«Patto di stabilità, più vincoli» – Giuseppe Sarcina

Il commissario UE ALUMNIA propone di introdurre vincoli per la riduzione del debito statale quando supera il 60% del PIL. Questo imporrebbe forti tagli di spesa all’ITALIA (debito oltre il 100%)
ALUMNIA esclude che certe spese statali (come difesa, ricerca e infrastrutture) non vengano conteggiate per il calcolo del deficit.

BRUXELLES – La «stretta» sarà sul debito. Dopo settimane di indiscrezioni, il commissario agli Affari economici Joaquín Almunia conferma che l’esecutivo di Bruxelles «propone di inserire nel Patto di stabilità obiettivi precisi di riduzione del debito per i Paesi con un’esposizione finanziaria superiore al 60% del prodotto interno lordo». L’iniziativa rappresenta, oggettivamente, un rischio per l’Italia. Sul deficit, invece, lo schema del commissario spagnolo è ambivalente. Nessuna spesa può essere esclusa, a priori, dal deficit: né quelle per la ricerca e le infrastrutture, come chiede Silvio Berlusconi; né quelle per la difesa, come vorrebbe Jacques Chirac. Esclusi «sconti» anche per «l’emergenza Tsunami». Il tetto del 3% tra disavanzo e pil non si tocca, altrimenti, dice Almunia, «non ci sarà accordo». Tuttavia, la Commissione è disponibile a «tenere conto» della qualità della spesa, anche in caso di deficit eccessivo. Partendo da queste basi, il commissario spagnolo è convinto ci sarà un’intesa, «nell’Ecofin di marzo». Sul fronte della ripresa, poi, Almunia vede «segnali incoraggianti», mentre i conti dell’Italia «sono in linea con le previsioni, per quanto riguarda il 2004». Restano gli interrogativi per il 2005.
La Banca centrale europea e alcuni Paesi che sostengono che il Patto di stabilità non va cambiato. Tommaso Padoa Schioppa ha illustrato questa posizione con un editoriale sul Corriere della Sera, poco prima di Natale…
«Ho letto, ho letto…».
La tesi di fondo è che il Patto non ha nulla a che vedere con la stagnazione dell’economia nei grandi Paesi. I singoli governi hanno tutti gli strumenti per agire: non c’è bisogno di mettere a rischio la tenuta dell’euro. Condivide?
«Concordo sul fatto che non bisogna smarrire l’ispirazione di fondo del Patto. Quelle regole garantiscono la stabilità dell’economia e senza stabilità non c’è crescita. E’ un’illusione pensare che una politica fiscale senza freni aiuti la ripresa. Caso mai è vero il contrario. Basti solo immaginare che cosa succederebbe, con deficit e debito fuori controllo, ai tassi di interesse nella zona euro. Le difficoltà attuali nei grandi Paesi sono collegate soprattutto ai ritardi sul versante delle riforme strutturali. E’ su questo piano che bisogna accelerare. Ecco perché le proposte della Commissione puntano a tenere insieme la disciplina dei bilanci e la spinta riformatrice, contenuta nella cosiddetta “Agenda di Lisbona”».
Ma proprio partendo dall’«Agenda di Lisbona», Chirac, Berlusconi e Schröder chiedono di escludere alcune categorie di investimenti dal deficit.
«Io credo che la discussione sia più sfumata. Nel dibattito tra i ministri delle Finanze si sta andando verso una formula che la Commissione condivide. L’idea è di “tenere conto” della qualità della spesa, così come delle riforme messe in campo dai singoli governi per rendere sostenibili i bilanci nel lungo periodo. Penso al problema dell’invecchiamento della popolazione e quindi alle pensioni. Lo schema prevede un obiettivo di “medio termine”, fissato Paese per Paese che, appunto, “tenga conto” del tipo di investimenti programmati e poi una valutazione, a fine esercizio, che, ancora una volta, “tenga conto” di come sono state utilizzate le risorse pubbliche».
In sostanza, niente scorporo dal deficit a priori , ma possibilità di ottenere «comprensione» per certe spese, a giochi fatti, da parte della Commissione e dell’Ecofin.
«Non solo la Commissione, ma anche molti Paesi, a cominciare dal Lussemburgo che ha la presidenza di turno della Ue, sono contrari a escludere a priori qualsiasi categoria di spesa, compresi gli aiuti umanitari. E, in ogni caso, il Trattato prevede in modo chiaro l’intangibilità del rapporto del 3% tra deficit e pil. Quindi non è possibile alcuna riforma del Patto che infranga questa soglia. E’, invece, importante introdurre “ragionevolezza economica” nell’esame delle politiche: finanziare le riforme strutturali non è la stessa cosa che lasciare correre la spesa corrente».
E se a marzo i capi di Stato e di governo dovessero rovesciare il tavolo, appellandosi alle «ragioni della politica»?
«Nel Consiglio europeo del giugno scorso tutti i leader avevano appoggiato la linea della Commissione, non credo che sei mesi dopo abbiano cambiato idea. Non c’è ragione. Penso che si troverà un accordo nell’Ecofin di marzo e il successivo Consiglio europeo lo ratificherà, senza toccare il 3%»
Ci sarà intesa anche sul debito? Pare che la Commissione voglia proporre un «sentiero di riduzione», con tanto di numeri e percentuali stabiliti anno per anno, per i Paesi con un’esposizione superiore al 60% del pil. E’ così?
«Sì, lo confermo. La nostra proposta è di prevedere un percorso di riduzione del debito con precisi riferimenti quantitativi. Su questa linea c’è il consenso di molti Paesi, mentre altri Stati vorrebbero un approccio più generale, direi più “qualitativo”».
Tra questi c’è l’Italia e si capisce perché. Un documento provvisorio della Commissione prevede che chi ha un debito superiore al 100% debba tagliare del 3% all’anno: obiettivo capestro per qualsiasi governo.
«A noi interessa stabilire un metodo per rendere operativo quest’altro principio cardine fissato dal Trattato: se il debito supera il 60%, bisogna attivarsi per ridurlo. Noi chiediamo di procedere fissando obiettivi e paletti come accade ora per il deficit
. Vedremo come adottare questo criterio, ci sono diverse ipotesi allo studio. Ma una cosa è certa: nella revisione del Patto ci dovrà essere più attenzione alla dinamica del debito, rispetto a quanto si è fatto finora. E’ essenziale per la stabilità delle nostre economie introdurre una “sorveglianza rafforzata” sull’evoluzione dell’indebitamento. Su questo concetto mi pare di aver registrato l’accordo di tutti, anche dell’Italia».
Nel 2005, oltre alla riforma del Patto, si materializzerà anche la ripresa economica?
«E’ ancora presto per dirlo. Ma ci sono segnali incoraggianti. Il prezzo del petrolio, per esempio, è sceso in media di 10 dollari rispetto alla quotazione di 50 dollari che avevamo preso in considerazione in autunno. E l’euro sembra cominciare a calare nei confronti del dollaro. La ripresa potrebbe effettivamente consolidarsi nel corso dell’anno».
E i conti dell’Italia?
«Ho visto gli ultimi dati sul fabbisogno del 2004. Nessuna sorpresa per noi: avevamo previsto un rapporto tra deficit e pil pari al 3% sia nel 2004 che nel 2005. Se l’Italia presenta conti migliori per il 2004, tanto meglio. Adesso stiamo valutando le misure inserite nella Finanziaria del 2005. Vedremo tra qualche settimana».

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