FRANCIA, LAVORO, PRECARIETÀ
REPUBBLICA Ven. 31/3/2006 ANAIS GINORI
La legislazione in materia cresce anno dopo anno. Le aziende costrette a
ricorrere a consulenti per ogni decisione
Gli imprenditori francesi: "Abbiamo norme troppo
complicate"
Per Villepin il mercato
"è imbalsamato" e anche l´Ocse non risparmia le critiche
PARIGI – Rigido e illeggibile per alcuni. Giusto e
all´avanguardia per altri. Mai come in questi giorni il vecchio codice del
lavoro è stato al centro di polemiche in Francia.
Il Cpe è soltanto l´ultimo dei tanti tentativi che sono stati lanciati per
scardinare un compendio di leggi e garanzie che secondo molti esperti non ha
uguali al mondo. Basta il colpo d´occhio: 2.600 pagine, 1,4 chili, frutto di
quasi due secoli di battaglie sociali. Il problema è che questo
monumento eretto a garanzia dei lavoratori continua a crescere, di mese in mese
vengono ad aggiungersi mattoncini (dal 2002 è già aumentato del 15%) e anche
per gli specialisti la sua interpretazione sta diventando sempre più difficile.
«Prima abbiamo bisogno di semplificare la legislazione», suggerisce la
stessa Medef, la principale organizzazione imprenditoriale francese, a
proposito del Cpe. Già prima delle proteste sindacali, infatti, molte
aziende temevano che l´ormai famoso contratto di primo impiego avrebbe solo
ingarbugliato ulteriormente la situazione, aggiungendosi ai contratti a tempo
determinato, al lavoro interinale, a quello stagionale, agli stage. La
McDonald´s francese per esempio ha già annunciato che, comunque vada a finire
la crisi in corso, continuerà a preferire altre formule contrattuali.
«Cerchiamo di motivare il personale con posti a tempo indeterminato e andremo
avanti così», ha raccontato il direttore delle risorse umane Hubert Mongon.
Il governo Villepin e i sostenitori di sistemi più liberali sono però
convinti che sia proprio questa enorme "bibbia del lavoro" a
imbalsamare il mercato, provocando lo zoccolo duro del 10% di disoccupati.
«Per fare assumere qualcuno in Francia serve un bravo consulente», ironizzava
qualche giorno fa l´Herald Tribune. Alcune compagnie internazionali, come la
multinazionale alberghiera Accor, hanno dovuto istituire una linea verde di
specialisti francesi per consigliare i dirigenti anche nelle più minime
decisioni aziendali. «Aprire un contenzioso significa andare quasi certamente
verso una condanna», spiega un manager del gruppo. E dire che ci hanno provato
in tanti a proporre riforme.
Non tutti, poi, sono convinti che l´attuale legislazione sia davvero la
migliore per tutelare i lavoratori. «Concentrandosi sulla difesa dei posti
fissi, ha incoraggiato il ricorso ai contratti a tempo determinato o al lavoro
interinale. Di fatto è un sistema che divide le generazioni e provoca più
precariato», spiega Raymond Torres, capo della divisione politica del lavoro
all´Ocse.
Fin qui i tentativi di riforma sono tutti falliti, e i ragazzi che sfilano
nelle strade sono l´ennesima dimostrazione che quelle conquiste sindacali sono
ritenute sacre e intoccabili. «Il modello anglosassone, la contrattazione
fra le parti, da noi non sarebbero possibili», nota Jean-Emmanuel Ray,
professore di diritto del lavoro alla Sorbona che giudica «equo» l´attuale
sistema. «Dire che il nostro codice del lavoro è complicato è un luogo
comune», aggiunge l´avvocato Tiennot Grumbach. «È invece una legislazione agile
e semplice. Le cause di licenziamento, che rappresentano l´ottanta per cento
dei contenziosi, sono coperte in tutto da una quindicina di articoli. In pochi
paesi – conclude – è cosi facile licenziare qualcuno».