto oggi in Afghanistan operano 9.800 soldati Usa, che resteranno anche nel 2016, 850 tedeschi, 760 italiani e 500 turchi.
Isaf, iniziata nel 2003, è costata fino al 2013 quasi 5 miliardi di € la Germania nello stesso periodo ne ha spesi 11 di miliardi), cui vanno aggiunti i del 2014. Dal 2015 l’operazione si chiama Resolute Support, perché avrebbe dovuto limitarsi all’addestramento e al supporto delle forze armate afghane, e l’Italia ha stanziato 463 milioni di € (120 per pagare i militari italiani e altrettanti donati alle forze armate afghane, 99 per le spese logistiche, il resto per le missioni dell’aviazione e per rifornire di armi gli afghani). Analisi di Difesa, giornale ufficioso delle Forze armate, valuta che il contingente italiano sia sotto attacco (i talebani sono a poche decine di Km da Herat e Farah, oltre che presenti nella provincia di Ghor), che la capacità di Kabul di controllare il territorio sta diminuendo e non aumentando, che quindi l’anno prossimo gli effettivi debbano essere portati almeno a 1000. Ritiene tuttavia che l’intero intervento Usa ed Europeo, cui certamente si affiancherà una task force della CSI, schierata sui confini in Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan , “potrà solo prolungare l’agonia dell’Afghanistan”.
Certa sinistra italiana sostiene che l’intervento in Afghanistan dell’Italia è stato un flop. Se si pensa alle favolette tipo “sostenere il processo democratico” o “ garantire un futuro pacifico” “contrastare la violenza sulle donne” è indubbiamente stato un flop. Ma dal punto di vista degli interessi “imperiali” del capitalismo italiano no. E quindi è una favoletta anche che l’Italia sia intervenuta perché reggicoda degli Usa. Magari il governo italiano non ha ottenuto la considerazione e il peso diplomatico che si aspettava, ma affari ne ha realizzati in vari sensi.
Per la situazione contingente Analisi di difesa sostiene che l’interesse reale italiano si concentra in Libia, che quindi un nostro intervento in Afghanistan possa essere barattato con il ruolo di capofila in Libia, ma anche con una riduzione della presenza italiana in Iraq, che aumenta i problemi di sicurezza per il Giubileo (l’Isis minaccia Roma, i talebani no).
Ma l’interesse dell’Italia all’Afghanistan ha radici molto più antiche, come quello della Germania (vedi riquadro).
E’ noto come dal punto di vista geopolitico, per gli Usa l’Afghanistan è un caposaldo militare fondamentale nei confronti di Russia e Cina da un lato e Iran dall’altro.
Questo vale anche per gli europei, compresa l’Italia e ancor più per la Germania, anche se per gli europei vale meno l’intento di minaccia, quanto l’idea che si possa in questo modo garantire i confini di paesi amici (Iran e Turkmenistan per l’Italia; Cina per la Germania) con cui si intrattengono scambi commerciali, in cui si investe e ecc. Lo stesso vale per la Turchia che intrattiene intensi rapporti con le etnie turcofone delle repubbliche islamiche ex sovietiche, ma anche della Cina.
Ma non vanno sottovalutati gli interessi economici in Afghanistan. Limitiamoci a parlare per l’Italia. Un libro interessantissimo di Giorgia Pietropaoli (“Missione Oppio. Afghanistan: cronache e retroscena di una guerra persa in partenza” 2013) conferma che mentre i Talebani avevano ridotto lo smercio di oppio, fra il 2001-2007 essa è raddoppiata e dal 2007 esso è passato direttamente sotto il controllo delle grandi case farmaceutiche occidentali, col consenso e l’assistenza dei militari (nota 1). Le stesse case che puntano al controllo dei rifornimenti di lithio, importanti anche per la metallurgia e l’elettronica. Da anni è in corso una lotta fra i paesi occidentali per il controllo dello smercio dello zafferano afghano. Ma interessi anche più grandi si concentrano intorno alle risorse minerarie: marmo (in cui sono leader le industrie britanniche e cinesi).
Ci sono società italiane di casa in Afghanistan come le solite Eni, Enel, ma anche Gruppo Trevi, Fantini, Gruppo Minerali Maffei, Iatt, Assomarmomacchine, AI Engineering. Per i meno informati ricordiamo che la Trevi si occupa di grandi infrastrutture come dighe, ponti, tunnel, ma è anche specializzata in perforazioni per petrolio e minerali. Alla Fantini invece si intendono parecchio di macchine segatrici a catena per l’estrazione della pietra naturale, di apparecchiature per imballaggio, pallettizzazione, di linee di trasporto e movimentazione materiali, attrezzature di sollevamento, magazzini automatici e industria alimentare. Il gruppo Minerale Maffei è specializzato nell’estrazione di minerali ed è il lizza per l’oro, il rame, pietre preziose, il ferro, il litio e le terre rare afghane. La Iatt è specializzata in posa di tubature per gasdotti, ma anche per impianti idrici ed elettrici. La Al Engineering è presente nelle attività farmaceuriche, biotecnologiche e nell’industria alimentare. Enel e Terna hanno cooperato all’illuminazione dello stadio di Herat.
Quando si pensa all’export italiano tutti pensiamo alla moda e all’alimentare e dimentichiamo che il 50% dell’attività all’estero è nelle infrastrutture. L’Italia è in prima fila per la costruzione del T.A.P.I. (dalle iniziali dei paesi coinvolti) il faraonico gasdotto che metterà in comunicazione il campo petrolifero di Dauletabad in Turkmenistan, attraverso Afghanistan e Pakistan, a Karachi in India. Il gasdotto sarà affiancato da una ferrovia che collegherà il Turkmenistan, paese in cui l’Italia fa affari da anni, ad Herat, il centro del comando operativo militare italiano.
Per quanto riguarda gas e petrolio di recente è stato scoperto il grande giacimento scoperto ai confini con l’Uzbekistan e cui sono interessate Eni, Total e Heritage oil.
Per questo sono morti e non per la democrazia o la lotta al burka, i 54 soldati italiani e sono stati feriti in 650. Molti di più sono stati i morti, i feriti i mutilati afghani, tra i quali spicca una percentuale eccezionalmente alta di perdite civili (l’85% nel 2015). Ultime quelle derivate dal bombardamento dell’ospedale di Médecins sans Frontières, a Kunduz, in cui c’è stata una deliberata operazione di distruzione di una attività davvero umanitaria (tre giorni dopo le bombe un tank americano è penetrato nell’area dell’ospedale colpito, dov’erano accumulati macerie e reperti successivi all’attacco, spianando ogni cosa nell’evidente intenzione di disperdere ogni possibile prova utile).
Sulle condizioni di vita in Afghanistan è muta testimonianza il numero assai elevato di afghani fra i profughi, secondi solo a siriani ed eritrei.
Oltre ad aver aumentato morti e affamati gli occidentali sostengono un corrottissimo e traballante governo protetto da 350 mila soldati (se togliamo gli afgani con meno di 14 anni che sono il 41,5% della popolazione, significa un soldato ogni 35 adulti), che sta mandando in rovina il paese, mentre l’élite si arricchisce e i signori della guerra si spartiscono il paese.
Oggi in Italia non c’è una opposizione di massa alla guerra, ma questo non giustifica la passiva acquiescenza, occorre una assidua propaganda contro le fanfare di guerra e le loro menzogne.
L’Italia in Afghanistan
l’Italia fu il primo Paese europeo ad avere aperto una propria ambasciata in Afghanistan nel 1921, e la seconda al mondo dopo la Russia. Il fascismo ospitò il re Amanullah, considerato da Mussolini un “eroe della resistenza antiinglese”, che visse qui in esilio dal 1929 fino alla sua morte nel 1960. L’Italia conservo buoni rapporti col successivo re Zahir Shah, che l’Italia “democratica” ospitò in esilio dal 1973 fino al suo rientro in Afghanistan nel 2002. Negli anni trenta Italia, Germania e Giappone guidarono il riarmo afghano.
Se l’Italia fornisce equipaggiamento e addestramento per l’aviazione, è la Germania a gestire la modernizzazione dell’esercito. Il nazismo alimenta le rivendicazioni afghane di riunire in uno stesso regno tutti i pashtun. Nell’agosto del 1940 il re proclama la neutralità del paese; nell’ottobre inglesi e sovietici chiedono l’espulsione dei tecnici italiani e tedeschi; il re si adeguerà solo dopo l’invasione dell’Iran da parte degli alleati temendo di subire la stessa sorte. Il personale diplomatico di Italia e Germania sarà espulso nel settembre 1943.
Nota 1: il 90% degli antidolorifici a base di oppio sono consumati nei paesi industrializzati e il loro consumo è quadruplicato negli ultimi 10 anni con profitti medi annui di 11 miliardi di dollari.