LACHI, Enrico

(Monteriggioni, 1902 – Siena, 1920), operaio delle Ferrovie

 

Nato in località Poggiolo (Fontesdevoli), la sua numerosa famiglia si era trasferita a Siena quando aveva quattro anni, in via Fiorentina 88. Giovanissimo, aveva iniziato a lavorare come operaio avventizio delle Ferrovie, subito attivo sul piano sindacale e politico, iscrivendosi al Fascio giovanile socialista “Andrea Costa” e partecipando allo sciopero ferroviario del gennaio 1920. La sua morte è legata al primo assalto fascista alla sede della Casa del popolo di Siena che era stata costruita e inaugurata nel 1905 con il determinante contributo della Banca Cooperativa Ferroviaria e su iniziativa di ferrovieri e tipografi. L’edificio, in via Pianigiani, ospitava anche la locale CdL e comprendeva una Biblioteca popolare, un Teatro, un Caffè e altre attività commerciali. Il 7 marzo 1920, approfittando di un corteo di protesta di ex-combattenti, i fascisti riuscirono a farlo parzialmente deviare verso la Casa del popolo, simbolicamente presidiata dai carabinieri. Infatti, i fascisti – armati – poterono devastare i locali del Caffè, mentre i carabinieri bloccavano i pochi lavoratori schierati a difesa della Casa del popolo. In questa fase, in piazza della Posta, un appuntato dei carabinieri sparò con la rivoltella colpendo Enrico Lachi che stava affrontando un fascista. Soccorso all’interno del Caffè e subito trasportato all’Ospedale civico, Lachi sarebbe morto alle 0.45 dell’11 marzo, dopo giorni di sofferenze. Contro le violenze dei fascisti e dei carabinieri, subito iniziò uno sciopero prima spontaneo e poi proclamato unitariamente dalla CdL, dalla Sezione socialista, dal Circolo giovanile socialista, dal Circolo Germinal e dalla Federazione socialista. Lo sciopero risultò generalizzato e al comizio, tenutosi la sera dell’8 marzo, in piazza Umberto I (ora piazza Matteotti), intervennero gli onorevoli Grilli e Bisogni; il segretario della CdL Giulio Cavina; Meini per il Partito socialista e Guglielmo Boldrini per gli anarchici: comune fu l’accusa contro, oltre ai fascisti, tutte le autorità, di cui chieste le dimissioni. I funerali di Lacchi si svolsero sabato 13 marzo, con la partecipazione di quindicimila persone. Sin dalla sera precedente la sua salma era stata esposta presso il Circolo di Cultura della Casa del popolo. Tra le tante corone risaltava una con la dedica «Alla vittima del piombo regio. Le donne del popolo». Inoltre vi erano quelle del Personale di Macchina e Deposito Locomotive, del Personale Viaggiante, dei compagni di lavoro dell’Officina ferroviaria, dei Soci della Pubblica Assistenza. L’ultimo saluto fu affidato a Bisogni per i socialisti, a Boldrini per gli anarchici e a Carlucci per i giovani socialisti. Nei giorni seguenti gli operai delle officine ferroviarie inviarono una lettera pubblica al dirigente reclamando spiegazioni sul licenziamento di Lachi l’indomani del suo mortale ferimento.
La sua tomba si trova ancora al cimitero del Laterino, appena dietro alla cappella centrale.
La Casa del popolo di Siena avrebbe subito altri tre assalti: il 4 maggio 1920, il 4 marzo 1921 e il 23 maggio 1921. Quello del quattro marzo fu il più distruttivo; i fascisti poterono devastarla e saccheggiarla soltanto dopo ore di impari combattimento fra i lavoratori che vi erano asserragliati e reparti di carabinieri e dell’esercito, intervenuti anche con due cannoni da 65 mm, mitragliatrici e due autoblindo. Dopo la resa degli ottanta difensori, tutti arrestati, seguirono le rappresaglie; come ebbe a riferire l’Avanti!, “Il segretario della Casa del Popolo [recte: della CdL], Giulio Cavina, ora deputato [socialista], fu scovato nel suo ufficio a notte inoltrata e dopo che il cannone aveva operato una breccia nel muro dell’edificio operaio. Fu trascinato da basso, sotto i portici, percosso a sangue da tutti: i più feroci erano i carabinieri e gli ufficiali del Presidio. Quattro soldati, con baionetta
inastata, furono messi alla sua guardia […] Intanto tutti gli ufficiali del Presidio, guidati dal capitano dei carabinieri Lucatelli, sfilarono davanti al Cavina strappandogli i peli della barba e schiaffeggiandolo. In breve […] fu tutto pesto e grondante di sangue e chiese un bicchiere d’acqua. Il capitano Lucatelli ed altri ufficiali dettero ordine che nessuno portasse l’acqua richiesta […] tutti i soldati e i carabinieri si dettero a bere il vino e i liquori presi nelle cantine della Casa del Popolo davanti al Cavina. Anche il capitano medico del Distretto, anziché curarlo […] si dette a dileggiarlo”.
Durante il regime, la Casa del popolo fu estorta e trasformata in Casa del Fascio. Dato che, dopo le devastazioni, l’edificio necessitava di lavori di ristrutturazione, la Casa del Fascio contrasse un mutuo con il Monte dei Paschi, ma il debito non sarebbe mai stato onorato. Per recuperare il danno, la Banca acquisì gli immobili gravati da ipoteca, e contemporaneamente acquistò Palazzo Ciacci, in via Malavolti, donandolo nel 1936 alla Federazione fascista. Quella che era stata  la Casa del Popolo venne quindi venduta al Consorzio Agrario a un prezzo irrisorio. Il Partito fascista mantenne la propria sede a Palazzo Ciacci sino alla fine; fu qui la famigerata Casermetta in cui, nel periodo della RSI, centinaia di oppositori al regime, ebrei e partigiani senesi furono imprigionati, interrogati e torturati. Anche dopo la Liberazione, la Casa del popolo non fu mai restituita ai lavoratori senesi, e tutt’ora è sede del Consorzio Agrario; a Enrico Lachi, invece, è stata dedicata una piazza del quartiere senese di Petriccio.

MARCO ROSSI

 

FONTI: G. Matteotti, Un anno di dominazione fascista, Mondadori, 2019; V. Meoni, La Casa del Popolo di Siena e il “dono della vergogna”, Nuova Immagine, 2003; D. Pasquinucci, Società e politica a Siena nella transizione verso il fascismo (1918-1926), Nuova Immagine, 1996; T. Baglioni, L’assassinio di Enrico Lachi e l’assalto alla Casa del popolo, «Unità e lavoro», 5 luglio 1952.

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