(Tivoli, 1900 – 1990), operaio
Dai miei parenti, vecchi amici e paesani sono chiamato “redivivo”, perché non vedendomi ritornare nel dopoguerra, malgrado avessero fatto intense ricerche e si fossero rivolti a Togliatti, agli altri dirigenti del partito e a chi avrebbe potuto dare mie notizie, dopo avermi con ansia tanto tempo invano atteso, si erano rassegnati a ritenermi morto. Invece, dopo vent’anni, all’improvviso, dalla lontana Siberia, davo segni di vita.
Iniziò a lavorare all’età di dieci anni, perse due dita della mano destra in un infortunio sul lavoro. Nel 1919 s’iscrisse alla FIGS, passò alla FGCdI nel ’21. Un anno dopo dovette riparare all’estero per sfuggire alla cattura dopo uno scontro con i fascisti in cui, per difendersi, aveva estratto la pistola colpendo a morte il segretario del fascio; arrivò in URSS e s’iscrisse al partito bolscevico. A Rostov, sul Don, nel 1926 sottoscrisse il programma dell’opposizione unificata di Trotsky e Zinov’ev; con l’affermazione di Stalin si mise in disparte per due anni, dopo i quali fece autocritica chiedendo la riammissione nel partito. Dimorò a Mosca, quindi a Tashkent, sempre guardato con sospetto. Arrestato dalla NKVD nel giugno 1936 venne rinchiuso nel campo di Vorkuta, in Siberia, dove riuscì a sopravvivere grazie alle dita monche, esonerato dai lavori pesanti. Solo nel gennaio del 1948 poté riabbracciare la moglie e il figlio, appena nato al momento del suo arresto. Nel 1949 Corneli venne nuovamente arrestato e confinato in soggiorno obbligato a Igarka, da dove uscì solo nel 1960 per stabilirsi definitivamente in Ucraina. Cinque anni dopo rivide l’Italia con l’appoggio di Terracini.
Deciso a denunciare tutto quanto aveva subito lui con gli altri dissidenti, scrisse le proprie memorie non trovando alcun editore disposto a pubblicarle. Le stampò a proprie spese, sorta di “samizdat”, nome che ricorda la censura. Solo nel 1977, grazie ancora a Terracini, il manoscritto, riveduto e intitolato Il redivivo tiburtino, venne accettato dalla casa editrice La Pietra (che lo pubblicò con tagli e censure). Corneli continuò a denunciare. Il 4 giugno 1978 in una lettera aperta al criminale stalinista Vidali scrisse:
Ma non eri tu insieme con gli altri duri stalinisti del Comitato Direttivo della nostra emigrazione, nelle riunioni degli emigrati politici residenti a Mosca, sempre affollate, molto vivaci e anche turbolente, a scagliarti come un “cane bulldog” [..] contro i compagni Sensi, Biondini (“Merini”), Calligaris (“Siciliani”), Gorelli, Gaggi, Martelli, Bonciani (“Grandi”) e tanti altri che qualificavate “trotskisti” antisovietici degni di essere spediti in Siberia?
Con tenacia e grande coraggio continuò ad autoprodurre libri di denuncia dei crimini staliniani, fino alla fine.
FONTI: Dante Corneli, Il redivivo tiburtino