Il muro del silenzio (sul genocidio di Gaza) è veramente crollato? – GPI

Ieri a Roma il centro-sinistra ha organizzato una manifestazione riuscita, forse, oltre le previsioni degli organizzatori (lasciamo perdere, ovviamente, la cifra di 300.000 partecipanti). Di essa abbiamo già parlato, in relazione ai suoi promotori, e non ci ritorniamo su – ciò che hanno detto in piazza conferma pienamente quello che abbiamo scritto (*).

Anche dopo questa manifestazione, il muro del silenzio non è realmente crollato. E le domande di fondo restano quelle qui riproposte dal comunicato dei GPI, che volentieri riportiamo.

Anche a noi interessa l’allargamento della mobilitazione a sostegno del popolo palestinese e della sua resistenza alla macchina di morte sionista; quindi ci interessa dialogare con una parte di quella piazza, costituita da “gente comune” che conserva un sano fondo di umanità. Ma se denunciamo ancora una volta che il governo Meloni ha le mani sporche di sangue palestinese, come gli apparati dello stato italiano le hanno da sempre, nulla possiamo concedere ai cinici giochi di potere in corso sulla pelle dei palestinesi da parte dei capi e delle cape del centro-sinistra. (Red.)

Il muro del silenzio è veramente crollato?

Il tempo delle false posizioni deve finire: è ora di supportare realmente la liberazione della Palestina.

Dal giorno alla notte sono cambiati i titoli dei giornali, in Italia e non solo. All’improvviso, dopo quasi 600 giorni di carneficina, si è fatta strada – anche tra la stampa e in settori della sinistra istituzionale – la consapevolezza che a Gaza si sta consumando un genocidio, e che tra i principali responsabili c’è Netanyahu. Un cambio di tono che ha sorpreso: da una parte figure storicamente vicine a posizioni filoisraeliane prendono ora posizione contro il governo sionista, dall’altra Comuni e Regioni sospendono rapporti con “Israele”.

È  un miracolo? È finalmente crollato il muro del silenzio? Chiaramente no. 

Riteniamo, invece, che si tratti di un mutamento tattico in cui l’Occidente prova a scaricare Netanyahu, etichettandolo come capro espiatorio di quanto sta succedendo, per salvare il sionismo – non la Palestina – ormai al collasso dal 7 ottobre 2023.

Oggi più che mai è importante che il dibattito pubblico apra spazio alla verità storica: 77 anni fa non esistevano né Netanyahu né i partiti palestinesi attuali, e che i padri fondatori del sionismo – laici e progressisti – hanno costruito un progetto coloniale suprematista fondato sulla pulizia etnica e sul genocidio. 

Non è Netanyahu o il suo governo “estremista” il problema: è il sionismo, in tutte le sue ramificazioni, l’ideologia e la dottrina responsabile della Nakba nel 1948 come del genocidio che stiamo vivendo da più di un anno e mezzo a Gaza. Chi non lo riconosce non fa altro che proteggere un progetto coloniale genocidario. 

Le prese di posizione che si moltiplicano oggi – editoriali, comunicati, appelli – individuano come unico colpevole l’attuale governo “israeliano”, evitando dunque di mettere in discussione il progetto coloniale che lo rende possibile. Si inneggia alla difesa dei “civili inermi di Gaza”, ma non si parla del popolo palestinese che resiste contro l’occupazione. 

Manifestazioni come quella del 7 giugno a Roma sembrano riconoscere solo oggi ciò che da mesi è sotto gli occhi di tutti senza tuttavia interrogare le reali radici di questa ingiustizia.

Nel frattempo l’Italia si prepara a rinnovare il memorandum di cooperazione militare con “Israele”, continuando a vendere armi e importare merci dalle colonie. E intanto Anan Yaeesh, partigiano palestinese di Tulkarem, resta incarcerato a Terni. Il genocidio non è finito. I palestinesi vengono uccisi dalle bombe, dalla fame, dalla sete, dalle torture in carcere. Resistono, mentre altrove si parla di pace, ma senza diritti. È per questo che la nostra lotta non è solo umanitaria, ma politica e rivoluzionaria: non per la vecchia finta promessa di uno Stato, ma per la liberazione da un occupazione coloniale e per il nostro diritto a ritornare.

Oggi, la nostra responsabilità storica, come soggetto politico della diaspora palestinese – parte viva e integrante del movimento di liberazione – resta quella di lottare contro il sionismo, come contro l’imperialismo, e quindi per un embargo totale verso “Israele”.

Pur riconoscendo la necessità di una mobilitazione ampia per la Palestina, chiediamo: quali saranno le scelte concrete, le rotture vere e non solo di facciata, perché non parta un solo proiettile dai nostri porti, perché non arrivi una sola merce dalle colonie, perché ogni accordo accademico o istituzionale venga revocato, e ogni legame – diretto o indiretto – con lo Stato sionista sia interrotto? Perché si sostengano, senza ambiguità, le richieste di liberazione totale avanzate dal movimento palestinese.

Il tempo delle ambiguità e delle false posizioni è finito. Serve ora un reale supporto alla causa di liberazione del popolo palestinese.