28 APRILE, SCIOPERO GENERALE! – Sono trascorsi 28 anni dall’ultima azione unitaria della classe lavoratrice brasiliana in uno sciopero generale. Tutte le Centrali Sindacali (CSP-Conlutas, CTB, CUT, UGT, Força Sindical, Intersindical, CSB, CGTB e Nova Central), incalzate dal crescendo di lotte e proteste in tutto il paese, hanno fissato lo sciopero generale il 28 aprile, giungendovi su un programma concordato di mobilitazioni per tutto il mese. Le parole d’ordine sono: contro la riforma previdenziale, del lavoro, l’esternalizzazione, per far cadere il governo Temer.
Le giornate dell’8, 15 e 31 marzo avevano segnato un punto di svolta in Brasile nella reazione popolare agli attacchi del governo Temer e della borghesia imprenditoriale. In tutte le capitali dei 26 stati federati ci sono stati scioperi, manifestazioni, blocchi stradali, con una partecipazione inattesa nella sua portata.
Allo sciopero generale, tutto il mondo del lavoro era presente: pubblico impiego, municipali, metalmeccanici, petroliferi, chimici, trasporti, bancari, insegnanti e studenti, lavoratori delle poste, alimentaristi, portuali, sanità, carceri, minatori, edili … e movimenti popolari. Si parla di 35-40 milioni di partecipanti. Una risposta unitaria di classe, mossa dalla rabbia verso un governo corrotto e inquisito – (la pubblicazione della “Lista Fachin” ha provocato un grande moto di indignazione: 108 parlamentari sotto inchiesta, tra cui lo stesso Temer; sono stati incriminati il 36% dei deputati, compreso il presidente e il 43% dei senatori; 8 ministri del governo, oltre ai governatori di 12 stati e politici di ogni grado e partito) – e dalla ferma volontà di cacciarlo, con le sue riforme reazionarie e antipopolari.
Un grande lavoro capillare di propaganda, agitazione, informazione, mobilitazione e coinvolgimento della classe lavoratrice nei diversi settori, dei movimenti popolari e delle fasce sociali più colpite dagli attacchi di questo governo si è avviato con grande intensità e sforzo unitario. Il coordinamento e la diffusione su tutto il territorio di comitati di base per costruire lo sciopero sono stati l’elemento principale sia come motore organizzativo che come luogo di dibattito, informazione e presa di coscienza della lotta politica in corso. I comitati si sono costituiti in tutti i luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle scuole, nei luoghi di maggior concentramento come metro, mercati…
L’accordo tuttavia non è stato lineare né privo di ostacoli sin dall’inizio. Ancora pochi giorni prima dello sciopero ad esempio, a Rio, parte delle centrali sindacali e di alcuni movimenti (MTST) hanno deviato in modo autonomo dal programma combattivo concordato, per trasformare la giornata del 28 in una manifestazione-show in periferia. Appelli e contestazioni di gruppi più radicali e della sinistra rivoluzionaria hanno evitato quello che poteva essere un indebolimento del fronte di lotta.
Lo sciopero generale è stato un successo, tutto il mondo del lavoro si è paralizzato, i trasporti bloccati quasi al 100%, Petrobrás ferma, sia nelle raffinerie che nelle piattaforme e terminali di distribuzione. Tutte le categorie di lavoratori dell’industria hanno risposto massivamente, ma anche scuola e università, commercio e servizi, pubblico impiego, lavoratori agricoli. Nelle strade anche i movimenti popolari per la casa, per la terra e la riforma agraria; gli indigeni da giorni erano accampati nella capitale portando, oltre alle loro peculiari rivendicazioni rese più radicali e decise dagli interventi pesanti del governo che ha fermato la demarcazione delle terre indigene, indebolito le istituzioni e gli interventi a loro favore, coperto i continui massacri organizzati dai grandi ‘fazendeiros’, anche le istanze politiche della classe lavoratrice, dei giovani, dei movimenti sociali.
Il successo è dovuto all’unione del proletariato e dei movimenti sociali, unione costruita dalla base, sull’unicità delle parole d’ordine e delle prospettive di lotta. Da tempo non si vedeva quest’unità tra centrali e organizzazioni popolari che fino a poco fa nemmeno si parlavano. A differenza delle giornate di blocco e paralisi antecedenti, il 28 aprile ha superato per ampiezza i settori più tradizionali del movimento sindacale e del pubblico impiego. Nello sciopero è entrato di peso il settore privato: i trasporti, l’edilizia, il commercio, i metalmeccanici, i bancari, le poste…
La borghesia ha tentato in tutti i modi di negare e ostacolare quanto stava accadendo; prefetti e governatori hanno pagato Uber e taxi per far andare al lavoro i loro funzionari o li hanno obbligati a dormire al lavoro…ma lo sciopero si è imposto anche sopra questi meschini sotterfugi.
La borghesia brasiliana, attraverso i suoi canali di informazione ufficiali come la TV Globo e i due principali quotidiani, Folha de São Paulo e Estadão, si è distinta per il boicottaggio messo in atto: ha appena nominato alcune proteste, ha distorto i fatti sminuendo la portata delle manifestazioni o rilevando esclusivamente atti vandalici e tafferugli e riportando solo testimonianze di chi era contro lo sciopero. Ha cancellato i protagonisti dello sciopero, i lavoratori, presentandolo come uno sciopero imposto dalle centrali sindacali, pressoché fallito.
Ma ha reagito anche con la repressione: 21 manifestanti del MTST e movimenti sociali a San Paolo sono stati trattenuti dalla polizia, accusati di fatti che non hanno commesso; a Rio le piazze e le strade sono state un campo di guerra, un giovane è in fin di vita.
La tattica di avanzare, retrocedere, disperdersi, raggrupparsi di nuovo in piccoli contingenti è stata vittoriosa per confondere la polizia e indebolirne la forza.
Già si guarda oltre questa giornata, nella consapevolezza che la lotta deve continuare, senza dar respiro.
Il 1 maggio le bandiere si sono ancora innalzate in blocchi, occupazioni di strade e manifestazioni in tutto il paese. La parte più radicale dei movimenti e dei lavoratori sta spingendo per l’occupazione della capitale ed un eventuale altro sciopero generale.
Lo sciopero del 28 aprile ha marcato una nuova tappa nel processo di organizzazione e di lotta del proletariato. I milioni di persone coinvolti nella preparazione dello sciopero e poi scesi nelle strade contro Temer e la sua cricca hanno sviluppato coscienza di classe e preso consapevolezza che non si darà spazio per piani di salvezza nazionale, per alleanze con partiti borghesi, che il riformismo con la sua democrazia elettorale deve essere oltrepassato che solo l’unità di classe può sconfiggere questo governo e le sue politiche reazionarie, che solo la lotta unitaria può portare alla fine del giogo del sistema capitalista per tutti i proletari.
RIFORMA PREVIDENZIALE – Ancora in corso di approvazione, porterà vaste conseguenze negative per la popolazione: allunga l’età pensionabile e il tempo di contribuzione minimo e li vincola all’aspettativa di vita, che è estremamente differenziata in Brasile; riduce l’entità degli assegni, taglia diritti a categorie protette, a donne e lavoratori agricoli…
La riforma viene propagandata come necessaria per il deficit insostenibile della Previdenza Sociale, ma la menzogna ha avuto vita breve, assieme alla sua collegata: l’impossibilità di garantire la pensione a tutti nell’immediato futuro.
E’ stato diffuso in questi stessi giorni l’elenco delle grandi imprese del paese che hanno debiti per R$ 426 miliardi con la Previdenza. Inoltre, un meccanismo di trasferimento di denaro da un capitolo all’altro permette al governo di trasferire fondi fino al 20% dalle casse della Sicurezza Sociale (60 miliardi di R$ all’anno), ora ampliato al 30%.
La campagna propagandistica del governo è stata aggressiva ma ha dovuto arrestarsi in seguito alla denuncia di otto sindacati dello stato di Rio Grande do Sul per sperpero di denaro pubblico per interessi di partito, che ha imposto il blackout su tutto il territorio nazionale e tutti i media.
CAMBIO DI TATTICA – Temer, in evidente difficoltà per le pressioni popolari ma anche per lo scarso consenso della sua base alleata, sta modificando ordine ed assunti del suo programma. Per allentare le resistenze interne ha annunciato la possibile negoziazione di 5 punti della riforma, tra questi le condizioni pensionistiche per polizia, agricoltori, professori. Ha annunciato che i funzionari municipali e statali ne saranno esclusi ed ha valutato più conveniente ritardarne l’approvazione per far invece avanzare le riforme del lavoro, garantendosi in tal modo il consenso del grande capitale preoccupato della forte resistenza sociale. Il pacchetto sul lavoro sarà frammentato in diverse proposte di legge, di più semplice e rapida approvazione.
Sta per essere approvato anche un Progetto di Legge del Senato che proibisce in pratica gli scioperi nel settore pubblico, imponendo l’obbligo dell’80% delle presenze.
OUTSOURCING E RIFORMA DEL LAVORO – La riforma estende l’outsourcing a tutte le attività d’impresa, sia nel pubblico che nel privato. E’ stata approvata il 31 marzo. Dapprima l’outsourcing era permesso solo per attività non in relazione diretta con la principale, come manutenzione, servizi e pulizia. Ora, ad esempio, una scuola potrà esternalizzare i professori.
Questo comporta per i lavoratori una riduzione dei salari, maggior sfruttamento e precarietà, nessuna tutela dei diritti contrattuali, aumento di malattie professionali e incidenti, aumento della disoccupazione (all’impresa conviene licenziare i suoi dipendenti per assumerne un minor numero in outsourcing a parità di lavoro)… La riforma prevede anche l’aumento da 90 a 270 giorni per i contratti a tempo determinato e l’utilizzo dei lavoratori esternalizzati per sostituire chi sciopera.
Nel 2013, su 3553 casi riscattati di lavoratori in situazione di schiavitù, 3000 erano esternalizzati (dati Dieese da uno studio del 2015, Dipartimento Intersindacale di Statistica e Studi Socioeconomici). Il lavoratore in outsourcing lavora in media il 7,5% in più di uno a contratto diretto con l’azienda committente, subisce una maggior rotazione nel mercato del lavoro (in media un lavoratore a contratto si mantiene nello stesso posto di lavoro per 5,8 anni; un esternalizzato per 2,7 anni) e percepisce il 25% di salario in meno. Inoltre ha una mortalità di 3,4 volte maggiore dovuta a incidenti sul lavoro, che sono l’80% degli incidenti complessivi.
Alla Petrobras, ad esempio, ad un aumento dei terziarizzati di 2,3 volte è corrisposto un aumento di incidenti sul lavoro di 12,9 volte. Nello stesso periodo sono morti 14 lavoratori dipendenti dell’azienda e 85 lavoratori in outsourcing. Petrobras è l’esempio pilota della trasformazione economica e produttiva messa in atto da questo governo e dalla sua cricca: con un piano di disinvestimento che apre le porte alla privatizzazione, aumenta la precarietà del lavoro, si chiudono e svendono rami d’impresa, si riducono i costi in manutenzione, sicurezza e tutela della salute…con il risultato di migliaia di lavoratori esternalizzati (ora raggiungono il 70% del totale) e 12.000 attualmente in via di licenziamento.
L’outsourcing porta precarietà e insicurezza; i diritti e le condizioni di vita dipenderanno dagli imperativi e fluttuazioni del mercato; e la pensione diventerà un miraggio.
L’outsourcing è aumentato considerevolmente negli ultimi 10 anni. Nel 1995 erano 1,8 milioni i lavoratori terziarizzati; nel 2005 erano 4,1 milioni; nel 2013 hanno raggiunto i 12,7 milioni. In questi lavori si trovano soprattutto donne, neri, giovani.
Ma anche questa legge non è passata senza contestazioni, in quanto vaga e imprecisa nelle definizioni delle attività esternalizzabili.
La Riforma del Lavoro, approvata dalla Camera dei Deputati il 26 aprile, prevede la modifica di 100 articoli del pacchetto di leggi sul lavoro attualmente in vigore (CLT), sotterrandone diritti e tutele acquisiti. Uno dei punti principali e dalle conseguenze devastanti è l’aver dato forza di legge agli accordi collettivi negoziati tra imprese e lavoratori. La debolezza e ricattabilità della classe operaia in sede di trattativa e le politiche sindacali concertative determinano un rapporto di forza generalmente sfavorevole al lavoratore. Tra i temi oggetto di negoziazione vi sono: la giornata lavorativa fino a 12 ore e 48 ore settimanali, la parcellizzazione imposta delle ferie, la riduzione della pausa mensa, la non contabilizzazione come tempo di lavoro del viaggio per raggiungere il posto di lavoro, la conversione delle ore straordinarie in una banca-ore, l’allungamento a 120 giorni, prorogabili, del periodo per contratti a termine (oggi è di 90 giorni), l’introduzione di giornate parziali di lavoro a 30 o 26 ore settimanali, la possibilità per le donne gravide o in allattamento di lavorare in locali considerati insalubri (attualmente proibita dalla legge, e le minacce di licenziamento avranno gioco facile)…
Quali le conseguenze? Anche qui più precarietà e licenziamenti, salari inferiori, più arbitrio padronale, meno diritti e garanzie per il lavoratore a fronte di vantaggi e guadagni in crescita dei padroni. Nel pacchetto della riforma del lavoro sono presenti anche l’introduzione della giornata intermittente – interrompibile in funzione della domanda – e la fine delle imposte sindacali obbligatorie.
RIFORMA FISCALE – A febbraio Temer ha presentato un progetto di legge che ricatta gli stati sul debito: ne determina la sospensione per tre anni a condizione di privatizzare le imprese statali, congelare i salari dei dipendenti pubblici e abolire ogni genere di beneficio o recupero salariale. La mano dura del governo sulla rinegoziazione del debito ha già provocato caos sociale dove sono state avanzate le prime privatizzazioni, come ad es. a Rio de Janeiro per la CEDAE (azienda di servizi municipalizzata). Durante il governo PT furono privatizzati aeroporti, pozzi di petrolio, giacimenti nel pré-sal, strade. Ora si individuano in primis banche, compagnie elettriche, servizi municipali e “altro”, il che significa aprire a tutti i settori.
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LULA: PROVE TECNICHE DI GOVERNO – Lula sta giocando ancora carte vincenti e i sondaggi lo danno in ascesa; ha avviato una serie di incontri con esponenti del PSDB per prove tecniche e programmatiche di governo. Tuttavia non si può negare che il partito sia in crisi, non solo nella sua base elettorale ma anche tra quadri e funzionari. Il PT conta ancora circa 1,5 milioni di iscritti. Il 9 aprile si sono svolte elezioni interne al partito in vista del sesto congresso nazionale a giugno. La partecipazione è stata estremamente ridotta, sia per numero di votanti (il 31% in meno) che di città coinvolte; nel 27% di città in cui il PT è attivo non sono state nemmeno organizzate le elezioni. Oltre a ciò, l’ala di dissenso interno più a sinistra, Muda PT, ha denunciato frodi a favore della corrente maggioritaria (CNB) di Lula e Zé Dirceu. La crisi reale del partito fa fronte alla continuità politica e di alleanze.
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LA BREVE STORIA DELLO SCIOPERO GENERALE IN BRASILE
Il Brasile non ha una grande tradizione di scioperi generali. Il primo fu proclamato nel 1917 e durò 31 giorni. Si mobilitarono solo a S. Paolo 50.000 lavoratori dell’industria, principalmente alimentare e tessile, del commercio, dei trasporti pubblici e pubblico impiego. La direzione era in mano ad anarchici e socialisti, la maggior parte immigrati europei, soprattutto italiani e spagnoli. Lo sciopero fu il riconoscimento del movimento sindacale come istanza organizzatrice della classe lavoratrice brasiliana. Vi si portavano rivendicazioni sia economiche che politiche, non molto diverse da quelle di 100 anni dopo. Al centro il controllo dei prezzi dei generi alimentari e degli affitti e l’organizzazione del lavoro, il diritto di associazione e di organizzarsi in sindacati, la liberazione dei prigionieri e la revoca dei licenziamenti degli scioperanti, la proibizione del lavoro minorile, del lavoro notturno per minori di 18 anni e per le donne, la giornata lavorativa di 8 ore e la settimana di 5 giorni e il pagamento del lavoro straordinario. Vent’anni dopo questi punti verranno riconosciuti nel corpo legislativo del CLT, la Consolidação das Leis do Trabalho.
Nonostante le innumerevoli mobilitazioni a seguire, fu solo negli anni Ottanta che lo sciopero generale venne ripreso come metodo di lotta. Sconfitta la dittatura militare, erano anni di crisi economica acuta.
21 luglio 1983: il paese era tenuto in pugno dal FMI e ancora dalla dittatura militare (Gen. João Figueiredo), il malcontento nasceva soprattutto dalla disoccupazione dilagante, dalla stretta salariale, dall’inflazione e tassi di interesse elevati. Allo sciopero parteciparono più di 2 milioni di lavoratori.
12 dicembre 1986: lo sciopero generale verteva su rivendicazioni per lo più economiche, contro il congelamento salariale, le privatizzazioni e il pagamento del debito estero e il piano economico fallimentare del governo Sarney (PMDB). 25 milioni di persone vi aderirono, più del 40% dei lavoratori attivi.
14 e 15 marzo 1989: lo sciopero contestava un altro piano economico di Sarney, il Plano Verão, rivendicando il congelamento dei prezzi, il recupero salariale, la fine della disoccupazione. Vi parteciparono 35 milioni di lavoratori, il 70% della popolazione economicamente attiva.
Gli anni 90 furono segnati dalla controffensiva neoliberista e dal declino di scioperi consistenti nel paese.
Il 22 e 23 maggio 1991 venne proclamato uno sciopero generale contro l’inflazione e la perdita salariale; nel 1996, il 21 giugno, uno sciopero fu contro le privatizzazioni, la disoccupazione, la perdita dei diritti del lavoro.
Nel secolo in corso forti paralisi, mobilitazioni e marce nazionali hanno caratterizzato la lotta di classe, ma nessuna ha raggiunto il livello offensivo degli anni precedenti.
L’11 luglio e 30 agosto 2013 ci furono forti proteste convocate dalle centrali sindacali che paralizzarono il paese per l’aumento del prezzo dei trasporti e per contestare le spese della Coppa del Mondo, durante il governo Dilma/PT. Le rivendicazioni unitarie erano economiche, per la difesa dei diritti previdenziali, contro la privatizzazione della Petrobrás e il progetto di legge sull’esternalizzazione.
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Fonti: Esquerda Online febbraio, marzo, aprile, 2 maggio 2017
CSP-Conlutas marzo, aprile, 2 maggio 2017
Valor Econômico marzo, aprile 2017
Mundo Obrero Workers World, 5 maggio 2017