CAPELLINI, Dante

(Soresina, 1885 – Milano, 1964), deviatore delle Ferrovie

 

Quando Dante aveva un anno, la sua famiglia si trasferì a Milano. Dante crebbe in una città dalle forti tensioni sociali; tredicenne, assistette alle cannonate e alla feroce repressione di Bava Beccaris contro gli operai, fatti che lo avrebbero influenzato nelle sue scelte future.

Assunto a Luino nel 1904 dalla Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo con la qualifica di “deviatore scambista”, sposò Giuseppina Rogora, di religione evangelica. Si spostò per trasferimenti di servizio, negli anni del Primo conflitto mondiale venne assegnato alla stazione di Isola Liri, dove rischiò di morire a causa del terremoto che colpì la Ciociaria; successivamente arrivò a Gallarate. Segretario di zona dello SFI, partecipò come delegato al IX congresso nazionale di Torino; nel gennaio 1920 diresse a Gallarate e impianti limitrofi il grande sciopero che per dieci giorni paralizzò il Paese e si concluse con una clamorosa vittoria dei ferrovieri, che videro accolte tute le loro rivendicazioni. Nelle ultime settimane del 1920, in occasione delle assemblee congressuali del Partito Socialista, Dante si schierò con la mozione comunista astensionista di Bordiga. Nei  mandamenti del Varesotto meridionale furono per lo più giovani a passare al nuovo Partito, mentre la maggioranza rimase nel PSI. Dante e l’operaio ricamatore cassanese Carlo Mazzucchelli furono referenti sindacali per le rispettive categorie presso la CdL di Gallarate. Nel convegno di Golasecca del luglio 1921 Dante venne nominato capozona del partito assieme ad altri tre compagni. Sempre in quel mese fu delegato al congresso nazionale SFI assieme a Luigi Gallina, ferroviere comunista luinese. A conferma dell’influenza di Capellini nel campo sindacale, alla cerimonia di inaugurazione della Camera del Lavoro di Gallarate, domenica 30 ottobre 1921, accanto agli oratori socialisti Campi e Buffoni, i comunisti ottennero il proprio spazio con Virgilio Bellone e, appunto, Dante. Proprio Dante aveva trascinato al successo appena due settimane prima la lista comunista alle elezioni interne dello SFI, una delle due categorie (l’altra era appunto quella dei ricamatori di Cassano guidati da Carlo Mazzucchelli) a predominanza comunista.

Arrestato il 16 novembre 1921 perché “sorpreso a distribuire fogli sovversivi”, venne rilasciato a piede libero il giorno successivo.

Il 1° agosto 1922 un’agonizzante Alleanza del Lavoro, asfissiata dai tentennamenti dei riformisti, proclamò lo sciopero legalitario contro il fascismo. Lo sciopero si estese gradualmente a tutta la rete, ma dopo due giorni, nonostante arrivassero i primi risultati, venne sospeso. 125 ferrovieri, individuati come organizzatori, vennero immediatamente licenziati: Dante tra questi. Altri 155mila puniti o retrocessi. Il 28 gennaio 1923 il governo emanò il famigerato Regio Decreto n° 143. Il decreto, che prese il nome dal suo estensore, il commissario straordinario alle ferrovie Edoardo Torre, stabiliva la possibilità di esonerare i ferrovieri per “scarso rendimento”. Dietro questa formula si nascondeva in realtà un piano per eliminare i ferrovieri oppositori al regime, promotori e sostenitori degli scioperi. In due anni furono 43mila i ferrovieri esonerati.

Senza lavoro, con una moglie e quattro figli sulle spalle, Dante decise di trasferirsi a Milano con la famiglia. Trovò occupazione come barbiere (stesso lavoro del padre). Iscritto nel registro delle persone da arrestare in determinate circostanze, negli anni successivi venne periodicamente prelevato dalla sua dimora e tradotto in carcere per alcune settimane (San Vittore, Marassi). Era consuetudine, durante i prelievi, far passare gli arrestati tra due file di camice nere che li colpivano con randelli e bastoni; all’ennesimo arresto, la moglie lo accompagnò e gli si avvinghiò dicendo: “vediamo se hanno il coraggio di colpire anche me”. E fu la volta che Dante evitò le bastonate.

Nel maggio 1924 sottoscrisse la mozione di “Destra” presentata da Angelo Tasca al Convegno della Capanna Mara, in cui si sosteneva la tesi dell’alleanza tra comunisti e socialisti nel Fronte Unico, al fine di resistere al fascismo dilagante. Al convegno prevalse nettamente la mozione di Sinistra presentata da Bordiga, seguita da quella della Destra; umiliato il “Centro” di Gramsci e Togliatti, che ebbe l’appoggio solo di una parte dell’apparato. Ma oramai la “bolscevizzazione”, ovvero l’allineamento alle direttive di Mosca ad opera del “Centro” era alle porte.

Questo fu praticamente l’ultimo atto politico di Dante. Nel 1926 scrisse una lettera a «In Marcia!» ricordando di aver progettato congegni relativi ai consensi di stazione e all’illuminazione dei segnali al fine di prevenire i disastri ferroviari. Ma i suggerimenti dei sovversivi non venivano certo presi in considerazione.

Successivamente divenne rappresentante di prodotti per barbieri, lontano dalla politica attiva.

 

FONTI: «La Tribuna dei Ferrovieri»; «In Marcia!»; «La Lotta di Classe»; testimonianze orali di Libero Pace Lavoro Capellini, archivio PM.

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