
Una delle organizzazioni promotrici della Conferenza internazionalista di Napoli del 14-15 giugno prossimi è Liberazione comunista, un’organizzazione basata in Grecia, nata pochi mesi fa dallo scioglimento del NAR. Ne traduciamo qui un testo molto recente, che inquadra l’evoluzione della situazione economica, politica e militare internazionale in termini vicini, tanto nell’analisi quanto – anche – nella fissazione delle discriminanti politiche generali, a quelli espressi su questo sito. Abbiamo incontrato qualche difficoltà nella traduzione, speriamo di essercela cavata. (Red.)
1. Il capitalismo si trova a un punto di svolta critico, che sta già innescando una serie di sviluppi a tutti i livelli, alimentando fenomeni di crisi, incertezza economica e scosse nelle relazioni geopolitiche. In questo contesto, spiccano due principali sviluppi tra loro correlati:
i. Intensificazione delle rivalità inter-capitaliste, anche all’interno degli stessi campi e alleanze. Insieme alla dichiarazione di una guerra economica aperta tra Stati Uniti e Cina, si stanno sviluppando tensioni tra Stati Uniti e UE e tra gli stati dell’UE. Queste contraddizioni si manifestano in controversie commerciali (come i conflitti tariffari) e posizioni geopolitiche divergenti, in particolare per quanto riguarda l’Ucraina e gli atteggiamenti nei confronti della Russia. Si inserisce in questo contesto la guerra tariffaria, con conseguenze quali i segnali di stagflazione negli Stati Uniti, la revisione al ribasso delle previsioni di crescita di Stati Uniti, UE e Cina, e l’indebolimento del dollaro come valuta di riserva.
ii. Spostamento verso l’”economia di guerra” e la retorica militarizzata, in generale e soprattutto nell’UE che, attraverso il riarmo dell’Europa, cerca di invertire la sua stagnazione economica (e la recessione in Germania).
2. Quanto sopra non è correlato solo e principalmente alle arbitrarie “scelte di Trump”, sebbene non debba essere sottovalutato il ruolo dei leader delle economie e degli stati potenti in particolare. Il campo in cui si inaspriscono le contraddizioni del capitalismo totale ha una profondità storica e sociale che va oltre il periodo attuale. Spiccano le contraddizioni interne del capitalismo nel processo di produzione, scambio e distribuzione. Da un lato, il capitale spinge verso una rapida integrazione tecnologica per aumentare il plusvalore relativo; dall’altro, questo stesso processo accresce la composizione organica del capitale, inasprendo la tendenza del saggio di profitto a scendere.
In particolare, il relativo regresso del capitalismo statunitense, nonostante la sua superiorità militare e politica, rafforza le tendenze alla perdita di egemonia e predominio. Di conseguenza, porta a riaggiustamenti strategici critici per il prossimo round di competizione mortale. Con un occhio principalmente alla Cina capitalista, che pretende di guidare egemonicamente la prossima fase dello sviluppo capitalista globale, gli USA stanno tentando un proprio rafforzamento in tutti i campi, rimodellando le fondamenta dell’alleanza euro-atlantica nel quadro della NATO e dell’UE.
L’attuale escalation della competizione intercapitalistica e delle crisi sistemiche è fondamentalmente legata a due tendenze strutturali: la tendenza al ribasso dei saggi di profitto e l’incapacità di reinvestire con profitto il capitale in eccesso. Il FMI prevede che la crescita globale raggiungerà il 2,8% quest’anno, un tasso rivisto al ribasso dello 0,5% rispetto alla stima precedente, a gennaio. Il rischio di recessione è aumentato significativamente, sia per l’economia globale e per gli Stati Uniti in particolare, ma anche per la Germania e l’UE, dove la crescita economica è stata rivista al ribasso di 0,2 punti percentuali e dovrebbe raggiungere lo 0,8%. Il FMI prevede una crescita pari a zero per la Germania, dello 0,6% per la Francia e dello 0,4% per l’Italia (un calo corrispondente dello 0,2 e dello 0,3% rispetto alle previsioni di gennaio). La Cina, il principale bersaglio dei dazi del presidente Trump, potrebbe registrare la sua crescita più lenta dal 1990, attestandosi ad appena il 4%.
In questo contesto, l’imposizione o la minaccia di imporre dazi ha un duplice obiettivo: da un lato, “proteggere” l’economia statunitense, danneggiando contemporaneamente le economie concorrenti, in particolare la Cina, e fornendo incentivi per un certo ritorno delle imprese americane negli Stati Uniti (discutibile o impossibile in prospettiva); dall’altro, finanziare (attraverso tariffe/tasse e aumento dei prezzi) un nuovo ciclo di ristrutturazione interna del capitalismo con esenzioni fiscali per la borghesia e ulteriori tagli di tutti i tipi alle spese sociali. In conclusione, l’imposizione di un’ondata di tariffe da parte dell’amministrazione Trump (e la successiva reazione) presenta simultaneamente due aspetti: in primo luogo, è un riconoscimento della traiettoria discendente degli Stati Uniti e del panico per la prospettiva di perdere l’egemonia. Significa riconoscere che non sono più l’”unica” o la “grande” potenza. È da qui che nasce lo slogan di Trump “Make America Great Again”. In secondo luogo, costituisce contemporaneamente una politica aggressiva e avventurista con l’obiettivo di mostrare agli Stati Uniti che hanno il potere di minacciare e posizionarsi nella fase successiva.
3. La politica tariffaria statunitense rappresenta un’offensiva strategica che prende di mira primariamente la Cina, principale minaccia economica e geopolitica per Washington. Tuttavia, questo approccio richiede la ristrutturazione delle relazioni commerciali globali attraverso una duplice strategia. In questo modo, gli Stati Uniti non solo ricattano i paesi con investimenti cinesi nel Sud del mondo, in modo che non fungano da bypass per le esportazioni cinesi, ma fanno anche pressione sull’UE (e in particolare sulla Germania), a causa del deficit commerciale che hanno con la Cina. Per imporre la loro politica generale, tentano una combinazione di negoziati bilaterali con varie lusinghe. Le misure avranno risultati contraddittori e forse indesiderati. Le multinazionali americane all’estero ne risentono. Ad esempio, Apple paga solo il 2% dei suoi costi di produzione in Cina, mentre ha margini di profitto del 58% realizzati nell’intera catena di fornitura dei suoi prodotti. Anche le industrie negli Stati Uniti ne risentono, a causa dei dazi sui pezzi di ricambio. Lo shock sul mercato obbligazionario ha minacciato la stabilità del sistema finanziario con il rischio di sfociare in una grave crisi. Pur mirando a riportare le imprese sul suolo americano, queste politiche stanno avendo l’effetto opposto: creano esitazione negli investimenti e alimentano crescenti dubbi sulla stabilità sia dell’economia statunitense che del dollaro.
4. Questi aggiustamenti danneggiano senza dubbio l’”immagine” degli Stati Uniti agli occhi sia dei loro rivali che dei loro amici. Le misure tariffarie corrispondono a economie deboli, e sono contraddittorie nei loro effetti per il capitale stesso e per l’accumulazione di capitale. Allo stesso tempo, sono accompagnate da politiche (vedi il pogrom delle deportazioni) e misure disumane e razziste (con esempi tipici come la guerra all’istruzione/università, e la questione dell’aborto tra le altre). La retorica di Trump produce anche un certo ridicolo nei confronti degli Stati Uniti. Al contrario di quello che la retorica trumpiana afferma, sono state le multinazionali nord-americane a partite per mercati con costi del lavoro più bassi e tassi di profitto più alti.
5. L’amministrazione Trump maledice ma dichiara anche la fine della “globalizzazione”. In sostanza, la globalizzazione si riferisce a tutti gli accordi postbellici delle economie capitaliste egemoni che hanno posto gli Stati Uniti in un ruolo di primo piano dopo la seconda guerra mondiale. Non solo nell’ambito della NATO, ma anche nell’ambito stabilito dall’Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT), in seguito Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Sono stati proprio questi accordi a potenziare la capacità degli Stati Uniti e del capitale multinazionale di esercitare la rapina imperialista e il doppio sfruttamento capitalistico nelle economie più deboli, principalmente sulle classi lavoratrici e i popoli di tutto il mondo. Le contraddizioni irrisolte del capitalismo totale in fase avanzata stanno riscrivendo fondamentalmente le regole della competizione economica globale. La violenta espansione delle relazioni capitaliste in tutto il mondo (in termini di ricatto politico, economico e persino guerre) ha anche creato le condizioni per l’emergere di nuovi centri capitalistici. Gli Stati Uniti sono oggi minacciati non solo dalla crescente superpotenza economica e industriale Cina, ma anche da paesi capitalisti amici come India o Arabia Saudita.
6. Trump non fermerà il processo della “globalizzazione”. Perché una tale “globalizzazione” – nel senso della graduale, presunta formazione di un’economia globale armoniosa in cui “tutti guadagnano all’interno di mercati liberi, ognuno con il proprio vantaggio comparato” – semplicemente non è mai esistita. Al contrario, è certo che il capitalismo statunitense, come quello europeo o cinese, non può abolire la “legge” assoluta del capitalismo, secondo cui il capitale, dopo un certo livello di accumulazione nazionale interna, cerca sempre la sua migrazione ed espansione internazionale sotto forma di merci, flussi finanziari o investimenti, alla ricerca di profitti anche per compensare la tendenza al calo del saggio di profitto. Il deficit commerciale degli Stati Uniti resiste a soluzioni semplici, poiché parti della produzione si sono da tempo trasferite in Asia, in Messico e altrove, creando le condizioni per la crescita tecnologica, lo sviluppo economico e l’aumento di potere nei paesi concorrenti. Pertanto, la tendenza all’internazionalizzazione capitalista, proprio perché si verifica simultaneamente (seppur in condizioni diverse) per i singoli capitali nazionali, è per definizione competitiva, in un contesto in cui i successi di ciascuna parte costituiscono perdite per le altre, e non c’è nulla che sia uno spazio per la coesistenza armoniosa per tutti.
8. Nonostante lo squilibrio temporaneo nel contesto dell’acuta competizione intra-capitalista, il relativo declino degli USA e del blocco capitalista euro-atlantico in generale, così come il percorso verso una “globalizzazione” calma era un mito, è anche un mito che attraverso l’ascesa del ruolo della Cina e dei BRICS, l’umanità stia marciando verso un mondo multipolare che accoglierà più “attori”. Ciò non può accadere né pacificamente né in modo permanente. La competizione capitalista, unita alla tendenza intrinseca alla formazione (in ultima analisi bellica) di una chiara gerarchia di potere economico, politico e militare (che culmina nell’emergere di una potenza egemone dominante), costituisce una “legge” del capitalismo che conduce alla fonte perpetua della rinascita della guerra all’interno del sistema.
9. L’alleato degli USA, l’Unione Europea, osserva questi sviluppi da una posizione sempre più vulnerabile, dovendo gestire segnali di stagnazione economica o addirittura di recessione già visibili, soprattutto nel suo nucleo sviluppato (Germania, Francia, Italia). Sta tentando di sfuggire alla minaccia esistenziale con una svolta senza precedenti verso l’”economia di guerra”. L’intenzione di un coinvolgimento aperto e diretto in Ucraina viene espressa apertamente. L’estrema destra nei paesi chiave dell’UE sta più che mai dettando l’agenda per tutte le forze politiche borghesi su tutte le questioni. L’affermazione conservatrice secondo cui la svolta verso l’economia di guerra sia “forzata” a causa del rischio di un ritiro del sostegno statunitense al regime di estrema destra di Zelensky in Ucraina o della rimozione dell’”ombrello protettivo” statunitense all’interno della NATO non trova conferma nella realtà. Nonostante l’importanza di questi parametri, l’UE ha anche una propria strategia indipendente in questa direzione, anche prima dell’elezione di Trump. Il Rapporto Draghi è indicativo, perché presenta la svolta verso un’economia di guerra come una via per invertire la stagnazione economica. Si parla apertamente di una transizione dallo “stato sociale” (ciò che resta) allo “stato di guerra”, con un possibile ricorso a una sorta di “keynesismo militare”, in un contesto in cui gli stati borghesi, mentre limitano la spesa sociale, aumentano gli investimenti bellici.
10. Il blocco orientale che compete con l’Occidente è instabile e non ha formato strutture politiche, economiche e militari coerenti. L’aggressione di Stati Uniti e UE mira anche a prevenire il rischio di una maggiore omogeneizzazione e ascesa del campo avversario, con il tentativo di dividerlo. La Cina sta rapidamente portando avanti la sua ascesa economica e geopolitica a scala internazionale. I giganteschi progetti che promuove in numerosi paesi sono accompagnati in alcuni casi dalla fornitura di infrastrutture per uso militare. Ad esempio, il porto di Chancay in Perù, il più grande dell’America Latina, è stato recentemente inaugurato e prevede la possibilità di utilizzo da parte della Marina cinese, senza che lo Stato peruviano ne abbia sovranità. Questa è una base occulta che rivela che l’ascesa della Cina non è solo economica, ma sta anche acquisendo la potenza militare necessaria in futuro. La sua attuale autopromozione come “protettore” del “libero scambio” e della “globalizzazione” riflette la sua completa separazione da qualsiasi residuo del suo passato, nonostante la presenza di uno Stato potente, che è tuttavia il custode dello sviluppo capitalista e non di alcun genere di “benessere sociale”. Questo modello è stato seguito in passato dal Giappone e dalle “tigri asiatiche”, ovviamente in un contesto storico ed economico diverso. Vi sono segnali non solo di stanchezza, ma anche precoci segnali di crisi del capitalismo cinese (bolla immobiliare, crisi immobiliare, fallimenti di colossi come Evergrade, fondata nel paradiso fiscale delle Isole Cayman). L’internazionalizzazione del capitalismo cinese non può rimanere indenne dai “virus” endogeni ed esogeni della crisi. Per questo motivo, lo Stato interviene spesso per salvare le aziende private o ha imposto dazi unilaterali aggressivi, ad esempio sui prodotti agricoli e sui metalli australiani.
11. Il rischio dello scoppio di una guerra globale sta crescendo sullo sfondo della crescente competizione economica. La spesa militare globale ha raggiunto i 2.718 miliardi di dollari nel 2024, con un aumento del 9,4% in termini reali rispetto al 2023 e il più forte aumento annuale almeno dalla fine della Guerra Fredda. I cinque maggiori paesi per spese militari – Stati Uniti, Cina, Russia, Germania e India – hanno rappresentato il 60% del totale globale, con una spesa combinata di 1.635 miliardi di dollari. Nel 2024 i 15 maggiori paesi al mondo per spesa bellica hanno tutti aumentato le loro spese militari. Il bilancio militare globale, ovvero la quota del prodotto interno lordo (PIL) globale destinata alla spesa militare, è salito al 2,5% nel 2024. La spesa militare degli Stati Uniti è aumentata del 5,7% a 997 miliardi di dollari, rappresentando il 66% della spesa totale della NATO e il 37% della spesa militare globale nel 2024, superando chiaramente il resto del mondo e costituisce il principale motore della corsa alla guerra. Tutti i membri della NATO hanno aumentato la loro spesa militare nel 2024. La spesa militare totale dei membri della NATO è ammontata a 1.506 miliardi di dollari, ovvero il 55% della spesa militare globale. Dei 32 membri della NATO, 18 hanno speso almeno il 2,0% del PIL in spese militari, in aumento rispetto agli 11 del 2023: è il numero più alto da quando la NATO ha adottato le linee guida sulla spesa nel 2014. La spesa militare in Europa (inclusa la Russia) è aumentata del 17% a 693 miliardi di dollari ed è stato questo il principale contributo all’aumento globale nel 2024. La spesa militare della Germania è aumentata del 28% a 88,5 miliardi di dollari, diventando il maggiore spenditore nell’Europa centrale e occidentale e il quarto più grande al mondo. La spesa militare della Polonia è aumentata del 31% a 38,0 miliardi di dollari nel 2024, rappresentando il 4,2% del PIL della Polonia. La Cina, la seconda potenza militare mondiale, ha aumentato la sua spesa militare del 7,0%, raggiungendo circa 314 miliardi di dollari, dopo tre decenni di crescita continua. La spesa militare della Russia ha raggiunto circa 149 miliardi di dollari nel 2024, con un aumento del 38% rispetto al 2023, rappresentando il 7,1% del PIL russo e il 19% dell’intera spesa pubblica russa. La spesa militare del Giappone è aumentata del 21%, raggiungendo i 55,3 miliardi di dollari nel 2024, il maggiore aumento annuo dal 1952. Nel 2024, il Regno Unito ha aumentato la sua spesa militare del 2,8%, raggiungendo gli 81,8 miliardi di dollari, diventando il sesto Paese al mondo per spesa. La spesa militare della Francia è aumentata del 6,1%, raggiungendo i 64,7 miliardi di dollari, diventando il nono Paese al mondo per spesa. La Svezia ha aumentato la sua spesa militare del 34% nel 2024, raggiungendo i 12 miliardi di dollari. Nel suo primo anno di adesione alla NATO, l’onere militare della Svezia ha raggiunto il 2,0% del PIL.
12. Questi sviluppi riposizionano il dibattito all’interno delle correnti politiche, non solo rispetto alla crisi del 2007-09, ma anche rispetto agli anni a cavallo della pandemia (2020-21). Nel mondo politico borghese, si stanno sviluppando correnti politiche con una base di classe sfruttatrice comune, ma stanno anche aumentando le divergenze che causano disordini politici. Le correnti e i partiti di estrema destra si stanno rafforzando, soprattutto dopo la seconda elezione di Trump, con un’enfasi sul “ritorno e il recupero della sovranità nazionale” e la rinascita del cosiddetto nazionalismo economico come risposta alla “globalizzazione”, una maggiore aggressività nei confronti della classe operaia, ma anche una particolare enfasi sulla promozione di valori ultraconservatori, vecchi e nuovi, in relazione a immigrati, rifugiati, diritti politici e sociali. Tuttavia, nei momenti di crisi politica, queste differenti tendenze si uniscono facilmente, come è accaduto, ad esempio, in Francia con la formazione del governo Bayrou, che di fatto ha unito il “centro” con la destra tradizionale con la compiacenza di Le Pen.
13. Il dibattito sul rapporto tra Trump e i partiti di estrema destra influenzati da percezioni fasciste ha la sua importanza. Ogni fenomeno politico e sociale viene giudicato nel contesto dell’epoca in cui è apparso, ma anche in base al suo sviluppo successivo. Esistono somiglianze con il periodo tra le due guerre, quando il fascismo apparve in Europa, ma vi sono anche nuovi parametri che devono essere analizzati. I regimi e i partiti fascisti oggi hanno una diffusione geografica significativa, non solo in “Occidente” ma anche nella “Periferia”, in America Latina, in Asia (India, Israele, Turchia, Corea del Sud, ecc.), dove combinano particolarità nazionali o religiose con le politiche fasciste tradizionali. I fenomeni moderni sono forse ancora più pericolosi del loro riferimento storico e ci introducono in una nuova era. Sono soprattutto fenomeni di capitalismo totale con i suoi nuovi elementi e la risposta non può essere nei “fronti democratici”. Già oggi, quelli che si sono formati (la Francia di Macron, i governi cristiano-democratici/socialdemocratici/verdi in Germania, ecc.), pur parlando di un “muro di democrazia”, adottano in pieno l’agenda dei loro “avversari”. Ma anche a sinistra, le proposte dei “fronti popolari” sono inefficaci, poiché non si basano sull’attuale periodo del capitalismo, propongono risposte fallimentari del passato, sottovalutano deliberatamente la questione dell’intersezione anticapitalista [l’intersezione tra classe, sesso e razza – n.] o aspetti critici come la questione dell’UE.
14. Il dibattito sulla “fine del neoliberismo” divide i think tank borghesi, così come la sinistra. Tuttavia, il fondamento di questo dibattito riguarda principalmente la dimensione economica del neoliberismo, così come si è manifestato nella Scuola di Chicago, nel reaganismo/thatcherismo e come si è diffuso negli ultimi 35 anni in tutto il pianeta. Questo periodo del capitalismo non riguarda solo la politica economica. Si tratta di un aspetto del consolidamento del capitalismo totale, che riguarda l’intera sfera della produzione, del lavoro e della vita delle persone. Il capitalismo, in ciascuno dei suoi periodi di transizione, non smette di utilizzare i suoi “vecchi” strumenti, che in ogni nuova era acquisiscono un contenuto diverso. Ad esempio, l’interventismo statale ormai non riguarda quasi più alcun “contratto sociale”, ma quasi esclusivamente il sostegno dei profitti del capitale. Pertanto, non si assiste a un “ritorno a un’epoca precedente”, ma a un approfondimento della natura sfruttatrice del capitalismo moderno in condizioni di instabilità e crisi.
15. Nell’ambito della sinistra riformista, la risposta dominante finora è stata il “fronte contro il neo-liberismo”, in risposta alla percezione del “male maggiore”, con la negazione esplicita di un fronte anticapitalista, della lotta per il rovesciamento del capitalismo (ritenuti impossibili o inutili), e il suggerimento esplicito o implicito di una risposta “progressista” rappresentata da una sorta di nuovo keynesismo e di “governi progressisti di sinistra”. Questa direzione politica sta entrando in una crisi politica. L’attuale svolta degli eventi – inclusa la retorica schietta di Trump e di figure simili – rivela il duplice motore della crisi capitalista: l’intensificarsi della competizione intercapitalista sulla scena globale e l’escalation della lotta di classe all’interno e oltre i confini nazionali. Queste forze dialetticamente correlate ora si manifestano simultaneamente in tutti i campi critici economici, politici e militari. Le questioni della politica anticapitalista e del rovesciamento rivoluzionario dell’ordine capitalista stesso tornano in modo urgente e impegnativo. E’ necessaria l’indipendenza dalla politica borghese, la linea di intervento della sinistra comunista anticapitalista. Ciò sia nell’analisi che nelle scelte politiche riguardanti la pratica. Altrettanto necessaria sono l’indipendenza dal sostegno indiretto o diretto dalle “alleanze” con logiche frontiste di segno “democratico, anti-estrema destra”, o di “fronte popolare”, o di “alternativa progressista”, e il rifiuto delle logiche di accodamento all’uno o all’altro blocco imperialista/capitalista.
16. In questo contesto, la sinistra comunista anticapitalista si oppone sia alla teoria e alla politica liberale classica che vede il “progresso”, la pace e il presunto riaggiustamento economico e la crescita dovuti ai benefici della concorrenza, sia alle politiche di gestione neo-keynesiane o post-keynesiane di tipo “occidentale” o asiatico. La rottura con il capitalismo e l’imperialismo nell’arena nazionale e internazionale e il perseguimento di un corso economico e sociale a beneficio delle classi lavoratrici e dei popoli, si basa su un trittico di obiettivi politici chiave, che hanno sia una dimensione tattica che strategica:
i. estesa proprietà pubblica dei principali settori di queste economie, investimenti statali pianificati, con nazionalizzazioni dirette, ri-nazionalizzazioni con controllo operaio. Questa posizione combatte l’ondata di privatizzazioni che hanno oggi enormi conseguenze negative
ii. Controllo dei lavoratori sulla produzione, in particolare sulle questioni critiche del funzionamento delle imprese statali dal punto di vista della difesa degli interessi dei loro lavoratori e della classe operaia in generale, proiettando la necessità della democrazia operaia e del controllo politico su tutta la scala delle relazioni sociali e politiche, e principalmente nella produzione. Questa posizione si oppone al funzionamento economico degli stati borghesi con criteri economico-privati, alla dotazione aperta del capitale con denaro pubblico attraverso lo stato e le banche
iii. Lotta internazionalista, con sostegno reciproco nel campo dei movimenti operai e popolari, così come nelle relazioni bilaterali o multilaterali, con la cancellazione del debito estero, l’abolizione di tutte le misure che garantiscono nei mercati locali la dittatura delle multinazionali o dei blocchi capitalisti, nella prospettiva dell’unificazione comunista internazionalista dell’umanità, che è l’unica globalizzazione che può servire gli interessi delle masse popolari. Questa posizione si oppone esplicitamente sia alla rapina imperialista esercitata dai potenti paesi capitalisti, sia all’ipocrita posizione di “non politicizzazione della politica estera e di non ingerenza negli affari interni” (sempre in nome del libero scambio). La stessa logica ipocrita di “non politicizzazione della politica estera” viene sviluppata dalle classi borghesi all’interno dei paesi, invocando “l’unità nazionale”.
17. La guerra tra Russia e Ucraina presenta tutte le caratteristiche di una guerra imperialista, ingiusta e reazionaria da entrambe le parti. Essa inaugura, al tempo stesso, un nuovo ciclo di guerre omicide (su larga scala) del capitale nell’era del capitalismo totale, in cui emergono tutte le terribili caratteristiche delle guerre dell’era dell’imperialismo, insieme all’eccessivo sviluppo di altri aspetti qualitativi come una connessione più organica con le guerre economiche, il pericolo nucleare, l’integrazione dell’intelligenza artificiale, la guerra dell’informazione, la guerra spaziale satellitare e altri ancora. È tragico per la sinistra che le sue organizzazioni sostengano la campagna bellica della NATO e dell’UE in nome del “diritto dell’Ucraina a difendersi”. Una moltitudine di altre forze di sinistra e correnti anarco-comuniste celebrano le vittorie militari russe, anche se provengono da un vero e proprio mattatoio in condizioni che ricordano la guerra di “trincea della Prima Guerra Mondiale”. Altri giudicano gli eventi di Gaza in base alla questione della “natura di Hamas”, ignorando il massacro del popolo palestinese da parte dello stato sionista assassino e reazionario di Israele con il supporto di Stati Uniti, NATO, UE, inclusa la Grecia. Trascurano anche che è in atto il primo genocidio dell’”Intelligenza Artificiale” (IA) della storia, le cui applicazioni non riguardano solo il popolo palestinese, ma tutti coloro che saranno sfruttati in futuro. L’uso di vecchie e nuove forme di guerra crea condizioni di orrore inimmaginabile, che è “normalizzato” persino all’interno della sinistra.
18. Il movimento di milioni di persone, gli eventi e i processi multiformi nella coscienza della società e della scena politica, impongono un profondo dibattito politico e un intervento da parte della sinistra rivoluzionaria, operaia e internazionalista anticapitalista e comunista. Da questo punto di vista, dobbiamo approfondire il dibattito in relazione alle correnti politiche e ideologiche che inevitabilmente si sviluppano sullo sfondo degli sviluppi di cui sopra e nel contesto della lotta di classe e della lotta politica. I sistemi politici borghesi si trovano in una crisi politica e in una instabilità senza precedenti, soprattutto nei paesi capitalisti sviluppati. Mentre la questione sociale si acuisce ovunque (un esempio tipico è quello della crisi immobiliare che c’è in tutto il mondo, nonostante i “regni” in cui brillano gli investimenti immobiliari), ampi settori degli strati operai e popolari non danno più un sostegno politico stabile ai partiti di regime, nonostante l’evidente incapacità di mobilitarsi verso una politica anticapitalista volta al rovesciamento del sistema sociale capitalistico. La lotta di classe e la resistenza dei lavoratori sono sempre presenti in questi processi. Dobbiamo intervenire in essi in modo tale da diventare le loro tendenze politiche più sovversive, e principalmente la tendenza a trasformare queste lotte in una lotta politica anticapitalistica globale. Dal grande movimento in difesa della causa palestinese agli scioperi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, e dalle manifestazioni per Tempi in Grecia alle mobilitazioni in Argentina, le classi lavoratrici e le masse popolari stanno facendo sentire la loro presenza. Le affiliazioni politiche sono tutt’altro che stabili. I partiti borghesi e piccolo-borghesi sono in crisi politica e organizzativa, mentre all’interno della sinistra le linee politiche si stanno riorganizzando, alla ricerca di una nuova prospettiva comunista.