In Siria ed Irak proseguono le operazioni militari che ognuno dei paesi della pseudo coalizione per la cosiddetta guerra contro IS conduce per i propri interessi. Ma, con l’intervento diretto prima della Turchia contro i curdi e soprattutto della Russia a difesa del regime siriano e in accordo con l’Iran, i rapporti di forza tra le potenze globali e regionali si vanno fortemente modificando e le relazioni divengono sempre più intricate.
Alleanze che si fanno e si disfano, competizione tra potenze regionali e globali che scompagina i piani originari di ogni membro della litigiosa coalizione, rivelando i reali interessi in gioco asserviti al mantenimento e rafforzamento della borghesia di ogni singolo paese.
Secondo un esperto dell’European Council on Foreign Relations (ECFR) «le forze regionali sono impantanate in un conflitto che nessuna di esse può vincere». Situazione molto vantaggiosa perché i paesi imperialisti possano esercitare la propria influenza.
Un’influenza che si misura sì sul terreno militare e politico-diplomatico, ma anche su quello economico, con la capacità delle imprese, sostenute dal proprio apparato statale, di sfruttare risorse naturali e forza lavoro per riprodurre il proprio capitale a scapito degli avversari. Ed è su questo terreno che le potenze, Italia compresa, si stanno muovendo parallelamente al conflitto militare, ognuna per conto proprio in una contesa altrettanto feroce. Facilitate dal recente accordo sul nucleare iraniano che rimette in gioco Teheran sia dal punto di vista delle relazioni economiche, sia per la partita politico-militare nella guerra in corso.
Già dall’avvio dei negoziati con l’Iran (autunno 2013), l’Europa ha cambiato approccio, passando dalla formale condanna indignata (tutti facevano affari con l’Iran se lo potevano fare senza danno, salvo forse la Francia che è in competizione sul nucleare) ad una apertura alla riabilitazione politica, e di conseguenza finanziaria del regime. Poi, a seguito dell’accordo sul nucleare e in vista della rimozione dell’embargo e delle sanzioni contro Teheran, è ripreso l’interesse e la competizione di investitori e gruppi economici dei vari paesi per le potenzialità offerte dall’economia iraniana. E questo nonostante il regime iraniano continui a reprimere brutalmente qualsiasi tipo di opposizione, le donne continuino a dipendere dal consenso del consorte per poter viaggiare o cercare lavoro, vengano pubblicamente inflitte fustigazioni e amputazioni, e la pena di morte sia molto frequente.
Ma l’Iran possiede le seconde maggiori riserve mondiali di gas naturale e le quarte di petrolio, è un mercato di circa 75 milioni di consumatori, con una media borghesia sviluppata e con un buon potere d’acquisto, ha una forza lavoro giovane e a basso prezzo rispetto a quella delle metropoli imperialiste, ed ha bisogno di investimenti nelle infrastrutture in generale, non solo in quelle energetiche.
Delegazione dopo delegazione di funzionari governativi hanno fatto la spola tra Teheran e le capitali europee per discutere nuove relazioni diplomatiche ed economiche.
A causa delle divergenze interne alla sua borghesia, la Germania, maggior imperialismo europeo, non partecipa direttamente alle operazioni militari della coalizione di cui fa parte, pur avendo contribuito ad armare e addestrare i peshmerga curdi e sostenuto i gruppi di opposizione siriani. Sta però portando avanti la difesa dei suoi interessi, sia per attestarsi politicamente nella regione che per cogliere le opportunità economiche per le sue imprese.
La preminenza economica di Germania e UE in Iran, in concomitanza con lo spostamento strategico degli Stati Uniti verso l’Asia Orientale (pivot Asia), potrebbe contribuire a dare Berlino, capitale economica e politica della UE, una certa influenza su Teheran e un ruolo di primo piano nel riassetto del MO, con il coinvolgimento dell’Iran, sdoganato dal recente accordo sul nucleare.
Cerca di raggiungere questo obiettivo sfruttando anche il ruolo di mediatrice – strappato agli alleati grazie alla sua potenza economica e ad abili manovre diplomatiche. Il riassetto si fonderebbe su una fragile bilancia tra Iran e Arabia Saudita che, non dissimile a quello esistente negli anni Ottanta tra l’Iran e l’Iraq, come allora dovrebbe impedire la supremazia regionale di uno dei due, e garantire l’influenza delle grandi potenze.
Il 16 ottobre il ministro degli esteri Steinmeier si è recato a Teheran e a Riad, con un progetto di mediazione tra i due paesi, e il tentativo di convincere i sauditi a riconoscere l’Iran tra i protagonisti della partita in corso. Operazione non facile dato che Riad si era finora avvantaggiata del conflitto tra Usa e potenze europee con l’Iran.
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Il tentativo di strategia di bilancia in corso nel Golfo non è nuovo. L’avvicinamento dell’Iran all’alleanza occidentale si era prospettato già nel 2003, quando in occasione del confronto con gli Usa sulla guerra in Afghanistan contro il comune nemico talebano, Javad Zarif al tempo ambasciatore iraniano all’Onu, ed ora ministro degli Esteri, presentò una offerta di negoziazione che prevedeva ampie concessioni iraniane. L’offerta venne respinta dall’Amministrazione Bush, convinta di poter insediare a Teheran un governo filooccidentale senza scendere a patti.
Tra le proposte iraniane del 2003:
come per l’Afghanistan, l’Iran offriva gli Usa la sua collaborazione in Irak per la stabilizzazione del paese;
si impegnava a non appoggiare più i gruppi di opposizione palestinesi;
a trasformare il libanese Hezbollah in una associazione meramente politica.
In cambio Teheran chiedeva la fine delle sanzioni, il rispetto dei suoi “legittimi interessi di sicurezza”, e l’impegno degli Usa a non intromettersi più nelle sue questioni interne.
A circa dieci anni di distanza questi temi sono stati oggetto dei negoziati sul nucleare, o degli incontri attuali, come quelli di Steinmeier a Teheran.
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Per quanto riguarda gli interessi economici, vista la affermata e storica presenza in Iran di gruppi concorrenti di altri paesi (a cominciare dall’Italia), gli imprenditori tedeschi con le loro associazioni cercano di fare sistema chiedendo e ricevendo un efficace sostegno da parte dello Stato con tutti i suoi apparati, per reinserirsi e sviluppare i loro affari.
La Confindustria tedesca (BDI) considera realistica la previsione di esportazioni a breve del valore annuale di oltre 10 MD di euro.
Così, Berlino ha dato il via ad una sostenuta offensiva diplomatico-economica a partire dallo scorso luglio, immediatamente dopo la sigla dell’accordo sul nucleare. Il ministro tedesco dell’Economia, l’SPD Sigmar Gabriel, è stato il primo importante rappresentate politico occidentale a riallacciare i rapporti con Teheran, il primo a fare passi concreti per il riassetto mediorientale.
La fretta dei tedeschi è dovuta da una parte alla necessità di recuperare le posizioni delle loro imprese, retrocesse come d’altra parte quelle degli altri paesi europei, rispetto a quelle cinesi e sudcoreane durante la fase di sanzioni economiche.
Dall’altra la tempestività offre la possibilità di intascare un vantaggio rispetto ai gruppi concorrenti europei ed americani.
È in corso una contesa tra le potenze europee anche sul trasporto del gas iraniano, al quale è interessata tutta la UE. Si prevede che dal 2030 l’Iran venderà alla UE 25-35 miliardi di m3 di gas liquefatto (GNL), che può essere commercializzato con maggiore flessibilità rispetto a quello trasportato tramite i gasdotti. Il Commissario UE all’Energia, Miguel Arias Cañete, ha organizzato un incontro con rappresentanti di grossi gruppi europei, tra i quali BP, Shell, lo spagnolo Repsol, il norvegese Statoil e i francesi Total e Engie, i tedeschi RWE e E.ON sul sistema da scegliere per l’importazione di questo gas. Da una parte c’è l’ipotesi di usare i terminal spagnoli attrezzati a ricevere il gas liquefatto, perché la Spagna è il paese europeo che possiede la maggior parte di questi particolari terminal. A tal fine dovrebbero essere costruiti gasdotti dalla Spagna verso la Francia, e da qui distribuirlo.
In alternativa il ministro tedesco dell’Economia della Bassa Sassonia[1] ha proposto a Teheran una joint venture per la costruzione di un impianto per il gas liquefatto iraniano a Wilhelmshaven.[2]
Le divergenze tra Francia e Germania sulla strategia mediorientale ha radici profonde nella competizione per l’influenza politica e la preminenza economica nei mercati regionali. Questo appare evidente nella competizione del settore auto.
L’Iran, con i suoi 80 milioni di abitanti e con circa 1,1 milione di auto vendute lo scorso anno, è un mercato attraente, e i produttori tedeschi cercano di attestarvisi. Anche in previsione delle ricadute negative che i marchi francesi Peugeot e Renault, già presenti nel paese, VW spera che debbano subire a causa della rigida posizione del governo francese nella disputa sul nucleare.
Abbiamo finora parlato degli scontri in corso tra le potenze e tra i gruppi economici nell’area mediorientale. Della guerra militare, diplomatica ed economica tra le loro borghesie.
Una guerra che le classi dominanti continueranno a condurre, facendone pagare l’alto costo umano e sociale alla classe che tengono sottomessa, quella dei proletari, nei paesi del Medio Oriente come in quelli delle metropoli imperialiste.
A meno che la loro partita non venga disturbata dalla lotta di classe dei proletari contro la propria borghesia.
[1] La Bassa Sassonia già sostenne l’allora primo ministro Schröder per l’ingresso nel settore del gas russo.
[2] A questi affari è interessata Wintershall, filiale di BASF.