
I media e i governi europei sono in tripudio per l’attacco ucraino (e NATO) che, andando per migliaia di chilometri in profondità nel territorio russo, ha colpito le basi dei caccia bombardieri strategici russi distruggendone un numero imprecisato (prima 41, poi 12 per la propaganda di guerra ucraina, 3 per quella russa). Per la Russia il colpo è comunque molto duro – e lo è anche per le teste di legno che si erano illuse che gli Stati Uniti, la NATO, l’UE avrebbero consentito la vittoria sul campo della Russia senza farle pagare il prezzo militare (e complessivo) più alto possibile.
Non è la prima volta che l’asse Kiev-NATO colpisce in profondità il territorio russo. Accadde già un anno fa quando ad Armavir, nella regione di Krasnodar, a nord del Caucaso, venne infranta la rete di radar che costituisce l’ombrello di protezione nucleare del territorio russo. Per non parlare delle invasioni delle regioni di Kursk e Belgorod, dell’affondamento dell’incrociatore Moskva, del danno inferto al ponte di Crimea, etc. Ma questa volta il salto di qualità è grande. C’è perfino chi parla di una Pearl Harbor russa. Washington si affretta a preannunciare una risposta di Mosca molto dura, con la speranza che possa essere nucleare onde poterne profittare. Inevitabile il totale fallimento del secondo round dei (finti) negoziati di Istanbul.
Euforia, dicevamo, sui media e nei governi europei. L’Ucraina è viva. L’Ucraina è ferita, ma può fare malissimo alla Russia. E “noi”-UE/NATO dobbiamo raddoppiare gli sforzi per sostenerla in questa sua missione suicida. Sono troppo grandi i “nostri” interessi da proteggere perché la guerra possa finire ora che la Russia è in vantaggio. La “nostra” parte di bottino va assolutamente tutelata e ampliata!
Quella che è stata, ed è tuttora spacciata in Italia e in Occidente come una “guerra per l’autodeterminazione dell’Ucraina”, non è altro che una guerra per la spartizione dell’Ucraina, un paese-scrigno. Gli Stati Uniti si sono fatti anticipare le risorse del sottosuolo; avendo preso possesso dell’area dell’Ucraina a cui più mirava, la Russia non ha alcuna intenzione di ritornare ai confini del 2022; i più guerrafondai di tutti, al momento, sono i governi dell’UE che pretendono la loro parte, e la Germania li ha anticipati costruendo proprio in Ucraina una sezione importante del proprio complesso militare-industriale. Pace? quale pace? La guerra deve andare avanti! Venga dunque Zelensky al vertice della NATO, da ospite d’onore. Viva l’Ucraina di Zelensky, ora e sempre.
Ma è ancora viva l’Ucraina di Zelensky?
Ci sono tanti motivi per dubitarne, se dai suoi servizi segreti – e dai servizi segreti della NATO, che non sono mai stati un indicatore di vitalità di una società -, ci spostiamo al suo tessuto sociale e al rapporto reale del suo stato con le potenze imperialiste d’Occidente che hanno deciso di scagliare questo paese contro la Russia.
Al momento del collasso dell’URSS e del referendum per l’indipendenza dell’Ucraina (dicembre 1991), questo paese era tra le aree più economicamente sviluppate dell’intera Unione. Beneficiata anzitutto da madre natura (per la speciale fertilità delle proprie terre e l’incredibile ricchezza di minerali del suo sottosuolo), ma anche dalla storica localizzazione dell’industria meccanica e dal dono della Crimea da parte dell’URSS di Kruscev nel febbraio 1954 (1) – prescindiamo qui dal discutere se e fino a che punto l’Ucraina avesse sofferto per decenni della politica di “russificazione culturale” denunciata, forse con qualche esagerazione ed alcune reticenze sulla storia della Ucraina, da Ivan Dzyuba nel suo famoso pamphlet Internationalism or Russification?.
Al 1991 la popolazione dell’Ucraina era di oltre 52 milioni di persone. Al 1° gennaio 2023 l’Ucraina aveva (nei confini del 1991) 37,6 milioni di abitanti. Il che significa che aveva perso il 30% della sua popolazione in poco più di trent’anni. Un’impressionante catastrofe demografica, corrispondente ad una catastrofe economica e sociale tra le massime al mondo. Del resto, al 1° aprile 2025 il salario medio era pari a 462 euro lordi, la pensione media degli oltre 10 milioni di pensionati era pari a 153 dollari, il salario minimo a 193 dollari, a fronte di un’inflazione annua (ufficiale) tra il 20 e il 30%, che è più alta della media per i beni alimentari, e di un mercato nero in continua espansione (le patate si vendono fino a 6 euro il kg).
A stare ai dati delle Nazioni Unite, almeno 5 milioni di ucraini soffrono di un “accesso insicuro al cibo”. Specie nelle zone vicine ai combattimenti molti adulti debbono “sacrificare i loro pasti per permettere ai propri figli di mangiare”, o si indebitano per mangiare a sufficienza. Questo, nel paese in grado di alimentare – per la già ricordata speciale fertilità delle proprie terre – 600 milioni di persone, circa venti volte la propria popolazione attuale! Il paese che è stato per decenni uno dei primi 10 esportatori di grano al mondo (esportò, nel 2020, oltre il 70% della propria produzione), e che ora – per la sciagurata guerra per procura a cui è stato spinto anche dalla propria classe dirigente – deve ricorrere a milioni di razioni di cibo del World Food Program dell’ONU.
Al giugno 2025 la sopravvivenza di milioni di ucraini/e, il semplice sfamarsi è possibile solo attraverso il ricorso alla solidarietà dei clan familiari e ai legami delle città con il loro entroterra agricolo. Così è stato ridotto il “granaio d’Europa”!
Ed è facile capire perché sia sempre più difficile per il suo regime reclutare carne da macello da bruciare nelle fornaci della guerra. Si stima che 40.000 giovani siano ora alla macchia per evitare l’arruolamento (e si aggiungono alla centinaia di migliaia che sono riusciti a fuggire all’estero). Il tanto reclamizzato “contratto 18-24” lanciato a febbraio scorso dal governo con la promessa di un servizio “preferenziale”, paghe “milionarie” e benefit fuori dal comune (tra cui l’abbonamento a Netflix), non ha reclutato che qualche centinaia di giovani (tra i 400 e i 700), sicché lo stesso Wall Street Journal parla di fallimento. A Zelensky e alla Verkhovna Rada (il parlamento) non resta che inasprire le leggi per costringere le nuove leve ad arruolarsi. Ora tutti i ragazzi di 17 anni debbono registrarsi per il servizio militare presso i centri di reclutamento territoriali; se non lo fanno, compromettono la continuazione degli studi o l’accesso al lavoro. Le persone con problemi fisici debbono sottoporsi ad una nuova visita medica entro il prossimo 5 giugno. Se non lo faranno “spontaneamente”, provvederà la polizia. Gli uomini con età superiore ai 25 anni che si iscrivono alle scuole professionali stanno per essere colpiti con il ricatto della perdita del diploma conseguito poiché sospettati (probabilmente a ragione) di prolungare gli studi per cercare di sfuggire all’arruolamento. Siamo arrivati al paradosso che c’è chi decide di presentarsi volontariamente ai centri di reclutamento nella speranza che l’attitudine patriottica insita in questa decisione venga premiata con l’invio in qualche unità militare non esposta in primissima linea. Non c’è da sorprendersi se perfino la Fondazione della moglie di Zelensky ha accertato che 1 adolescente su 4 desidera lasciare per sempre l’Ucraina. Solo chi ha denaro, non ha problemi. Chi ne ha tantissimo, tipo i figli di Zelensky e di altri ladri di regime, è già al sicuro all’estero a studiare o gozzovigliare, o l’una e l’altra – sul fronte russo non accade nulla di diverso: a dover andare incontro alla morte sono i figli di operai, di contadini, degli impiegati esecutivi, delle minoranze nazionali, delle aree più povere del paese. E se per caso accade di morire al figlio di un generale, è successo, se ne fa un eroe.
Quell’Ucraina che grazie alla NATO continua ad infliggere colpi militari spettacolari alla Russia, è in realtà ad un passo dal default. Anzi: sarebbe già da tempo uno stato fallito, se non fosse per i prestiti esteri. I numeri dei prestiti esteri sono da capogiro: 85 miliardi elargiti da FMI, Banca mondiale e partner internazionali – molto prudenti gli stati, molto presenti i fondi d’investimento BlackRock, Fidelity, Amia Capital, etc. La guerra ha gonfiato enormemente il debito estero, passato dai 126 miliardi di dollari del 2022 ai 180 miliardi di dollari di fine 2024 (al 2003 era di 107 miliardi). Non sorprende, perciò, che il ministero delle Finanze ucraino abbia da poco comunicato ai suoi creditori che non rimborserà la rata di 665 milioni di dollari in scadenza. Per venire incontro ancora una volta a Kiev, in realtà ai creditori sanguisuga di Kiev, il FMI erogherà un prestito da 500 milioni di dollari, il nono addirittura da quando il programma di “assistenza” è iniziato. Nel frattempo la grivna crolla, chi ha ancora depositi in banca li converte in valuta estera, e… lo stato ucraino si mette ancor più nelle grinfie dei suoi creditori programmando per il 2025 un deficit di bilancio superiore al 10% per le “impellenti esigenze” della guerra.
Letteralmente saccheggiata dai propri oligarchi capitalisti del periodo post-URSS, che non hanno saputo mettere a valore se non che per i propri personali patrimoni le immense ricchezze reali e potenziali del paese, l’Ucraina è ora, nella sua parte non occupata dalle truppe russe, ridotta al rango di colonia statunitense dopo l’accordo strangolatorio sulle ricchezze del sottosuolo (petrolio, gas, alluminio, grafite, terre rare) imposto dall’amministrazione Trump. Non si sa molto su di esso, ma è indicativo che – secondo l’agenzia Bloomberg – l’amministrazione amerikana lo consideri “un modello per futuri accordi con altri paesi”. Il canale ucraino Legitimny lo qualifica in questo modo: “si tratta del primo contratto legale del ventunesimo secolo che riduce giuridicamente un paese allo status di nuova colonia”. Mentre il canale Zerada ha fatto questa sintesi : “Agli Stati Uniti le risorse naturali, ai ‘Globalisty’ le infrastrutture” – il riferimento è al cosiddetto ‘accordo dei 100 anni’ tra Kiev e Londra, concluso qualche settimana prima di quello con gli Stati Uniti e che contiene parti segrete (2).
La proprietà formale delle risorse naturali resterà ucraina, ma è sufficiente dare uno sguardo distratto alla storia del Fondo di sviluppo per la “ricostruzione” dell’Iraq creato nel 2003 dagli stessi gangster imperialisti d’oltre Atlantico per avere un’idea di come andranno le cose. Furono 8 anni (2003-2010) di pura e semplice rapina per un’ammontare totale di 150 miliardi di dollari sottratti ad un paese devastato, e conferiti senza gare d’appalto a grandissime imprese statunitensi (Kellog Brown, Bechtel, Parsons Corporations, etc.) che non hanno portato a termine nei modi previsti, o non hanno neppure cominciato, i progetti per i quali erano state ricoperte di denaro, con una serie interminabile di violazioni di norme, corruzione a go-go, e quant’altro di melmoso avviene abitualmente in casi del genere.
E non è finita qui perché l’UE, e dentro di essa ogni governo per proprio conto, pretende la quantità di carne dell’Ucraina che, a dire dei guerrafondai europei, spetta a loro per l’ “aiuto” – aiuto a suicidarsi – generosamente garantito all’Ucraina. E, alla stessa maniera del maramaldo Trump, eccoli minacciare il burattino Zelensky: “non siamo più in grado di pagare i sussidii ai rifugiati ucraini. Abbiamo fatto tanto per loro. Tutto doveva finire al marzo 2025, invece l’abbiamo prorogato al marzo 2026. Ma ora le nostre stesse leggi, regolamenti e direttive non ci consentono di andare oltre. Sarà necessario eliminare questo regime di protezione, che del resto, lo dicemmo, era solo temporaneo. Continuare a sostenere questo pesante onere finanziario, è impossibile.”. O, quanto meno, bisogna restringere brutalmente i beneficiari, il che sarebbe – in modo diretto – un regalo a Kiev che rivorrebbe indietro un po’ di emigrati essendo a corto sia di soldati che di manodopera.
E c’è un altro ricatto, forse ancor più mortale: quello di introdurre dazi doganali sui prodotti agricoli ucraini che da tre anni ne sono esenti. Su questo, ecco il commento di un deputato del parlamento ucraino, Dmytro Natalukha, che lì presiede il Comitato per le questioni economiche:
“L’abolizione dell’importazione esente da dazi doganali per l’Ucraina potrebbe creare una situazione assurda, in cui saremmo costretti a chiedervi denaro invece di guadagnare semplicemente attraverso il commercio, il che, a mio parere, è una situazione molto viziosa e perversa.”. Infatti: “molto viziosa e perversa”. Ma esattamente questo è il rapporto tra un paese colonizzato e le forze imperialiste colonizzatrici. Vi aspettavate forse la garanzia del diritto di auto-determinazione dell’Ucraina?
Inutile dire che – per noi – a ridurre l’Ucraina in questo stato ha dato un contributo determinante anche la Russia, intenzionalmente provocata da chi è andato ad “abbaiare ai suoi confini”, ma entrata in guerra non certo per liberare l’Ucraina dal nazismo, bensì per proseguire nel suo progetto di ricostituire un’area di influenza e di controllo corrispondente ai confini della vecchia URSS. Su questo ci siamo già espressi, e ci torneremo su – per intanto vi rimandiamo a cosa vivevano e pensavano i minatori del Donbass sottoposti ai capitalisti filo-russi già prima della guerra.
Lezione amarissima, quella della guerra tra NATO e Russia, per tutti i proletari e le proletarie ucraini, tragicamente colpiti dalla morte e dalle mutilazioni fisiche e psichiche della guerra, schiacciati nella ricerca quotidiana di cibo da mettere a tavola, vessati da leggi e prassi liberticide, tradite dal collaborazionismo sfacciato di tutte le burocrazie sindacali. Sono davvero sparuti, al momento, i piccoli (piccolissimi) nuclei di giovani disfattisti in modo attivo verso la guerra. E altrettanto rari gli scioperi di protesta contro i sequestri di operai e proletari da portare al fronte – abbiamo notizia solo di uno sciopero dei guidatori di autobus della città di Drohobych e dei guidatori di camion della zona di Odessa. Con milioni e milioni di emigrati dispersi ai quattro angoli del mondo, e molte fabbriche distrutte, la spina dorsale del proletariato ucraino è stata lesionata, e il corpo della classe è paralizzato dalla immane tragedia vissuta. Serva questo come monito per il futuro: il “nazionalismo” in affitto, che ha gonfiato le vele e i conti in banca dei Zelensky, e soprattutto dei suoi soprastanti amerikani ed europei, è stato il viatico per il suicidio, insieme della classe lavoratrice e del paese.
Ma i governi europei e la NATO non sono sazi di sangue, ritenendo il loro bottino insufficiente. E spingono l’Ucraina a moltiplicare le azioni in Russia e battersi ancora “fino all’ultimo ucraino”. Per suicidarsi da morta, non bastando il suo suicidio da viva.
Sta a noi, qui, nel cuore dell’UE guerrafondaia in preda ad una criminale corsa al riarmo e alla progettazione della guerra diretta con la Russia, rilanciare la denuncia di questi piani, e unire le nostre modeste forze con quelle di tutte le organizzazioni internazionaliste impegnate a costruire un campo proletario internazionale contro la guerra NATO-Russia in Ucraina, e contro le guerre del capitale, che sia del tutto indipendente dai due campi imperialisti a scontro. Un campo al quale abbiamo fiducia che sapranno unirsi anche i proletari/e ucraini e russi/e disgustati dal massacro in corso, memori delle loro migliori tradizioni di classe.
Note
(1) Non scendiamo nei particolari perché ne abbiamo parlato nel nostro libro “La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario” e ad esso rimandiamo.
(2) Riprendiamo questi commenti da una delle note, sempre molto informate, di Paolo Selmi per “Sinistra in rete” – la cui chiave di lettura della guerra è del tutto differente dalla nostra.